L'assedio di Firenze. Francesco Domenico Guerrazzi
la distruzione aveva prevalso e spiegava su quel corpo le sue insegne come sopra terra presa; la pelle livida, le tempie cave, la fronte arida, il naso attenuato e recinto di un cerchio nericcio, la calugine delle narici sparsa di polvere giallastra, il pallore, il sudore e quiete inerte foriera del sepolcro; — egli tendeva le labbra a guisa di assetato, come anelante di un sospiro che gli rinfrescasse le viscere; gli occhi lucidi di vetro, senza sguardo di cosa terrena, però intenti alla contemplazione degli oggetti posti oltre i confini della vita: ora solenne nella quale l'anima, non bene uscita dalla spoglia mortale nè ancora volata alle dimore celesti, sembra soffermarsi sopra la soglia dello infinito, esitante tra le gioie promesse e gli effetti goduti; colloquio misterioso fra il Creatore e la creatura che niuna mente vale a comprendere, nessuna lingua a descrivere, forse di amore, forse di rabbia, ma certamente pieno d'ineffabile amarezza.
Un giovane di vaghe sembianze, genuflesso a canto il letto, si cuopre il volto con la destra abbandonata del moribondo e la bacia e tacito vi sparge sopra largo rivo di pianto: un dolore senza fine amaro si ostina a prorompere urtandogli impetuoso le fauci; la pietà del moribondo stringe il giovine a comprimerlo, sì che si ripiega fremente a spezzargli sul cuore, e il corpo si agita tutto di scossa convulsa.
A capo del letto, dalla parte diritta, sta un frate di volto severo, stringe i labbri tra i denti, guarda il moribondo e non fa atto di pietà o d'impazienza; se non che la fronte, con vicenda continua, ora gli si corruga ed ora gli si spiana; come i nuvoli sospinti dalla bufera davanti al disco della luna, tu puoi scorgere i pensieri procellosi che l'attraversano.
Dalla sinistra, un uomo membruto di persona, con le braccia conserte sul petto, tiene il capo chino al pavimento; copiosi capelli rossi gl'ingombrano la fronte e parte delle late spalle, la barba fulva gli oltrapassa scendendo la cintura; dal mezzo dei sopraccigli orribilmente aggrottati sorge quasi un fascio di rughe le quali vanno, a modo di raggi, dilatandosi per l'ampiezza della fronte: male quindi sapresti indovinare se quivi il dolore ristretto lanciasse coteste linee rodenti ad occupare le facoltà del cervello, o se piuttosto, dalle varie regioni del cranio partendo, colà esse si condensassero; veramente stavan fitte in quel punto atroci a sentirsi quanto le sette spade raccolte a trafiggere il cuore della madonna dei dolori: non atto, non gemito lo chiarivano vivo, nè il muovere dei peli estremi dei labbri per respirare; solo tu avresti veduto a poco a poco comporsi due grosse lacrime nel cavo de' suoi occhi, tremolare incerte lungo le orbite e sgorgare dalle palpebre giù per le guancie, come secreta vena di acqua tra massi di granito. A prima giunta quella testa ti appariva feroce, quindi ancora atta a esprimere la pietà; finalmente, senza pure accorgertene, ti sentivi disposto ad amarlo; aspetta ch'ei parli e lo conoscerai.
Appiè del letto occorreva un'altra figura vestita di corazza d'acciaro, con ambe le mani coperte di manopole di ferro soprammesse al pomo della lunga spada; anche il suo volto rendeva decoroso largo volume di capelli cadenti, le guance rase ed i labbri, la fronte purissima, dove avrebbe potuto, come sopra il santuario, deporre un bacio l'angiolo della innocenza; ed egli stesso sembrava un angiolo che i credenti affermano vigilare intorno i letti dei giusti moribondi a respingere gli assalti dello spirito infernale. Cotesto era un corpo che gli anni passando non guastano, soltanto modificano a generi diversi di bellezza, e cotesta era un'anima che l'angoscia piega alquanto, non rompe, — la gioia rallegra, non esalta: anima e corpo, in somma, di rado concessi da Dio alla terra per far fede tra uomini degenerati quale nel suo pensiero divino avesse concepito la creatura, prima che una colpa senza perdono la diseredasse del paradiso terrestre: anelante di sacrifizio, egli avrebbe notte e giorno supplicato che i misfatti e le pene degli uomini la giustizia eterna sopra il suo capo accogliesse e vittima di espiazione l'accettasse; ed egli non avrebbe mica diviso la croce col Cireneo nè per viltà rimosso dalle sue labbra il calice della Passione; per tutti i regni della terra non ne avrebbe ceduto una stilla. Lui, onde cara e onorata cadesse la patria tra noi, disposero i cieli ad essere il martire della libertà, l'ultimo dei generosi Italiani.
Egli mosse le labbra e favellò: «Io vi aspettava:... Cap. I, pag. 16.
Varie altre persone stavano sparse per la stanza atteggiate in modi diversi e pur tutti esprimenti dolore: onde quando io considero quante abbia maniere a manifestarsi l'angoscia e quante poche la gioia, come via unica per venire nel mondo ci fosse dato il seno materno e per quante infinite riusciamo al sepolcro, mi turba il pensiero che una forza maligna ci abbia lanciati nel mare della vita col sasso della miseria legato intorno al collo. Non disperiamo però: imperciocchè quantunque a noi non soccorra rimedio altro che le lacrime, tuttavolta la stilla perenne ha virtù di cavare il diamante, e le generazioni succedendosi in questa opera possono piangere a bell'agio e cancellare il decreto inciso nel granito per la mano del fato.
Marietta, moglie di Nicolò, e tre dei suoi figli, Guido, Piero e Bernardo, si erano da molto tempo ridotti a dimorare in campagna; nè, per essere il male sopraggiunto improvviso al padre loro, avevano potuto riceverne notizia. Forse in cotesto punto insieme raccolti discorrevano delle cose della patria e sorti migliori speravano pel padre, il quale, con tanto pericolo suo e vantaggio di lei, l'aveva di opera e di consigli sovvenuta in tempi grossi, ed ora per certo non egli avrebbe voluto negarle i suoi ammaestramenti acquistati dalla esperienza degli anni e dalla lunga pratica nei pubblici negozii; ma in quel punto la speranza levava l'áncora di casa Machiavelli, lasciandola in balia della miseria. Disegni umani!
I due amici, osando appena alitare, s'inoltrano nella stanza; procedendo vengono a posarsi traverso la linea visuale degli sguardi del moribondo. I suoi occhi cessano subitamente dalla fissazione, le pupille quasi smarrite ondeggiano da un angolo all'altro, poi tornano consapevoli a fermarsi sopra gli oggetti circostanti; allora l'esultanza salutò di un estremo sorriso quel volto pieno di morte, come il sole dall'orlo del giornaliero sepolcro di un raggio languidissimo colora il sommo delle basiliche, delle torri e dei monti già a mezzo ingombri dagli orrori crescenti della notte. Egli mosse le labbra e favellò:
«Io vi aspettava: silenzio! Parole ho a dirvi degne che per voi si ascoltino, per me si favellino, nè alla umanità nè alla patria inutili affatto e per la mia fama necessarie. La natura mi chiama, ed io sto disposto a rispondere. Perchè piangete? Chiamerà anche voi; e poichè la vecchiezza precede la morte, considero la morte pietà; io però bene devo ringraziarla di questo, che ella non volle chiudermi gli occhi, se prima non avessi contemplato il giorno della risurrezione; adesso sì che mi sento capace da vero d'invocare col cuore il nome di Dio, poichè la mia bocca, sopra la piazza della Signoria, davanti la faccia del cielo, ha gridato: Viva la libertà!... Silenzio! onde il senno dei tempi non vada disperso. Le schiatte umane passano come ombre; se non che, prima di ripararsi sotto il manto di Dio, nelle mani delle schiatte sorvegnenti consegnano la fiaccola della scienza: a guisa del fuoco sacro di Vesta, quantunque ella muti sacerdoti, pure arde sempre e cresce nei secoli nè ormai più teme vento di barbarie. Accostatevi e raccogliete l'estreme parole, però che vi aprirò il mio pensiero come se fossi davanti al tribunale dell'Eterno.»
I due amici, compresi da senso religioso, si appressano e, salutati appena d'uno sguardo i circostanti, si pongono ad ascoltare.
Nicolò riprendeva:
«La fortuna trama in gran parte la tela degli umani avvenimenti. I Romani, i quali quasi quanto vollero fecero, più che agli altri dii are innalzarono e tempii alla Fortuna; e con ciò dimostrarono sapientemente conoscere una forza superiore alle forze mortali che spesso si compiace secondare sovente ancora i disegni loro impedire. La fortuna sola vuolsi molto più accetta tenere della virtù sola: imperciocchè quella vedemmo tal volta condurre a lieto fine le imprese, la seconda capitare sempre male. Siccome la vita dei popoli si prolunga nei secoli, così la prosperità loro non si comprende da una o due imprese avventurose, sì bene da una serie di fatti prudentemente concepiti e virtuosamente operati: per la qual cosa giudico la fortuna fuori di misura giovevole nella vita breve di un uomo poco avvantaggiare il governo degli stati ed anche riuscirgli nociva, se la virtù non ponga il chiodo alla sua ruota. La fortuna in molti casi si mostrò favorevole ai Fiorentini: più volte li preservava dalla servitù, come al tempo di Castruccio e dei Visconti; più volte gli restituiva a libertà, come nel passo di Carlo VIII e adesso. Nel 1494 i meglio saputi cittadini tenevano la patria spacciata; e invece rimase Piero dei Medici