Un Gregario Solo Al Comando!. E. T. Palwin

Un Gregario Solo Al Comando! - E. T. Palwin


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anche solo per un saluto? La mia povera Marilisa, perché era mia!» grida, piangendo.

      Marcelo non ricorda di averlo visto o sentito fare "così brutto" in tutta la vita.

      «Sì, doveva essere mia! Capisci? Mia e basta!»

      «Ok, vista la situazione con Elisabeth, non lo so, forse potrei chiamarla. Dici che starebbe meglio?» prova a consolarlo, goffo e invadente. «Però continua a sperare. I miracoli succedono!»

      Rimangono in silenzio.

      Manuel: testa china, rassegnato, singhiozzante, come diretto al patibolo.

      Marcelo: impietrito, mentre spera non abbia da rinfacciargli altro.

      «Nessun miracolo!» prorompe, invece, come una cannonata vigliacca sul popolo inerme. «Si è consumata poco a poco. È durata anni, soffrendo molto, anche troppo per come era dolce e delicata. Non te lo dissi. Quel giorno Alejandro festeggiava gli anni. Poi evitai. Io stesso rifiutavo di accettare la verità. Fratello, sono 8 mesi che si è gettata sotto a un treno!»

      «No, mio dio no!» urla sconvolto, saltando fuori dalla vettura e iniziando una fuga priva di logica.

      Toro Embolado imbocca una traversa dopo l'altra, ispirato dal caso. Sbatte contro un muro piombato dal nulla. Schiacciato dalla responsabilità, tenta di superarlo istintivamente, lottando e trascinandosi verso l'angolo. S'affaccia quanto basta per cercare di capire dove sia finita la scala antincendio del suo albergo. Ha bisogno di ritrovare la finestra al quarto piano, la stanza, il letto!

      «Ti amo da morire» sussurra un uomo, avvolto da quel buio entro cui il ciclista ora tenta di scrutare. «Non resisto. Quando lo farà?»

      «Un poco de pazienza» risponde la sagoma sinuosa di quella donna dalla voce, per lui, così intima e familiare. «Firmerà en breve!»

      «Va bene, certo, Elisabeth.»

      Sì, è proprio lei! Ne ha riconosciuto subito la cadenza, in un italiano perfetto rispetto al suo. Usando lo stesso stratagemma, Gianni l'ha incontrata di nascosto. Sono amanti e ora anche l'ultimo a dover sapere, sa…

      Iniziano a baciarsi, stretti in un'unica appassionata ombra.

      Per tutta risposta, lui vorrebbe dichiarare la propria presenza. Lo farebbe strappandosi gli occhi, come le sicure di altrettante bombe a mano, che a quel punto andrebbero a esplodere in un urlo cieco, di devastante, inaudita violenza! Ma non può. Non vuole accostarsi alla natura omicida di suo padre. È paralizzato dal conflitto interiore, dal dolore, dallo sconcerto. Più d'ogni altra cosa dalla responsabilità opprimente di aver provocato la morte di Marilisa, preferendole "una cagna in calore". Sì, già, queste le sacrosante parole di Manuel, confermatosi sincero e affidabile.

      Del tutto frastornato, così come ne era uscito, alla fine trova la maniera per rientrare in camera. Manca di una scarpa e ha una manica strappata fino al gomito. Sporco, sudato, avvolto da una ridda di pensieri e con un enorme rimorso caricato sulle spalle, a stento trova riparo sotto le coperte, nel letto. Lì, per quanto buio e tenebroso, ricava un rifugio di fortuna dove affrontare quella notte di tormenti e di fantasmi che lo attendono impazienti!

      ​8. Sogno, numero e cabala.

      «Toro Innamorato, adoro vederti correre. Lo farai per me?»

      «Elisabeth sei qui? Dio mio grazie! Non sai che incubo.»

      «Sono arrabbiata, però.»

      «Lo so, ho sbagliato! Perdonami, non succederà più, lo giuro amore!»

      «Mi fa rabbia che non hai mai vinto per me!»

      «Farò tutto quello che vuoi!»

      «Per tuo padre? Perciò non vincevi?»

      «Che ne sai di lui?»

      Non conosce la sua verità. Per lei è orfano dall'età di 16 anni. Ha raccontato di averli persi in un incidente stradale. Qualcosa non torna. Apre gli occhi. La sua prima bicicletta è appesa in aria, nel buio. Sembra quasi un lampadario. Le ruote corrono nel vuoto e la piccola dinamo manda corrente a intermittenza verso i fanali. Quella luce fioca, illumina a tratti le pareti e quant'altro presente. La stanza gli è familiare. Fatica un po', poi capisce. È quella dei suoi genitori! Ma è uno spettacolo agghiacciante per lui, che ora, in uno specchio laterale, è ragazzino. Un mattatoio all'ora di punta? C'è sangue dappertutto. Sua madre devastata, è riversa sul pavimento! Ha quelle forbici piantate nella schiena. Sono le preferite del papà, parrucchiere. Nella bottega della sua famiglia, quando le agita sapientemente, producono un suono che è una musica disegnata sulle righe del pentagramma di quel pavimento, disposta in ciuffi di capelli che cadono per terra in forma di note ammucchiate casualmente, eppure lo stesso con armonica sapienza. In lontananza la sirena della polizia copre quei ricordi sonori. Si avvicina…

      Singhiozzi e pianto di un uomo in ginocchio.

      «Papà, tu?»

      «Non essere stupido Marcelino, se fossi stato davvero io, non ci sarebbe questo schifo.»

      «Che significa?»

      «Il diavolo mi ha usato come un vestito. Io non l'avrei detto di Manuel!»

      «Papà cosa dici?»

      Si gira. Sbarre! Volta lo sguardo. Altre sbarre, soltanto quelle ovunque! Si cerca le mani. Si tocca il viso. È di nuovo adulto.

      «Dove siamo papà?»

      «Dove sei tu.»

      Lo cerca, ma non c'è fisicamente. È solo una voce nella sua testa. Marcelo è rinchiuso in una cella sospesa nel vuoto, fatta di rugginose grate metalliche.

      «Non sei mai stato libero.»

      «Perché sono qui?»

      «Paghiamo per la stessa colpa, figliolo.»

      «Amo la lettura e la scrittura, eppure mi hai messo sulla tua biciclettina! Mi hai fatto correre verso i tuoi traguardi! Mi hai tolto mamma! Mi hai costretto a odiati! Come posso essere uguale a te?»

      «Perché adesso sai cosa significa sentirsi responsabili della morte di chi ami.»

      «Marilisa? Parli di lei?»

      Sorge potente la luce del sole! Da svariate direzioni abbaglia tutto fino a dissolvere ogni cosa in un bianco estremo. S'avvicina una mano che gli carezza il viso. Riconosce subito quel tocco gentile. È Marilisa. Quanto gli è mancata. Solo ora questa verità gli abbraccia l'anima. Vorrebbe parlarle, ma a vergogna di sé.

      «Anche se mi hai fatto male ti perdono… A una condizione, però!»

      Lui inizia a piangere. Non riesce a fermarsi. Si sente sporco e sbagliato!

      «Devi venire a riprendermi. Credevo avrei smesso di soffrire sotto al treno, invece ora è peggio di prima!»

      Lui la tira a sé e la bacia, ma quelle non sono le sue labbra e si scosta!

      «Ti perdono anch'io Marcelo, ma devi vincere per me.»

      Marilisa è svanita. Al suo posto c'è Elisabeth. Sono in camera da letto, di fronte la madre, sempre riversa sul pavimento. Però al posto delle forbici le spunta dalla schiena un frammento di forcella. La bicicletta, infatti, non è più appesa in alto. È caduta, frantumandosi! Le schegge sono dappertutto.

      «Devi vincere, ma c'è dell'altro.»

      «Cosa?»

      «Scusati» risponde, indicando quel corpo.

      «Mamma» la chiama, avvicinandosi e toccandone un braccio. «Non dovevo raccontarti di papà e di Manuel, perdonami.»

      Si alza, lentamente, ma sì, si alza! Si volta. Delusione! Non è la madre. È Gianni Sardena! Ha i graffi e le strisce di sangue del giorno della Stradaccia.

      «Scusa ragazzo.»

      È pentito, ma lo stesso la guarda, cercandone l'approvazione.

      Lei


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