Il mondo è rotondo. Alfredo Panzini

Il mondo è rotondo - Alfredo Panzini


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come Pasquà. Le signorine parlavano con la voce sguaiata del palcoscenico.

      Pasquà, derogando al suo costume, prese lui i servizi di mensa e cominciò: — Mo' ve servo 'na supressata di verace maiale «Eccellentissimo!», significò trivellando la gota.

      Ma non ottenne il meritato successo di approvazione perchè i due giovanotti consultarono [pg!36] prima le ciantose, e si sentì la voce di Pasquà che aveva perso la pazienza e disse: — Più fine? Più fine di vermicelli con le vongole che v'aggio a dà?

      A Beatus, Pasquà fece portare la minestrina di erbe cotte. Mangiando la quale, Beatus si ricordò di quel sapientissimo Esiodo, quando dice: «Stolti gli uomini, che non sanno quanto maggior guadagno sia cibarsi di malve e di asfodelo che di opere ingiuste» Vero! Ma è seccante aver vicino chi mangia pollo e fragole.

      Nell'attesa degli spaghetti con le vongole, le due ciantose si tolsero i cappelli e i mantelli. Poi aprirono le loro borsette, ne levarono piumino, specchietto, lapis e cominciarono a ritoccarsi il volto come in casa propria.

      I due giovanotti assistevano all'operazione con molta serietà.

      Per quello che Beatus poteva distinguere, le due ciantose erano due babbuine dipinte: carni un po' travagliate, roba di terzo ordine. Pretesa di gran mondane, come i piumacci dei loro cappelli avean pretesa di colibrì. Uno dei visetti era mantecato all'alchermes, l'altro al pistacchio. Se avessero avuto più senno, [pg!37] si dovevano mantecare allo stesso modo. Ma forse pei due provinciali erano più interessanti così.

      Una di esse, d'un tratto, fece scattare contro i giovanotti la pompetta dei profumi. Il loro incanto di contemplazione fu rotto e parvero felici come bimbi a cui il giocoliere fa un bel giuoco. Chiusero gli occhi e accolsero in faccia l'acqua benedetta.

      Ma quando Pasquà ebbe stappato la bottiglia, e versò il nero vino, fu dolcemente redarguito da uno dei giovanotti. Ma non dolcemente rispose Pasquà:

      — Vui pazziate, compà — disse. — Io vi apro una bottiglia che è una reliquia, e vui andate trovando 'a sciampagna!

      Dopo gli spaghetti e il vino fumoso, il simposio si animò.

      Beatus sentì uno dei giovanotti che diceva a una delle ciantose: — Facite vedè!

      Era il modo come esse tenevano la forchetta.

      Si provarono essi, ma non vi riuscirono.

      — La vostra maniera è aristocratica — disse uno —, ma accussì non se ponno magnà li vermicelli.

      [pg!38] Una ciantosa intonò:

      Mi chiamano Mimì

      il perchè non so.

      I due giovanotti si distesero estasiati come due grossi cani a cui si faccia una carezza.

      Beatus provò un senso di nausea a quel romanticismo da strapazzo.

      Ma il passaggio al realismo fu rapido, chè una delle ciantose disse forte ad uno dei due giovani: cochon, mon petit cochon.

      Parve al giovane parola gentile e se la fece spiegare. La spiegazione fu data all'orecchio e piacque tanto che il giovane diè in uno sguaiato scoppio di risa. Allora anche l'altro giovane reclamò la sua porzione, e le due ciantose la diedero in toscano: — Schifosino, schifosetto, schifosone!

      Ma quando le due ciantose dissero:

      — Imboscato, imboscatissimo! — i due giovani mostrarono di non gradire molto.

      — Ma se non c'è nessuno! — disse una delle due ciantose.

      Il giovane ammiccò a Beatus.

      Le ciantose volsero verso quella parte l'occhio protervo, videro l'omiciattolo e alzarono [pg!39] le spalle, come a dire: «quello lì non conta».

      E proprio non doveva contare, perchè quando furono portate le fragole, una delle ciantose si metteva una fragola fra le labbra e se la faceva togliere da uno dei due. Assaporava costui e diceva: — Mo è condita più meglio che con la cugnac. Prova anche tu, compà. Questa sta la moda de Pariggi.

      Et ultra! parve assentire la compagna.

      *

      Beatus credette opportuno togliersi di lì.

      Egli, l'illustre pedagogista, aveva assistito ad una lezione delle più squisite grazie francesi.

      *

      — Sono gentiluomini anche quei due? — domandò Beatus a Pasquà.

      — Ih, che dicite! Quello biondo, prima della guerra, faceva o scarpariello, e mo fa il negoziante di scarpe de cartone pei soldati; quello più anziano ha fatto un sacco di danari coi fichi secchi pe' Governo. Non sono gentiluomini come me e come vui: sono plebbe, ma tengono alte amicizie. Ma stateve buono, signorì; per questa sera v'aggio stipato due fragole.

      [pg!40]

      Veramente le fragole erano diventate odiose a Beatus.

      «Dicono, — rispondeva Beatus mentalmente a Pasquà — che la sociologia sia una scienza moderna; ma Esiodo, benchè vissuto tanti secoli fa, ne sapeva almeno quanto Vilfredo Pareto».

      Pasquà ora serviva caffè e rosoli. Ma tornò indietro subito col vassoio:

      — Vogliono il caffè in to giardino, sotto il bersò.

      — Caro Pasquà, — gli disse Beatus — l'aristocrazia non prende mai il caffè dove ha pranzato.

      Ma Beatus sul tavolo di Pasquà vide una lettera e disse: — Questa è per me.

      — E se è vostra, pigliatevella.

      — Ma quando è arrivata?

      — Ma che saccio io quando è arrivata! Domandate al portalettere. Vui volete sapè tutte cose. Ringraziate Iddio che è arrivata.

      Era il caso di osservare a Pasquà che lui era poco gentiluomo; ma era così arrabbiato per quei signori là, sotto il bersò.

      [pg!41]

       Indice

      La lettera che Beatus aperse, non portava «illustre» nella soprascritta, ed era scritta con righe trasverse, la qual cosa è specialità della donna. Ma non poteva essere una donna elegante, perchè queste scrivono con quel carattere a zampini isterici che è di moda, e si direbbe — se la cosa fosse possibile — insegnato da un calligrafo umorista per far dimostrare alle donne stesse che esse non hanno un carattere, se tutte possono adottare un uguale carattere.

      La lettera che Beatus aperse, aveva invece un carattere, ma sbilenco e deforme.

      Infine, il bollo postale era appiccicato dietro la busta, e questa è specialità delle serve quando il possesso della terza elementare le mette in grado di scrivere la loro lettera d'amore. Infatti era Scolastica, la serva di Beatus: ma non era lettera d'amore perchè diceva le cose seguenti:

      [pg!42] «Signor padrone, vengo con questa mia per farle sapere che tutti noi stiamo bene e così spero anche di lei. E prima di tutto gli devo dire che io sono molto contenta perchè mio fratello ha avuto venti anni di galera, che sono diventati dieci per l'amnistia: e adesso fa il muratore a Santo Stefano, così sono sicura che non se lo mangeranno i bacherozzoli; e poi tutti mi dicono che appena finita la guerra, li metteranno fuori tutti, come è di giusta, perchè lui non ha rubato nè ammazzato nessuno!»

      Qui Beatus si fermò. Egli aveva il vizio di fermarsi a tutti i problemi, come i cani a tutti i paracarri: il problema qui era tremendo! Il fratello di Scolastica era stato condannato per diserzione; cioè appunto perchè non aveva ucciso in guerra.

      Ma quella frase plebea: non se lo sarebbero


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