Mar sanguigno (Offerta al nostro buon vecchio Dio). Guido Milanesi

Mar sanguigno (Offerta al nostro buon vecchio Dio) - Guido Milanesi


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la bocca, mi chiamò assassino e cadde.

      Venne gente: tirai pugni, mi feci largo, fuggii...: la notte e il diavolo mi aiutarono...; giunsi a bordo salvo e il padrone della «Marietta bella» che era un buon uomo, salpò. C'era ancora la «bora», ma soffiava in poppa e la mattina dopo la paranza era qua.

      — Ma, e lo uccidesti? — gli chiede concitatamente il mio amico.

      — Si capisce! — esclama il vecchio con quell'intonazione che si dà nel rispondere ad una inutile domanda dei bambini.

      — Come lo sapesti?

      L'uomo s'interrompe di nuovo e piega la testa sul petto, respirando forte: si ode il sibilo dell'aria che si apre il varco nei suoi bronchi aridi. E, come per improvviso sonno, chiude gli occhi mentre le sue labbra s'agitano senza suono quasi per bassa preghiera. Finalmente con una voce lontana e triste come quella che i cattivi sogni prestano alle visioni d'incubo:

      — Oh bella! Come l'ho saputo! — dice senza riaprir gli occhi e rialzar il capo. — Tutta la mia vita ho lottato con lui... Il suo posto negli Scïò era in basso, vicino all'acqua: sempre lì stava: ed il suo viso tondo e gialliccio aveva gli occhi spalancati come quando io gli tirai... e risaltava su quello di tutti gli altri morti come una luna gialla tra lune d'argento. Egli veniva nel vento, dritto verso di me: sempre: e ghignando alzava le braccia per indicarmi sul cranio una chiazza sanguinosa da cui uscivano fiocchi bianchi di cervello. Io dovevo far presto a tagliare nello Scïò col coltello, se no seguiva una cosa strabiliante; lui si metteva a parlare ed io dovevo rimanere come incatenato ad ascoltarlo, senza forza per pronunziare le parole che offendono Iddio e fanno crollare le colonne di morti.

      Una notte di tempesta, venne tenendo un bambino pallidissimo nelle braccia e mi urlò che glielo avevo ucciso io. Malato, rimasto senza padre e solo al mondo, nessuno aveva potuto comprare a questo bambino le medicine di cui aveva bisogno... E da allora vennero sempre insieme. Il piccolo teneva la testa sul petto del grande e turbinavano tutti e due presto presto, disegnando spirali luminose come quelle che si vedono nei fuochi d'artificio: una larga ed una stretta, ma di colore diverso ed impossibili ad esser fissate.

      E sì! Avevano un bel turbinare, gridare, minacciare: io li respinsi sempre, vinsi sempre...

      Isè la Botta rialza il capo, riapre gli occhi, beve ancora.

      — Stu vi iecche iè bbune prassà (questo vino è molto buono) — dice, mentre si riaccascia nella sua posizione di sonno.

      E quasi balbettando, con la sua voce che dà i brividi, prosegue:

      — Una volta sola non arrivai a tempo perchè ero troppo stanco e dormivo sotto il ponte. Allora si presero la vela, spezzarono l'antenna e quando corsi su, me ne buttarono un troncone nella schiena. Ma benchè ferito potei ancora ricacciarli indietro e rider loro in faccia.

      — Ridi, ridi pure! — mi gridò il morto volando via. — E vivi! Devi vivere una lunga vita infernale! Dovrai sempre tremare: ci vedrai sempre, in ogni nuvola e in ogni sogno; voleremo nelle pallide albe e nei rossi tramonti; dovunque qualche cosa scintilli rivedrai i miei occhi dilatati; ogni cosa purpurea sarà sangue mio; il vento avrà la mia voce, la luna il mio viso, la pioggia le mie lagrime; ed il rumore del tuo passo farà rinascere dal suolo la mia perenne maledizione. Vivi! ti prenderemo quando sarai tanto vecchio da non ricordar più le parole del diavolo.

      — Ah! — sogghigna Isè senza riaprire gli occhi. — S'era dimenticato due cose: il vino e la Madonna di Loreto. Nel vino non ho mai visto niente, e andando ogni settembre in pellegrinaggio alla Santa Casa, ho avuto molti anni di tranquillità. Rosciole (triglie), mugelli (cefali), seccie (seppie), storiò (storioni) e merluzzi mi hanno fatto festa attorno. Voialtri dicevate, eh Antò? eh Giuà? (Giovanni) che me li mandava il demonio... Non è vero: perchè anche dopo le dodici messe privilegiate che ho fatte dire a Loreto, il pesce è venuto lo stesso. Dunque non è vero.

      — E nun li sci riviste più? (Non li hai rivisti più?) — gli chiede un vecchio che per l'enorme cranio lucido, tramato di venette azzurre ricorda il San Simone del Guercino nella Cena in Emaus.

      Io guardo questo vecchio, l'unico che interloquisca nel terrifico racconto, ed una cosa mi sorprende subito: l'aria di perfetta indifferenza che egli e tutti gli altri dimostrano per i fatti uditi. Non un accenno di meraviglia, non una sorpresa. È come se ascoltassero la lettura di un Vangelo irrefutabile, da troppe generazioni accettato, per essere discusso.

      È il Verbo; è la Verità. Solo la mia stupefazione è illogica dunque: e certo l'uomo che ha rivolta quella domanda non ha ubbidito a nessun movente preciso; egli s'è soltanto annoiato di rimaner sempre zitto: ecco tutto.

      Ed è illogico anche che io mi sorprenda della risata clamorosa, fragorosa che gli risponde, mentre un tuono lunghissimo che rialza la voce più volte prima di spegnersi brontolando, fa fremere noi, pareti e cristalli.

      Perchè ride così Isè la Botta? È forse il vino che gli sconvolge il cervello, gli spalanca l'antro della bocca e ne fa sgorgare un rivoletto di saliva bavosa? Perchè s'alza in piedi aggrappandosi ai bracciuoli della poltrona?

      — No, che non li ho rivisti più — urla tra una risata e l'altra, cercando soverchiare col proprio urlo il fragore del tuono — perchè io, Isè la Botta, so ancora le parole del diavolo. Io me ne rido! tanto che quest'anno i denari pronti per il pellegrinaggio a Loreto me li son bevuti!... Ho ottantasette anni! Chi mi ha voluto male è crepato! E voglio arrivare a cento... A cento...!

      Sugli ultimi echi del tuono la sua risata sinistra risorge, cala, si fonde e svanisce.

      Ma ad un tratto la pioggia cessa e le cime degli alberi rimangono immobili. Sopravviene come una notte improvvisa: poi s'ode un rumore crescente che pare lo scrosciar dei sassi spinti dalla piena; e qualche cosa che fischia, flagella, urla, s'avvicina a noi sbattendo le gelosie delle finestre e trascinando via le tegole delle case vicine. Eccola, arriva la cosa terrifica: tutta la villa ne è scossa come per l'urto d'un'onda mostruosa: e, non reggendo all'impeto, tra il fragore delle porte che si chiudono violentemente, tra i fischi d'un vento satanico, tra i gemiti degli alberi, con uno schianto netto, una delle finestre si spalanca mentre i suoi cristalli s'infrangono. E la tempesta entra liberamente in un tumulto gelido di vento e acqua.

      Balziamo in piedi: tutti.

      Ed ecco che ad un tratto il riso di Isè la Botta diviene convulso, si esaspera e si tramuta in urlo disperato. L'uomo è lì, appoggiato ai bracciuoli, arcuato in avanti, con la bocca spalancata e gli occhi sbarrati verso la finestra schiantata, come se una visione che noi non vediamo vi fosse apparsa per lui solo. E certo questa visione repentina ingrandisce smisuratamente, si erige da ogni lato intorno a lui e gli riempie il respiro e lo scuote e lo stringe, come se, o venuta dal mare o dalla terra o dal cielo, cercasse lui solo come mèta da schiantare a colpi di vento e di pioggia e gli urlasse intorno una maledizione suprema.

      — Nu curtille! (un coltello!). Per la Vergine della Santa Casa, un coltello! — chiede disperatamente e senza muoversi, mentre per provvisoria difesa, con la voce roca scaglia all'aria immonde imprecazioni...

      Uno stesso orrore ci toglie ogni moto: uno stesso freddo ci fa rabbrividire, giovani e vecchi.

      E noi vediamo l'uomo levar come pazzo le braccia e mettersi a tagliar orizzontalmente con le mani, folate di pioggia intorno a sè, alternando invocazioni alla Vergine e infami bestemmie. Una volta, due volte egli taglia... Ma improvvisamente altre mani invisibili gli fermano il gesto folle: e come se un pugno di ferro lo stringesse alla gola, le sue pupille si arrovesciano, la sua bocca si torce, il suo corpo si arcua di più, vacilla, ricade all'indietro nella poltrona e resta immobile, col volto fissato da una maschera violacea e rigida.

      Immobile? No: un rapidissimo tremito lo agita ancora...

      — È ubbriaco, patrò, è ubbriaco! — gridano i vecchi accalcandoglisi intorno. — Portiamolo via! — Gli farà bene l'acqua... — aggiunge qualcuno ridendo.

      E l'hanno portato via.

      L'hanno portato via alla prima sosta della bufera. E tutti lo hanno accompagnato al suo tugurio


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