Il mondo è rotondo. Alfredo Panzini

Il mondo è rotondo - Alfredo Panzini


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      Salì nella sua camera per stendere la relazione a S. E. il ministro.

      Beatus aveva a questo proposito bellissime note di taccuino, fra le quali la seguente: che le iscrizioni degli scolari sui muri delle scuole del nord, valevano quelle degli scolari del sud, tranne qualche variazione nei dialetti.

      Tanto nell'Italia del nord come in quella del sud aveva trovata abolita la vecchia cattedra; e in quella vece il tavolino: riforma democratica, ma pericolosa, perchè tra maestro e scolaro deve esistere amore, ma con un metro almeno di distanza; in secondo luogo perchè il tavolino presuppone nel professore calzoni e scarpe irreprensibili, altrimenti gli scolari guardano le scarpe e i calzoni dei professori.

      Tanto nell'Italia del nord come in quella del sud aveva trovato gli scolari mescolati con le scolare, ma a Beatus era nato il sospetto [pg!29] che questa mescolanza aumentasse i globuli bianchi nel sangue degli adolescenti.

      A questo proposito Beatus, una volta, aveva dato scandalo, perchè in una scuola liceale, essendo chiamata una signorina a rispondere, Beatus osservò che tutti gli scolari erano colpiti da stupore idiota.

      Muta era anche la signorina: ma faceva il bocchino dolce e idiota.

      «Dica quello che sa, signorina», confortò un professore con patetica voce. E allora il verso:

      Chiare fresche e dolci acque — tremò su le labbra della signorina.

      Ma Beatus interruppe dicendo: «stia ritta!»

      «Ma io sto ritta!»

      «No, lei sta storta!»

      La signorina stava bensì ritta, ma in linea serpentina, come è stabilito negli ultimi testi della moda.

      Allora Beatus inforcò gli occhiali e vide che la signorina era eccessivamente estiva nella sua blusetta, e ordinò:

      «Esca e si vada a vestire.»

      [pg!30]

      *

      Vi erano poi alcune note che non si sarebbero mai potute presentare senza offesa a Sua Eccellenza, fra cui questa:

      «Se proprio lo Stato vuole lui alimentare le scuole, non alimenti almeno i propri nemici». Ve ne erano altre che se anche S. E. le avesse degnate, mai S. E. le avrebbe potute presentare in una relazione da distribuire ai signori deputati. Per esempio queste: «Lo studio è cosa aristocratica». Seguiva poi una nota che avrebbe offeso non solo alcuni deputati, ma poteva parere anche pazzesca a molti:

      «Il grido, morte all'intelligenza! non ha valore se non quando si è percorso tutto il giro dell'intelligenza. Vero è che le democrazie scontano oggi l'errore di voler fare di tutti gli uomini animali pensanti.»

      Altre note avrebbero offeso la corporazione dei professori; come questa: «La crisi attuale della scuola è in ultima analisi crisi.... di materia cerebrale».

      Altre note poi offendevano l'intera nazione, come questa:

      [pg!31] «Tanto nell'Italia del nord come in quella del sud esiste povertà del senso tragico: gli aggettivi ne costituiscono il surrogato».

      Vi era, poi, una nota che offendeva tutto il genere umano: «Inutile predicare la verità.

      «I dormiglioni tirano il collo al gallo! ma con tutto questo lo stupido animale canta pur sempre dopo la mezzanotte e allo spuntare dell'alba.

      «I galli salvano l'umanità a prezzo del loro collo».

      *

      Anche quella mattina Beatus stette nella sua camera per sviluppare questi appunti, ma non ci riuscì. Non aveva reagenti. Però aggiunse questa nota: «Invece dei salterelli, insegnare la ginnastica giapponese che permette a chi è più debole di abbattere un mascalzone».

      Ma quando fu verso mezzodì cominciò a sentire un piccolo onesto appetito allo stomaco.

      Un'ala di pollo con annessa anca, calda bollente, sarebbe stata gradita. Rammentava il pollo, spennato da Gigia.

      [pg!32] «È deplorevole — diceva Beatus pensando al pollo — che qualche volta lo stomaco umano reclami l'albumina animale. E se invece di una gallina fosse un gallo?»

      Dunque si lavò le mani per la colazione. Cioè se le volle lavare, ma non c'era più acqua nella piccola brocca.

      Chiamò con voce dolce, decrescente: — Gigia, Gigia, Gigia!

      Ma Gigia non rispose. Certo un tedesco avrebbe chiamato con voce imperiosa crescente: «Ghighia! Ghighia, Ghighia!», e Gigia avrebbe risposto.

      Andò dunque lui ad attingere acqua, e fece altre igieniche faccenduole nella camera, che Gigia o Carmè o Concettiella chissà quando avrebbero mai fatte.

      E scese per la colazione.

      [pg!33]

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      Erano le undici e mezzo, e nella sala da pranzo non c'era nessuno ancora, fuorchè Giggia, la profuga dai chiari occhi idioti. Ella, senza pudore, essendo già l'ora di servire in tavola, infilava i suoi piedi nudi nelle calze.

      — Voi che state facendo? — domandò Pasquà a Beatus.

      — Caro Pasquà — rispose Beatus —, vorrei fare colazione, e mi è sembrato di sentire dalla cucina un odorino di brodo. Avete messo un pollo nella pentola?

      — Ce steva — disse Pasquà — ma sono venuti due operai e se l'hanno magnato.

      — Due operai hanno mangiato un pollo?

      — Eh, caro signore — rispose Pasquà — mo' i polli li magna chi lavora.

      E allora entrò Carmè, la bianca, con un cestello di fragole.

      [pg!34] — Oh, le bellissime fragole — esclamò Beatus.

      — Queste non sono per voi — disse Pasquà.

      — E perchè?

      — Questa è una cosa troppo fina, e co' zucchero e co' cugnac, meno di quattro lire non ve le posso dà. È roba da cocottes che ponno pagà. E poi scusate; mo' che la gente soffre la fame e muore in guerra, vui andate cercando le fragole? Vui siete gentiluomo!

      E queste parole furono proferite in tono di rimprovero.

      Ora, siccome Beatus girava appunto l'Italia per rimproverare altrui, così gli dolse esser rimproverato dall'oste, e domandò:

      — Come fate a sapere che io sono un gentiluomo?

      — Ih, si vede! V'aggio domandato il nome? Se siete profugo, internato, se siete francese, chi siete, che cosa siete venuto a fare in questo paese? V'aggio presentato il conto? Vui siete gentiluomo e basta! Vedete quella tavola? Mo' arrivano le cocottes.

      Una compagnia d'operette agiva in un piccolo teatro lì presso, e Pasquà chiamava, senza cattiva intenzione, col nome di cocottes [pg!35] o di ciantose ogni donnina un po' eteroclita.

      — Assettateve, assettateve, che mo ve porto una minestrina di verdura, che va bene per vui.

      *

      Realmente Pasquà aveva dato a Beatus una lezione di sociologia: mangiano delicatezze coloro di cui la società ha bisogno: operai e cocottes.

      *

      Un fruscio di seta, un incrociarsi di voci e di risa avvertì Beatus che le cocottes o ciantose erano giunte.


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