Pasquale Paoli; ossia, la rotta di Ponte Nuovo. Francesco Domenico Guerrazzi

Pasquale Paoli; ossia, la rotta di Ponte Nuovo - Francesco Domenico Guerrazzi


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senonchè la pace era già stata bella e conchiusa a Castello Cambrese; e l'Orsini la sapeva, ma la dissimulò per vergogna o per paura. Sul quale proposito certo storico genovese scappa fuori con due sentenze, una buona, l'altra cattiva; buona quella con la quale rampogna l'Orsini, il quale, se veramente cristiano e gentiluomo era, non doveva patire che gente in procinto di essere abbandonata da lui, aizzasse con nuove ingiurie l'animo dei signori abbastanza inacerbito, massime che le offese fresche cociono più delle vecchie: cattiva l'altra con la quale sgrida il re Enrico di avere preso le parti dei Côrsi, non dovendo egli scomodare la Francia pei fatti nostri. Nel raccontare queste avventure mi pigliano i sudori freddi, e l'attaccherei, Dio mi perdoni, anche co' santi: ma sopratutto io mi arrovello con Sampiero, il quale, a quei tempi, era, si direbbe, il sopracciò della Corsica. Costui avendo militato nella ultima guerra della repubblica di Firenze contro l'Imperatore, doveva rammentarsi come i poveri Fiorentini restassero conci dai Francesi. Anche allora re Francesco, con mille promissioni e giuramenti, gli assicurò non gli avrebbe mai abbandonati; giunse perfino a dire, che avrebbe preferito perdere i figliuoli in Ispagna che abbandonare i confederati, e questo non tolse; che indi a pochi giorni li tradisse a Cambraio, e così vituperosamente, che Giuda stesso non avria fatto peggio. Anzi quando gli oratori fiorentini andarono a moverne querimonia in corte, udite un po' come li saldassero i ministri regi: — o che presumevate, dissero loro quei cortigiani guardandoli a stracciasacco, che pei vostri begli occhi perdessimo i figliuoli? Mandate la lingua al beccaio se non volete, invece di un nemico, tirarvene addosso due. La pace di Cambraio, e quella del Castello Cambrese, aspettando altre che le facciano il vezzo, tornano agli orecchi della Francia come i pendenti alla sposa. Talvolta però mi arrapino più col popolo che coll'uomo, imperciochè questo sia caduco, e invecchi, e instupidisca, e dimentichi, ma quello si rinnovi sempre, goda di giovinezza perpetua, e, dove voglia, non gli fanno mai fallo la mente o le braccia. Ma tanto è, quando mi metto a considerare come l'uomo spicciolo, e le masse degli uomini dimentichino presto, mi cascano le braccia, e torrei piuttosto a scalpellare un pezzo di granito dell'Algaiola, che imprimere in cotesti capacci un ricordo per loro governo. Oh! quante volte, fatto un falò dei miei libri, mi sarei ridotto in qualche eremo lontano, dove non si sentisse nè anco il rumore dei ranocchi... ma poi me ne dissuase la speranza, che dài, picchia, martella, una volta l'abbiano a capire.

      — La capiranno, con un grossissimo sbadiglio disse Ferrante Canale, e ci mise dentro un suono di voce, che male si distinse se attendesse approvare o piuttosto interrogare.

      — Però, riprese il frate, di raccomandazioni e buone parole, secondo il solito, per la parte dei Francesi non fu penuria, e giovarono quanto l'incenso ai morti. In effetto i Francesi senza ridere chiesero guarentigia di buon governo ai Genovesi, e questi di proteste empirono loro le tasche, ma appena eglino ebbero svoltato il canto, ci acciuffarono peggio di prima, gravandoci di 20 soldi, non più a fuoco, bensì a testa, e con altra imposta troppo più incomportabile, ch'era un tre per cento sul valore delle terre. Sarebbe stato piuttosto agevole cavare a san Bartolomeo una seconda volta la pelle, che a Côrsi quattrini, sia che ne patissero a quei tempi inestimabile inopia, sia che le terre, a cagione di cotesti trambusti, andassero nabissate, ed anco a parte ciò, fossero state stimate quattro cotanti oltre il giusto prezzo. Dopo molti strazii il Banco di San Giorgio se ne accorse, e soppresse il balzello, ma il Senato, udito ciò, fece una lavata di capo a San Giorgio delle buone, e gli disse: che cotesto suo era un pigliare il male per medicina, e che per uscirne a bene co' Côrsi ci abbisognano tre cose: forche, e poi forche, e sempre forche; e Côrsi e forche stavano insieme come la pasqua e l'alleluia. San Giorgio, che se ne sentiva fradicio, rispose, che una volta voleva fare come gli tornava, e un'altra come gli piaceva, e a cui non garbasse gli rincarasse il fitto. Voi lo sapete, le parole sono come le ciliege una tira l'altra, sicchè alle corte il Senato ripigliò il governo della isola, dando licenza a San Giorgio, strano a dirsi, per la prima buona azione commessa durante la sua vita.

      A carne di lupo dente di cane: tornò Sampiero in compagnia di undici fidati, e con esso la fortuna côrsa. Sampiero sì che avrebbe meritato la famosa tromba del signor Torquato, non quel coso del Buglione, il quale non leva mai un ragnatelo dal buco. Così è, signor Inglese, mentre per fare ammirande le geste di parecchi, che il mondo costuma salutare grandi, bisogna aggiuntarvi un terzo almanco di fantasia, per quelle di Sampiero è mestieri sminuire la verità a fine di non passare di sballone.

      Soccorso il valentuomo non ebbe da veruno, chè tale non si potria dire quel po' di munizione speditagli da Cosimo duca di Firenze, nè gli ottomila scudi con le undici bandiere di Caterina regina di Francia, intorno alle quali occorreva ricamato in oro il motto: Pugna pro Patria!

      Singolare aiuto in fede di Dio; tanto più singolare, se si consideri, che Federico re di Prussia mandò al degno erede della grande anima di Sampiero, generale Paoli, una spada con la medesima leggenda: Pugna pro Patria! senz'altro. Le quali parole voltate in buon volgare significano: — il nostro mestiere, che è quello di re, non ci permette aiutare repubbliche; se ti puoi reggere da te reggiti, se no impiccati. — Certo tra Caterina dei Medici e Federico di Brandenburgo ci correva, ma in fondo avevano ragione ambedue; e i principi fino da piccini si ficcano bene nel cervello la dottrina del dispotismo, mentre il popolo fin qui o non la seppe comprendere, o non la potè ritenere in mente. Le milizie genovesi intorno a Sampiero si consumavano a mo' delle farfalle intorno al lume; per la quale cosa i magnifici Signori avendo sperimentato come l'assassinamento costasse meno ed attecchisse meglio, commisero al Marcendino provenzale, e a Paolo Mantovano, di ammazzare quegli Sampiero, questi Achille da Campocasso, ed ambedue lo tentarono, il primo col ferro, col veleno il secondo, ma fallirono il colpo. I magnifici Signori non si sgomentarono per questo, anzi più alacri di prima si aggiunsero complici al delitto tre Ornani, e un Ercole d'Istria: questi chiamarono a parte della congiura frate Ambrogio di Bastelica (che Dio danni in eterno l'anima di quel maledetto frate), il quale, abusando della confessione, persuadea a Vittolo, fidato servitore di Sampiero, che avrebbe il favore della Repubblica, si guadagnerebbe la indulgenza plenaria e la remissione dei peccati, mettendo le mani nel sangue del suo padrone.

      Ahi! Sampiero, perchè ti lasciasti cogliere alla ragna? E sì che gli anni della discrezione non ti mancavano contandone tu più di settantaquattro; ma tanto è, ognuno ha da filare la lana che gli ha messo tra mano la fortuna. Certa sera recano a Sampiero lettere false a Vico di taluni amici della provincia della Rocca, le quali lo avvisano essere disposti a tumultuare; corresse difilato su i luoghi. Sampiero con giovanile avventatezza, senza ombra di considerazione, tolti seco il figliuolo Alfonso, e Vittolo, con alquanti cavalli, cavalca forte fino a Corticchiati; il giorno dopo passa a Ciglio, dove in cognizione come un uomo della terra facesse la spia al nemico, senz'altra forma di processo ordinò di presente lo impiccassero; quinci si affrettava alla posta datagli, la quale era a Cauro: senonchè tra Eccica e Suarella allo svoltare del poggio si vede accorrere di corsa parecchie centinaia di archibugieri a cavallo capitanati dal comandante Giustiniani e dai tre Ornani. Egli allora si giudicò morto, e rivolto al figliuolo gli disse: — E' vogliono me, tu sàlvati, chè quanto posso li tratterrò; — e siccome il signor Alfonso nicchiava, con gran voce Sampiero riprese: — Va via, se anco tu caschi morto, chi resta a vendicarmi? — Quegli allora voltò la briglia salvandosi a precipizio. Sampiero posto da questo lato l'animo in pace, sprona francamente contra il nemico: il primo ch'ei giungesse fu Michelangelo d'Ornano cui disse: — Traditore, tu sei morto! — E quegli di rimando: — Anzi tu, assassino di femmine! — E si spararono l'uno alla vita dell'altro gli archibugi. Sampiero ne uscì illeso, e Michelangelo soltanto ferito un cotal poco nel collo. Allora Sampiero chiese al Vittolo, gli porgesse un altro archibugio, e quei glielo porse, ma non fece fuoco, perchè Vittolo nel caricarlo aveva messo la palla nella canna prima della polvere. In quella, ch'ei stava maravigliato e sbigottito per la novità del caso, Giovannantonio di Ornano gli menò della spada su la faccia sfregiandolo di sconcia ferita, Sampiero afferrò per la canna lo archibugio, ed adoperandolo a guisa di mazza, con tanta forza ne diede in testa a Giovannantonio, che aperte le braccia come se dicesse: Dominus vobiscum, balenò per cascare da cavallo. Vittolo, che aspettava il destro, visto Sampiero, acciecato dal sangue, armeggiare con le mani, gli sparò a bruciapelo l'archibugio nelle spalle, e l'uccise di botto.

      Il commissario, quando gli fu messo dinanzi il capo mozzo di Sampiero, ebbe ad ammattirne per l'allegrezza; buttò moneta dalle finestre, fece le luminarie, commise tutte le artiglierie menassero gazzarra,


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