L'idolo. Gerolamo 1854-1910 Rovetta

L'idolo - Gerolamo 1854-1910 Rovetta


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marchesa (più forte) Alzate! Bravo! (Dando le carte, poi guardando le proprie e mettendole a posto) A' miei tempi — e non sono lontani — le ragazze oneste, come si deve, usavano di prender marito prima di farsi far la corte dal terzo e dal quarto!... Ma adesso? Ragazze e maritate... non c'è più distinzione; è tutta una charlotte!

      Carlo Borghetti (ancora più rauco e ancora più torvo) E... credereste?

      La marchesa. Credo tutto. (Storce la bocca nera con ironia maligna e appunta come un istrice i peli corti dei baffetti) Mi hanno fatta diventare.... di una fede straordinaria!

      Entrano in quel punto nel salottino il nobile Barbarani, saltellante, e Giordano Mari impettito, maestoso.

       La marchesa (sottovoce, in fretta) Giuocate! Giuocate! Arriva il grand'uomo col servitore di piazza!

      Il nobile Barbarani (avvicinandosi alla marchesa col suo compagno dietro: due o tre colpetti di tosse) Permetta, cara marchesa gentilissima, che finalmente possa avere l'onore di presentarle io stesso il mio amico Giordano Mari, illustre pensatore, filosofo, illustre letterato, di cui la bellissima fama, certo... certissim... (e si fermerebbe anche da sè, ma la marchesa lo interrompe, offrendo la mano, assai graziosamente, anche al luterano).

      La marchesa (perfettissima: vieux régime) Giordano Mari, e basta il nome, caro Barbarani. Basta il nome. Non sono poi così dell'altro mondo: anch'io ho applaudita, ho ammirata la sua bellissima conferenza. (Abbassa gli occhi, si dà una rapida occhiata orizzontale: tutto è a posto: amabilmente, facendo scorrere la collana di perle) Tutti speriamo di sentirne un'altra; sarà presto?

      Giordano Mari (rivolgendosi collo sguardo anche a Carlo Borghetti) Per ora, no. Ho dovuto interrompere il ciclo delle mie conferenze per un lavoro più serio, più importante... (alzando gli occhi al cielo e mostrandosi stanchissimo) che mi occupa assai.

      Barbarani (pronto, pigliando la palla al balzo) Un lavoro storico, alla Momsen, interessantissimo: Ambrogio vescovo, nella civiltà de' suoi tempi.

      La marchesa (coi peli dei baffetti che tornano a rizzarsi, per pungere) Cioè... Sant'Ambrogio?

      Barbarani (con acume e competenza) A' suoi tempi, non era ancora santo: era soltanto vescovo!

      Giordano Mari (sempre rivolgendosi cogli occhi e col discorso all'architetto) Per questa mia monografia, per rivederla, per completarla, mi sono fermato a Milano. Qui, sul luogo, ho molte ricerche da fare; moltissimi documenti da consultare. E, perciò, devo scusarmi con lei, signora marchesa, se, dopo aver ottenuta la gentile permissione di esserle presentato, non ho potuto, prima d'ora, procurarmi l'onore e il piacere della sua ambita conoscenza.

      La marchesa. Appunto: pensavo anch'io: — che mai vuol dire questo ritardo? — Forse qualche... divieto? Ma, adesso, capisco benissimo: Sant'Ambrogio! E quando si ha da fare coi santi, non si scherza e non c'è più tempo per i poveri mortali. Dico bene, Barbarani?

      Barbarani. Benissim! Son proprio content!

      E il nobile Barbarani era davvero molto contento. Ormai, per le leggi dell'etichetta, era la marchesa che doveva presentare Giordano Mari a quel lunatico impetuoso del Borghetti.

      Carlo Borghetti (alzandosi e offrendo alla marchesa, con un inchino, un biglietto di banca) Se permette, marchesa... il mio debito.

      La marchesa (mostrando le cento lire a Giordano Mari e poi chiudendole nel portamonete colle dita tremanti e con un lampo di gioia ingorda negli occhi spelati) Sono... per i miei poveri. (Trattenendo Carlo Borghetti mentre le dà la mano e fa per andarsene, e presentandolo) L'architetto Carlo Borghetti: Giordano Mari.

      Giordano Mari (Un grande inchino, e tutti i soliti complimenti: molto espansivo. L'altro risponde appena senza guardarlo, occupandosi solo della sua mano che gli si è un po' sfasciata).

      La marchesa. Soffrite?

      — No.

       Barbarani. Dovresti farti fasciare di nuovo e un po' meglio col taffetà, dal dottor Speranza.

      — No.

      La marchesa (che ha sempre bisogno di muoversi per quella sete che la brucia viva, ma non la dimagra: alzandosi adagio, appoggiando le mani al tavolino, soffiando e sbuffando; due minuti per ripigliar fiato; poi, accettando il braccio del Barbarani, e avviandosi con un po' di ondulamento) Andiamo in cerca del dottore (si sentono gli accordi al pianoforte) Sst! (ascolta un momento) il Falstaff!... Andiamo a farci vedere nel salone, da Venceslao. È troppo buono; non merita dispiaceri.

      Giordano Mari, per lasciar passare tutta la magnifica marchesa col Barbarani, resta indietro, vicino a Carlo Borghetti.

      Quella presentazione è stata troppo breve, troppo superficiale; egli ha paura che Carlo Borghetti gli sfugga; vuol trattenerlo ad ogni costo; ma, per trattenerlo, bisogna parlare.

      Che cosa dire? Che cosa dire?

      Giordano Mari ha la smania di parlare e non trova una parola. È rimasto ad un tratto, per combinazione, per dispetto, col cervello vuoto e colla lingua di piombo. Eppure bisogna parlare, parlare! Bisogna rompere il ghiaccio, o lasciarselo scappare!

      Ma ogni istante che passa è un'occasione perduta; ad ogni istante cresce l'impiccio del momento... Giordano Mari si sente persino ridicolo.

      Parlare? Parlare?... bisogna trovar le parole per parlare!

      Carlo Borghetti rimane sempre più impenetrabile, freddo, muto, in un atteggiamento quasi ostile: si sforza per annodare la fasciatura di seta nera attorno alla mano.

      Giordano Mari (a un tratto, con premurosa gentilezza) Permette? Potrei aiutarla?

      Carlo Borghetti (cacciando subito la mano nella sottoveste) Grazie; ho finito. (Gli volta le spalle e fa per andarsene).

      Giordano Mari (tenendogli dietro ostinatamente, dicendo il primo scherzo, le prime parole che gli corrono sulle labbra) È stato un duello, non è vero? Me l'ha detto l'amico Barbarani! Un duello con una bottiglia!

      Carlo Borghetti (fermandosi, voltandosi, fissandolo serio) No, non è vero; non l'ha detto. Il Barbarani non dice sciocchezze! (Guarda ben fisso Giordano Mari ancora per un istante, poi dà un'alzata di spalle e se ne va).

      L'altro rimane sbalordito, a bocca aperta.

       Indice

      Emma ha sentito dal Barbarani che suo cugino Carlo si è ferita una mano «abbastanza serissimament» col vetro di un bicchiere. Inquieta, corre a cercarlo dappertutto: lo trova, alla fine, solo soletto, seduto in un angolo della stanza più lontana, in fondo all'appartamento. È lo studio del cavalier Venceslao, denominato «lo studio del Maestro», perchè le pareti sono tappezzate colla raccolta completa di tutti i ritratti di Giuseppe Verdi, coi quadri allegorici di tutte le sue opere; coi ritratti degli interpreti più famosi. Sulle scansie, sulle mensole, statuette, figurine in bronzo, in terracotta: Aida, Ernani, Otello, il Trovatore, Falstaff, il gruppo dei tre congiurati del Ballo in maschera. Il calamaio, in argento russo, sempre pronto, con un quinterno di musica, vicino al pianoforte verticale, rappresenta una tomba colla iscrizione in oro: A Carlo Magno sia gloria e onor!

      Emma (correndo appena lo vede, presso il cugino, che, sorpreso, si alza di colpo chinandosi per salutarla) Ti sei fatto male?...

       Carlo. No, no.

      Emma. Mi ha detto il Barbarani che ti sei tagliato una mano con un bicchiere?

      — Non è niente!

      — Che non sia rimasto nella ferita qualche pezzettino di vetro?... Lasciami vedere!

      — Grazie, ma non ne


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