L'idolo. Gerolamo 1854-1910 Rovetta

L'idolo - Gerolamo 1854-1910 Rovetta


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un certo punto, lui si fa molto vicino; lei, pronta, si tira indietro e lo minaccia col ventaglio:

      — È impossibile. E poi... lo avete meritato? — No. Dunque... non voglio.

      La signora Perticari ha finito. Scoppiano gli applausi: anche Venceslao ringrazia col solito sorriso dolcemente dignitoso; tutti si muovono: bisogna andare, scappar fuori dal nascondiglio: non c'è più tempo di ostinarsi, c'è appena il tempo di cedere e di intendersi.

      Donna Fanny. Alle due? Può alle due?...

      Giordano Mari. Sempre! Quando vuole! Qualunque ora!

      Donna Fanny (gemendo) Ma, Dio mio, come farò?... (ci pensa: l'ha trovata) Sì, va bene; alle due. Per essere libera, inviterò mia suocera a colazione.

       Guido Bardi (la lente ficcata nell'occhio; i baffi da gatto più irti che mai, avvicinandosi a donna Fanny colla faccia da volerla mordere: l'ha veduta mezzo nascosta dalla tenda della portiera, ma non ha potuto capire se quell'altro era proprio Giordano Mari) Con lui? Ancora?

      Donna Fanny (comicamente tragica) Sì; con lui! (percuotendolo col ventaglio sul braccio: con un'occhiata che lo calma) E col Barbarani! Lui non è stato solo altro che con Emma. Sapete?... È il Sebastiani che mi pare molto in pericolo!

      Guido Bardi (ridendo con precauzione perchè gli può cadere la lente dall'occhio) Oh! Oh! Oh! Povero Nino!

      Giordano Mari (nell'altra sala, incontrandosi col nobile Barbarani) E l'architetto? Don Carlo Borghetti? Non è ancora venuto?

      Il Barbarani. Adesso! Adesso! In questo momento! Te l'ho detto, non è vero, che si è tagliata una mano con una bottiglia?... Cioè con un bicchiere?

      Giordano Mari. Andiamo a cercarlo! Mi presenterai.

      Il Barbarani (per cavarsela) Non è venuto in sala: appunto, per via della mano fasciata. Ha salutato appena la zia, la signora Letizia, poi si è messo subito a giuocare all'écarté, una partita interessantissima, colla marchesa Gonzales.

      — Andiamo anche noi a vedere; così mi presenterai a tutti e due.

      Barbarani (imbarazzato) Ti dirò — come vuoi, ma proprio stasera, quel lunatico nervosissimo...

      È la terza volta che il Barbarani cerca scuse per ritardare quella presentazione: Giordano Mari, a cui invece preme assai dopo la lettera dell'editore Amodei, dopo certi discorsi fatti a Brera e all'Ambrosiana, e per altri suoi fini particolari, di entrare in amicizia con don Carlo Borghetti, il cugino della signorina Emma, lo guarda, lo fissa diventando serio.

      Barbarani (subito) Felicissim... (Tossendo più forte) Felicissimo!... Soltanto, volevo dir questo: un'ora di tête-à-tête colla signorina Emma sul terrazzo; lunghissima conversazione e intimissima, sotto la tenda dei segreti, con donna Fanny... Diventi troppo pericoloso.

      Giordano Mari (con fatuità: prendendolo a braccetto) Ormai, passò quel tempo, mio caro. Non sono più pericoloso per le signore.

      — Ma sei pericolosissimo per me.

      — Per te?...

      — Precisamente!... E questa sera, per esempio, non ti presenterei una seconda volta, per tutto l'oro del mondo, nè al poeta, nè al commediografo. — Ohi! Furiosissimo l'Otello! E, per vendicarsi, ha promesso di scrivere un dramma in collaborazione con la contessina d'Arborio. La conosci? No? Quella brutta sagoma, più larga che lunga?... Quell'originale che fa la Sand?

      Giordano Mari (vivamente: coll'interesse di chi vuole acquistar cognizioni che, non si sa mai, possono sempre diventare utili) La contessina d'Arborio? Una signorina letterata?

      Barbarani (spiritoso) Signorina e letterata... press'a poco.

      — È ricca? Molto ricca?

      — Questo poi sì. In mancanza di doti, ha una gran dote: un milioncino.

       — Dov'è?... Voglio conoscerla.

      Barbarani (con entusiasmo) Subito! Benissim! Son proprio content!

      Giordano Mari (con calma) No, no; dopo. Prima mi presenterai a don Carlo Borghetti.

      Nella sala da giuoco: soli, ad un tavolino, la marchesa Gonzales e l'architetto. La marchesa sta facendo la partita all'écarté, per far passare il tempo e farsi passare la sete. Essa è in fortuna, marca sempre il re; e prova un ristoro alla compressione del busto — sforzo sovrumano di tre persone, la sarta e due cameriere — gridando addosso a donna Fanny.

      La marchesa (giuocando) È una matta! Non si può dir altro, è diventata matta! E per chi? Per un maestro di scuola. Sì; me l'ha detto uno dei miei amici, per mettermi in guardia; a Padova faceva il maestro di scuola. Un antipatico predicatore di spropositi!... Dev'essere anche un repubblicano, un socialista. Io, col mio colpo d'occhio famoso, appena visto, l'ho subito giudicato: è un po' di tutto... Peuh! — Ho fatto il punto (lo nota).

      Carlo Borghetti (risponde per lo più a monosillabi e giuoca distratto. Ha la faccia stralunata, un certo sorriso strano, melenso: ha una mano fasciata).

      La marchesa. Finirà, quella matta, a far nascere uno scandalo; a disgustare anche Guido Bardi, e... allora?

      Carlo Borghetti. Allora... poco male.

      La marchesa (facendo due occhi e una bocca da mangiarselo vivo) Poco male?!

      Carlo Borghetti. Sicuro! Se donna Fanny si lascia far la corte da un altro, vuol dire che il Bardi non le preme; e se non le preme, anche se lo perde... poco male.

      La marchesa. Poco male?... Malissimo! Una donna di giudizio deve pensare innanzi tutto alla propria riputazione; e il giorno nel quale Fanny non ha più l'usbergo del Bardi, addio, ti saluto. La sua riputazione è andata! (Rabbiosissima) Non avete atouts?

      — Sì.

      — Allora state attento!... Prendete.

      Carlo Borghetti prende, ritira le carte. La marchesa ripiglia il giuoco e il discorso:

      — Lui, come lui, il Bardi, ormai è stato accettato: dunque finchè c'è lui, non c'è nessuno; e finchè lui resta al suo posto, nessuno ha il diritto di accorgersi degli altri, di mormorare. — Marco il re! — (nota il punto, e si calma un poco). Sicuro; bella novità! Il Bardi, anche versi a parte, non è divertente. Ma quello scrivano di Padova è per di più un ineducato. Con me, per esempio, il suo obbligo era di farsi presentare. Ma, però, io sono una donna giusta e sincera: in fatto di sgarberia, anche quell'altro, anche il poeta può darsi il vanto! In tutta la sera non ha trovato un momento per venirmi a salutare. Ma io so come vendicarmi: invito a pranzo la Fanny coi miei amici: tutti giovanotti! tutti simpatici! e lui, quel noioso insopportabile... niente!... A casa.

      Carlo Borghetti (non sorride più: è diventato molto scuro) Dunque avevo ragione io: poco male.

      — Voi?

      — Se questo Bardi è noioso, è insopportabile, donna Fanny merita indulgenza.

       — Niente affatto: lo ha voluto? Adesso è in dovere di tenerselo; così vuole la morale!

      Carlo Borghetti (si ferma dal giuocare: la guarda).

      La marchesa. Tocca a voi (Si china, vedendoci poco, per enumerare colle dita gonfie e corte, coperte di grosse gemme, le marche del piattello) Sono nove; dieci per nove, novanta. Se perdete anche questa partita, sono cento lire, per i miei poveri. Tocca a voi!

      — Giuoco il re di cuori.

      — Lo piglio io e allora faccio il punto. (Mescolando le carte) Anche quell'altra, sapete? Anche la Dionisy... l'amica... (Mettendo il mazzo di carte sul tavolino) Alzate.

      — Mia cugina?

      La marchesa (fa cenno di sì col capo) Alzate.

      Carlo Borghetti (rauco, torvo) Con....


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