Mar sanguigno (Offerta al nostro buon vecchio Dio). Guido Milanesi

Mar sanguigno (Offerta al nostro buon vecchio Dio) - Guido Milanesi


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più in mare «non c'è più bisogno» d'aver paura di niente. In mare, santi e madonne, e in terra, vino.

      E rivolgendosi a me: — lè bune lu vì tue, patrò? (È buono il tuo vino, signore?)

      E ad un vago cenno d'assentimento: — Mbè — dice —: Nu lu sci viste maie tu, lu scïò? (Non hai mai visto, tu, lo scïò?)

      — Mai.

      Benchè io appartenga alla marina da guerra, sono di razza diversa e bassissima. Me lo dicono otto bocche mute, contorte da un ghigno di commiserazione.

      L'abbagliante luce di un fulmine, seguìta da un fragore infernale, mi fissa per un istante gli otto vecchi in questa loro espressione, prima che una semi-oscurità li affondi di nuovo nelle loro spalliere verdi.

      — Non l'interrompa più — mi consiglia l'amico. — Le tradurrò alla meglio le frasi difficili. Le riempia, le aggiusti lei....

      * * *

       Quando innumerevoli stuoli di nuvole scure sembrano improvvisamente divenir pesanti e scendono e s'accatastano e s'addensano, premendo sull'orizzonte come alpi di piombo, già fredde e compatte in basso, ma ancora tormentate sulle vette da mal spenta fusione, l'Adriatico spiana ogni sua onda e s'illividisce tutto per un immenso brivido che gli porta via ogni colore.

       Le vele gialle e rosse delle paranze sciamate tutt'intorno al cerchio eterno che stringe l'esistenza dei marinai, prima risaltano di più e poi divorate da una tinta di inchiostro, spariscono a poco a poco. E se allora una nuvola unica sconvolta da un vento altissimo si distacca dal fondo e si mette a correre essa sola, tutta orlata di grigio nel profilo mutevole, e accenna membra di chimere, code paleontologiche e tentacoli mostruosi, le barche immobili sembrano gravitare di più nel mare immobile, acqua, legname ed uomini, materia e spirito stringendosi assieme per lo stesso spavento.

       Nell'aria morta, solcata da fulmini lontanissimi, lenti volano i gabbiani esagerando il bianco delle loro ali sullo sfondo nero; ma non gridano più; non possono gridar più; s'è prodotto un fatto soprannaturale; essi hanno improvvisamente cambiato natura.

       Come tutto il creato, d'altronde. Ciò che apparisce come cortina di montagne nere, non è più formato da nuvole ma da una ressa di miliardi d'anime accorse da ogni mondo e compresse l'una sull'altra in tal maniera che forarne lo strato è impossibile; perchè il mare deve rimanere inesorabilmente chiuso attorno alle paranze. Esso è divenuto ad un tratto, rotonda, sterminata platea di giustizia.

       E quella nuvola solitaria che spazia da sovrana su tutte le altre e che ha raccolto ogni tentacolo per aprirsi in alto come coppa diabolica ed allungare verso il mare una sola, acuta, serpeggiante propagine, non è tromba marina, non è meteora; essa è fatta di morti...; — quelli a cui noi marinai facemmo torto in vita — dice Isè — è spada; spada di Dio; ed il suo nome è Scïò.

      ················

      L'uomo si ferma ansante sulla parola come per accentuarne la solennità. Mi guarda a lungo. Chiede da bere e vuota d'un sorso uno dei bicchieri di vino che il domestico ha preparati su un tavolo. Qualcuno lo imita timidamente: poi tutti vogliono bere e la loro ressa fa pena... Eccoli di nuovo ai loro posti, più soddisfatti, più aperti alle confidenze, come dimostrano i sorrisi sdentati, gli occhietti ravvivati e il coro delle raucedini.

      Ah, dunque tutto ciò mi interessa molto? Stranezze di giovane: da giovane che scrive...

      — Avanti! — incita il mio amico in tono impaziente.

      ················

       Ma in questa turba di morti si mescolano anche gli spiriti dei nemici vivi e di tutti coloro che vogliono nuocere ai marinai; è il demonio che ve l'incastra.

      — Diamine!

      — Che? Si può domandarlo a Silvie, «lu patrò della paranza de lu Sindache». Costui era riuscito con raggiri a soppiantare nel comando della paranza un marinaio carico di famiglia e che quasi ne morì di dolore. In mare, venne lo Scïò. Lo spaventoso dito nero che fa sprizzare e ribollire l'acqua non appena la tocchi, si mise a girare intorno alla paranza stringendo gradatamente le sue spire e circondandola come con un muro di zampilli bianchi altissimi. Improvvisamente si volse verso la poppa, dove Silvie, al timone, tremava. La barra fu spezzata e gli agugliotti di ferro si torsero: preso da un turbine di spuma, l'uomo fu gettato sul ponte; e cadendo col viso in alto, vide trasvolare vicino a sè il volto ghignante del nemico, mentre si sentiva strappare presto presto a manate feroci tutti i capelli. E allora svenne... e fu calvo per sempre. Sci capite, patrò? (Hai capito, signore?).

      ················

      Sì, nello Scïò sono anche i vivi, non v'è dubbio. Infatti...

      — ... Infatti — interrompe bruscamente un tale che ha un cranio d'avvoltoio e si dimena sulla poltrona per improvvisa ilarità — io gliela feci bella a Nazarè lu sborgnò (l'ubriacone) quando per avergli dato dei pugni all'uscita dalla messa a causa di una certa Cuncè (Concetta), mi apparve davanti nello Scïò a dieci miglia da terra, tra Grottammare e Pedaso. Ah! — prosegue soffocato da un riso che gli scopre le gengive violacee — questo gli feci!... Ed il suo braccio s'agita in aria per un gesto infame. — Questo! E come sparì subito! Subito sparì!... Ah! Ah!

      Strangolato dalla tosse, l'uomo che ha interrotto si riaccascia. Ridono tutti. Un leggero freddo mi prende. E l'altro continua...

      ················

       Passano nello Scïò uomini, donne, bambini. Gridano disperatamente e la loro voce unita forma l'urlo della raffica. Sono vestiti di bianco e s'avvinghiano talmente tra loro da comporre un'unica colonna che dalla superficie dell'acqua s'alza, s'alza, s'allarga e si perde nel cielo, nel grigio delle nuvole. E tutta la colonna turbina su sè stessa come fosse un asse, ma un asse molle che possa inflettersi, oscillare, raddrizzarsi, fremere, spostarsi parallelamente a sè stesso con velocità prodigiosa.

       E nulla le resiste. Ciò che una suprema giustizia decreta, è compìto dallo Scïò con precisione matematica. A Porto Recanati vuota dei loro equipaggi due paranze nuove e ne uccide gli uomini, ma restituisce intatte le due navicelle al loro proprietario, arenandogliele su soffice letto di sabbia. A Porto San Giorgio inghiotte il solo «patrò» di un'altra paranza, sradicandolo dalla sartia alla quale s'era abbarbicato; ma non torce un capello a nessun altro. A San Benedetto del Tronto succhia un giovane da una barca e lo trascina in aria con sè. Mille braccia morte lo sospendono, lo stringono, lo strozzano...; e vien ritrovato malmenato cadavere sul declivio del monte di Presiccie tra Grottammare e San Benedetto.

       Ed una barca segnata a nero dallo Scïò è rinvenuta carica di sassi alle foci dell'Albula, mentre tutto il suo equipaggio si salva. E di un paio di paranze intente alla pesca, una sola ne prende che per «patrò» aveva tal Tommaso Spazzafumo, uomo perverso, annegato senza traccia insieme a tre suoi figli...

       È dunque inesorabile lo Scïò, ma non eccede e non isbaglia. Questo mai.

      * * *

       Chi si sente colpevole, chi ha nella coscienza i carboni accesi del rimorso, può sperar grazia dallo Scïò raccomandandosi a Dio, promettendo pentimenti, risarcimenti, futura vita d'espiazione?

       No; non può sperar nulla da Dio. Lo Scïò è già giustizia lanciata, è già irrevocabile volontà di Dio; non può più fermarsi; deve giungere come fiume alla foce, deve cadere come per legge di gravità devono cadere i pesi. Non c'è che un'unica via di scampo, ma richiede circostanze eccezionali e coinvolge la dannazione. Chi l'usa è irrimediabilmente preda del demonio. Il suo corpo vive ancora sulle paranze, getta le reti, serra o borda le vele, gira gli argani, ala le cime, parla, si nutre, avvista le terre e i fari lontani, ma la sua anima brucia nelle fiamme eterne e si contorce tra tutti gli spasimi promessi dalle varie religioni, tutte ugualmente prodighe in questo.

      Ed


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