Pasquale Paoli; ossia, la rotta di Ponte Nuovo. Francesco Domenico Guerrazzi
noi altri frati: quando chiudiamo la sepoltura diciamo: chi sta dentro se n'è andato in pace: però noi caliamo nella tomba i morti, mentre gl'invasori presumono metterci i vivi. Così i Genovesi a noi. Levateci le penne maestre, invece di blandire l'angoscia della indipendenza perduta, essi presero a bucare gli statuti pattuiti peggio dei vagli; con la forza talora tappavano i pertugi, ma ogni dì si tornava da capo; la fame fu reputata arte di regno, e così la ignoranza, e così lo sperpero delle famiglie. Voi vi avete a figurare che a tale intento moltiplicarono fino a sessantasette i conventi dei frati, mentre di monache ne concessero a pena uno...
— Io non comprendo, disse l'Inglese, a cui il frate si affrettò rispondere:
— La è chiara come l'acqua, perchè le donne stando a casa si maritano e stremano le famiglie per via delle doti, e gli uomini, rendendosi frati, in virtù del voto di castità non danno opera allo incremento della popolazione.
— Il signor Giacomo guardò il frate sottecchi, per conoscere se e' burlasse o dicesse da vero, ma visto che il frate non aveva muscolo che non fosse di buona fede, data una giravolta alla scatola riprese:
— Bene! ora capisco.
— Ogni giorno una ferita: ora esclusero i Côrsi dalle dignità ecclesiastiche tutte, perfino dai benefizii semplici, ora dagli officii civili di luogotenenti, cancellieri, capitani di presidio, sindacatori, castellani, notari, massari, munizioniere, esattore; e via via rinfrescandosi i divieti negarono loro gli ufficii di giusdicente, capitano, alfiere, sergente, caporale, ed anco di soldato nei presidii. Rispetto a ladri io ben vi voglio dire altro che questo: certo patrizio genovese, parente di un governatore, reduce della Corsica, gli domandò: le montagne ce le hai lasciate? Ed un altro, quando sentiva sonare a morto, innanzi di recitare il de profundis, domandava: tenne ufficio in Corsica il defunto? — se gli rispondevano: lo tenne; egli ripigliava: allora è fiato buttato; dallo inferno nessuno lo può cavare. Signor Inglese, ponete mente, non siamo noi Côrsi che giudichiamo, bensì sono questi giudizii di Genovesi su Genovesi.
— Bene, bene, ma gli raccontate voi altri, mormorò il Boswell fra i denti.
— Però non vi date mica ad intendere che le apparenze offendessero la onestà, anzi il decoro: la tirannia appena nata si agguantò alle gonnelle della ipocrisia, come i putti costumano a quelle della balia per non cascare. Tutti gli oppressori, o vuoi domestici o vuoi forestieri, hanno imparato da Caco a tirarsi dietro i peccati mortali per la coda, affinchè la gente vedendo le orme impresse in terra alla rovescia, li creda usciti, mentre all'opposto sono entrati in casa al tiranno; ma le sono arti che non salvarono nessuno dalle mazzate di Ercole. Di vero non si poterono lungo tempo nascondere le discordie da loro aizzate, gli omicidi promossi come la più grossa delle entrate. Un degno ecclesiastico, il padre Cancellotti della compagnia di Gesù, computa che, durante 30 anni di dominio genovese, la Corsica annoverò 28,000 morti di omicidio, e non furono tutti; e questo perchè? Perchè giudicando il Governatore ad arbitrio o come dicevano ex informata conscientia, vendeva le condanne, poi le grazie o salvocondotti di venire liberamente in paese, detti di tutto accesso, donde le ire riardevano, e quindi morti, ed incendii, e assassinii, desiderata messe di guadagno pei magistrati egregi. Genova faceva pagare un occhio per la patente del porto di arme, e ne vendeva settemila all'anno. Supplicata, vieta le armi, e per ricatto del provento delle patenti, impone due lire per fuoco, ma poi continua a dare le licenze per danaro, ed ella stessa vende ai Côrsi di contrabando le armi, sicchè quando nel 1739 il Magliaboia le levò, furono trovati ai Côrsi mille schioppi proprio con la croce della serenissima Repubblica di Genova. Ma sentitene un'altra: dopo averci immesso alla sordina gli schioppi, ella fustibus et gladiis mena a frugarli, e se li trova, guai! chè fra carcere e multe tu sei rovinato. L'assassinio, come per lo innanzi, tenuto in pregio di arte di regno: Giafferi, Venturini e Natali seppero a proprie spese, come lo stile della cancelleria genovese stesse a petto dello stile della romana curia, provato già da quel povero padre di fra Paolo Sarpi. Ho sentito dire, che procedessero i nostri oppressori libidinosamente, non meno che avaramente e crudelmente, e ci credo, perchè tutte queste qualità si tengono compagnia; ma come a religioso a me non addice allargarmi su questi tasti, ed anche dubito, che presto passasse loro la voglia di toccare i ferri sul banco del magnano: imperciocchè essendosi certa volta vantati di fare strazio delle donne della Isola-rossa, le quali di concerto coi mariti la difendevano, ributtati che gli ebbero dalle mura, esse sortirono arrabbiate, e presine 400 li nudarono, e li percossero con mazzi di ortica tanto, da parerne tanti ecce homo. Dopo l'assassinio non parrà strano nè forte, se l'incendio e la desolazione si reputassero dai Serenissimi pratiche di governo.
Così la storia nostra registra 120 villaggi arsi di un tratto, provincie intere disertate, popoli spenti: e' pare che per ultimo si trovassero contenti di essere salutati re del deserto. — Nè in casa nè fuori i Genovesi seppero reggere da cristiani mai; ma quando alla incapacità si aggiunse l'odio pauroso, o l'avara gelosia, allora, a giudizio dei loro medesimi concittadini, vinsero quanto ricordano d'immane le storie antiche e le moderne. Essendosi ribellata Savona ventilarono in senato se la si dovesse smantellare delle fortezze, e parve di sì; ma la spesa atterriva; allora sorse in piedi un senatore di casa Doria, il quale così favellò: — Se pur volete ruinare le mura di Savona, senza spenderci un quattrino d'intorno, io ve ne propongo il modo: mandateci due governatori simili all'ultimo, ed è lavoro fatto. Così durò il popolo côrso una lunga agonia, e sarebbe morto, se fosse possibile a un popolo morire: alla fine proruppe; molti fuori, e parecchi in casa, come l'andasse per lo appunto o non sanno o mal sanno: io vi dirò proprio il modo in che fu fatta, perchè mi ci trovai. Piloti pratichi delle tempeste civili a più di un segno avrebbero presagito imminente il turbine; con parole ardenti alla scoperta si andava tastando ora questo, ora quello spediente che pungolasse il popolo con maggiore efficacia; s'incominciò dal sale, che prima pattuimmo ci fosse venduto 4 lire il moggio, e poi lo aumentarono oltre al giusto, ma non partorì l'effetto; aggiunsero voler soppressa la tassa pel rimborso del presto stanziato alla Corsica nel 1680 in occasione della fame: buono anche questo, ma il popolo non si mosse. Meglio operò quest'altro: nel presidio di Finale un soldato côrso per certe maccatelle fu messo alla panca: i terrazzani allo strazio aggiunsero lo scherno menandogli dietro la baiata; della quale cosa egli infellonito mise mano all'arme, e sovvenuto da parecchi soldati suoi compatrioti, molti uccise, troppi più ferì; furono tutti impiccati: pensate voi se i parenti dei morti, saputa la nuova, bollissero; e la gente a soffiare in quel fuoco non mancava; ed io con i miei religiosi ci spargemmo per le pievi come seme di libertà componendo in pace vecchie discordie, ed avventando le ire côrse contro la abborrita tirannide. Ora sul finire del 1729 il luogotenente del governatore Pinelli si condusse a Corte, dove volendo starsi a bell'agio senza un pensiero al mondo, si tolse per segretario un prete cortinese chiamato Matteo Pieraggi, il quale gli faceva ancora da cappellano: e fin qui non ci era male: il male fu che non gli volendo dare un becco di quattrino per salario, lo facultò a imporre un balzello di 8 danari a fuoco per farsi l'assegnamento; donde gli venne il nome di prete baiocca, perchè appunto 8 danari formano una baiocca, e se non è morto a questi giorni, tuttavia gli rimane. Intanto essendo sopraggiunto il tempo di pagare la tassa dei seini, certo paesano, chiamato Cardone, andò a Bozio per pagare a modo e a verso i suoi due seini: dopo aver pagato i seini gli chiesero la baiocca, ed egli rifiutò darla: allora l'esattore gli rese i seini, rimandandolo con una carta d'ingiurie. Cardone che zoppo era, ranchettando per la via, contò la cosa a quanti paesani incontrava, i quali tentennando il capo avevano esclamato: — La vuol ir male; — e recatisi gli arnesi in spalla, chè il giorno voltava a sera, lo accompagnarono facendogli dietro codazzo fino alla piazza della terra. Giusta in quel punto ci capitava io, però mi posero in mezzo raccontandomi il successo, e domandarono consiglio.
Io risposi alla ricisa che non dovevano pagare la baiocca nè i seini; quella perchè imposta nuova, e le imposte per antico convegno non si potevano alterare; ad ogni modo non poterlo il luogotenente: questi perchè compenso del provento pel porto di arme, che avevano promesso proibire, ed all'opposto avevano continuato, cavandone maggior profitto di prima. E come dissi fecero, nè solo in Bozio, bensì a Tavagna e altrove. Il governatore Pinelli manda una squadra di sbirri e un esattore a Tavagna per mettere capo a partito ai malcontenti. I Tavagnini, non estimando gli sbirri gente da potersi combattere con onore, gli accolgono senza contrasto, gli albergano e convitano; nella notte gli legano, alla dimane gli rimandano disarmati