L'idolo. Gerolamo 1854-1910 Rovetta

L'idolo - Gerolamo 1854-1910 Rovetta


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un momento di silenzio) Asciugati gli occhi. Cerca di ricomporti. (Più serio, quasi grave) Lui adesso dove sarà?

      Emma (interrogandolo cogli occhi, meravigliata) Non so. Perchè?

      Carlo. Poco fa, nervoso, irritato, gli ho risposto male. L'ho offeso; l'ho provocato. Voglio cercarlo, vederlo: gli domanderò scusa. Tu gli vuoi bene: gli domanderò scusa.

       Indice

      Nella sala del buffet:

      Giordano Mari (prendendo il sorbetto: la sola cosa che in quel momento gli possa passar dalla gola: fra sè) Consigliarmi col Barbarani?... Mi par di sentirlo, quel piccolo guerriero da club!

      — Felicissim! Una questione d'onore? Benissim!

      — E, intanto, se io piglio una sciabolata?... E pazienza la sciabolata; ma se mi toccasse di restare a letto?... Di non potermi muovere per una decina di giorni?.. Allora gli affari? Chi potrei mandare a Padova da quel vecchiaccio esoso di mio fratello colla lusinga del gran matrimonio?.. E l'armistizio da concludere col Finardi e compagnia? — Benissim! Felicissim! — ma, intanto, se sono a letto e non mi posso muovere?... Io devo restare sulla breccia: cambiali e signorina Dionisy. (Dopo due o tre cucchiaini di sorbetto: con un sospiro) Ma se anche mi lascio insultare senza chiederne ragione, addio poesia e addio matrimonio, per un altro verso! (Con stizza sempre crescente: le contrarietà, le incertezze, i «pasticci» lo urtano, gli seccano, lo fanno andare in bestia) Questi borghesi arricchiti colle macchine e coi traffici e diventati nobili coi quattrini... Che piccola e brutta gente! Hanno nel sangue tutti i pregiudizii della stirpe bottegaia, compresa la fissazione che si debbano pagare i debiti sino all'ultimo soldo, non un minuto dopo della scadenza. E insieme si sono caricati anche dell'altra zavorra, i pregiudizii aristocratici. Vi parlano di correttezza e di diritto divino, di economia domestica e di splendore del casato; sono forti sul terreno e nell'aritmetica, hanno la vanità del loro stemma e del loro bilancio: fanno da maggiordomo o da gentiluomo, da fattore o da principe, secondo le ore della giornata e, come tutti gli ibridi, hanno, per atavismo, tutte le avidità del mercante e, per innesto, tutti i fumi del patrizio! (Il sorbetto ingollato in fretta e in furia gli dà un dolore nevralgico acutissimo alle tempie: si ferma, chiude gli occhi: quando il dolore gli passa e li riapre, rimane distratto, guardando fisso il resto del sorbetto, e facendo scorrere fra le dita il cucchiaino) Ed Emma?... Carina, lei, a dispetto della razza! Carina in tutti i modi! Colla freschezza sana e soda di una bella figliuola del popolo, e i piedini da marchesa. Con un'affettuosità sentimentale, docile, remissiva e credenzona; coll'onestà profonda della donna borghese nel sangue, e nell'anima, invece, le raffinatezze romantiche. Facile ad esaltarsi, ad entusiasmarsi e facile anche ad accontentarsi. Un amore di moglietta, sempre in adorazione dinanzi a suo marito... e che suo marito potrà educare in tutto e per tutto all'osservanza delle leggi ed alla moderazione. (Cercandola cogli occhi lustri) Ma dov'è? Dove s'è cacciata quella... marmottina? Il colpo mi è riuscito, stasera, ma non bisogna perderla d'occhio. (Finisce in fretta il gelato; si asciuga i baffi col fazzoletto: gli viene un'idea) Se, invece, andassi a consigliarmi direttamente da lei, riguardo a quell'«oltracotante» di suo cugino?... Mi ascolterebbe tremando, a bocca aperta — che bocchina deliziosa! — ed io mi farei consigliare di non prendere la cosa sul serio per amor suo, di lei. Già, nessuno mi toglie dalla testa che quel bisbetico architetto è un altro Sebastiani, e, anzi, con più gradi di bollore! È innamorato della fanciulla. (Con un sorrisetto di compiacenza) E... il poeta?... È gelosissimo del professore! La gran simpaticona quella Fanny! E poi suo marito è deputato: un voto di più per la mia cattedra. (Rannuvolandosi) E Borghetti? È il Borghetti che mi manca sul più bello! (Tornando all'idea di prima) Emma! Emma! (La cerca cogli occhi, in mezzo a tutta quella gente, — le signore sedute, gli uomini in piedi, — che si affolla rumorosamente mangiando e bevendo attorno alla tavola del buffet). Dov'è andata? Forse da sua madre? Anche quella suocera, un ideale! Per farla scappare, basterà aprir le finestre! (Guarda ancora tra la folla, alzandosi in punta di piedi) No, non c'è. E nemmeno suo cugino! E nemmeno il commediografo! Che io abbia preso un gambero, e che la marmottina non sia invece altro che una famosa civetta? E che si diverta a tener in gioco l'architetto, il commediografo, e magari anche il professore? (Va a spiare fra le tende dell'uscio a destra, che mette nel salottino dove si fuma).

      Niente. Emma non si vede.

      C'è un generale che si sfoga col prefetto contro i socialisti, e c'è Venceslao col sindaco di Milano: il cavalier Venceslao, le belle mani bianche da pianista incrociate dietro le reni, la bella testa un po' china, approva, umile in tanta gloria, una idea del sindaco, il quale vorrebbe intitolare col nome di Verdi una delle principali piazze di Milano.

      Ad un tratto, Giordano Mari, sempre spiando fra le tende dell'uscio a destra, sente la voce di Sebastiani e caccia fuori la testa: Sebastiani non è con Emma. È invece colla d'Arborio.

      Giordano Mari (si nasconde di nuovo, ma in modo da poter osservar bene la d'Arborio da vicino: fra sè, con stupore ammirativo) Un milioncino, mi ha detto il Barbarani! (Dopo aver calcolata la grossa dote accanto alla grossa contessina) Sarebbe guadagnato!... Ma sarebbe sempre un milioncino!

      La D'Arborio (strillando forte perchè ha «un gran secreto», una confidenza da fare al Sebastiani) Sì! Sì! Voi mi avete conquistata! Io vi voglio aprire tutto il cuor mio! Ma solo a voi! Più vicino!... Solo a voi! (Nino Sebastiani non si muove: la d'Arborio gli va sopra, quasi addosso) Ditemi la verità: la verità del pensiero, del sentimento vostro: avete voi pure tutta questa grande ammirazione settentrionale (sottovoce) per i Promessi Sposi?

      Nino Sebastiani (soffoca) ... No.

      La D'Arborio (strillando) Ed io nemmeno! Solo a voi lo dico! Ed io nemmeno! Propriamente no!

      Giordano Mari (guardando dall'uscio a sinistra) Finalmente! (Emma esce dallo studio del Maestro: è seguita da Carlo Borghetti) Toh, toh, toh! Era coll'architetto! (Giordano Mari pensa che l'architetto, per vantarsi, avrà raccontato alla signorina la scena successa fra di loro: un sogghigno cattivo gli fa diventare la faccia lunga e verdognola).

      Emma (appena lo vede, gli corre subito appresso: un po' più timida, arrossendo, combattuta dalla verecondia e dall'amore) Carlo, mio cugino, vuole parlarle, vuole scusarsi con lei per alcune parole di poco fa. (Supplichevole, fissandolo con gli occhi belli, illuminati) Mi promette, non è vero, di essere generoso, di essere buono?

      Giordano Mari (dignitoso, diplomatico) Ma... che cosa le ha detto il signor Carlo Borghetti?

      Emma. Ha timore di averle risposto male, di averla offesa.

      Giordano Mari (interrompendola: eroico) Appunto: volevo rivolgermi al Barbarani ed al maggiore Costamagna per avere una spiegazione.

      Emma (trasalendo, con un grido represso) No! No! È sofferente! Sta proprio male! Le domanda scusa! Le vuol domandare scusa! (Avvicinandosi palpitante, tremante, con uno sguardo che è tutto una preghiera, una carezza, una promessa) Per me! Per me! Lo faccia per me! (Congiungendo le palme, timidamente, con un'ondata di rossore che corre dalle spalle alla fronte) Voglio così!

      Giordano Mari (cavalleresco, inchinandosi, offrendole il braccio) Allora, sia. Mi conduca da suo cugino.

      Emma (lo avvolge con uno sguardo amoroso: i suoi occhi hanno un lampo, le sue labbra un tremito: passa leggermente la manina morbida e bianca sotto il braccio di Giordano Mari, e gli risponde appoggiandosi tutta, coll'aria quasi di abbandonarsi, di farsi portare) Grazie.

      Giordano Mari (inebriato) Dov'è?

       Emma (indicando il Borghetti colla punta del ventaglio) Là!

      Succede un gran movimento nella sala del buffet: le signore che hanno finito di cenare si alzano per cedere il loro posto alle altre signore, rimaste in piedi. Carlo Borghetti in quella ressa è ricacciato indietro. Emma e Giordano Mari non possono più andare avanti.


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