Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi

Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - Francesco Domenico Guerrazzi


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abbastanza da sgomentare i più esperti

      Il Senatore Baldasseroni in cotesta seduta dava al Ministero molto solenni insegnamenti: voleva che le cause del disordine investigassimo, voleva che il Governo combattendo per l'ordine perisse. Se la infermità non mi avesse impedito di assistere a cotesta seduta, io gli avrei risposto: — assolutismo improvidamente antico, e libertà impetuosamente nuova, sono cagioni del male; in quanto a perire per la salvezza comune, non lo togliete di grazia per rinfacciamento, ma io mi vi sono esposto, quando mi gittai fra l'onda infuriata del Popolo per salvarvi il figliuolo.....

      E, se non è grave, odasi un poco come in proposito favellassi io all'Adunanza del 29 gennaio 1849: «Le parole del vostro Indirizzo in risposta al Discorso della Corona accennano ai disastri e ai tumulti passati, e indicano speranza di repressione pei futuri. In questa maniera voi non dite del presente, e non favellando del presente venite implicitamente a dichiarare, come nulla sia stato operato adesso per riparare a questi tumulti che voi deplorate, e che avete ben ragione di deplorare. Ciò può sembrare al Ministero un rimprovero: egli non crede averlo meritato: imperciocchè, o Signori, voi rammenterete come abbiamo noi ricevuto lo Stato. Noi lo abbiamo ricevuto, perdonatemi la immagine, come si consegna una casa incendiata in mano ai Pompieri. Voi lo avete veduto, la finanza era esanime: in quali lacrimevoli condizioni fosse l'esercito, voi lo sapete. Vi parlerò di quello che spetta più specialmente al mio Ministero. Qui niuno ordinamento; i vecchi istrumenti non si potevano adoperare, i nuovi sono tuttavia un desiderio. Gli ufficiali mancavano affatto di vigore; non restava che un simulacro di forza, il quale non corrispondeva alla chiamata. O Signori, quando ebbi l'onore di essere assunto al Governo dello Stato, io cercai se o poche o molte vi fossero le forze per potere governare. I passati Ministri si sono allontanati dal Governo, com'essi dicevano, di faccia alla pubblica disapprovazione: essi così affermarono, ed io non ho verun motivo per dubitare di questa loro asserzione: ma devo dirvi eziandio che a me parve non solo il Governo abbandonasse il Ministero per virtù della opinione, ma assai più perchè era impossibile il governare. Io dissi a me stesso: qui lo Stato fu consegnato a noi, come un cadavere in mano ai preti per seppellirlo e cantargli l'esequie. Ma no, io non ho creduto mai nè credo che uno Stato possa perire. Credo che, per malignità dei tempi, e per pessima amministrazione di uomini, forse uno Stato possa cadere in morte apparente, in asfissia; ma la vita resulterà, quando un uomo voglia veramente trovarla, e liberare lo Stato dalla misera condizione in cui egli è stato condotto. Privo di forze, privo di ordini governativi, privo perfino del mezzo di sapere in che cosa le piaghe dello Stato consistessero, io non trovai nessuno dei miei antecessori che m'indicasse in quali condizioni era lo Stato, e in che cosa le sue forze consistessero. — Ordinai a tutti i Prefetti, Sotto-Prefetti e Gonfalonieri delle diverse Comunità, che immediatamente, o nel più breve spazio di tempo possibile, mandassero rapporti intorno allo stato politico, economico e morale delle provincie e delle città che reggevano. Vennero questi rapporti, quali più presto, quali più tardi, e furono elementi già ordinati, ma non sufficienti ancora per formarmi uno esatto concetto dello stato in cui attualmente si trova il nostro Paese. Tuttavolta ho ordinato e in parte effettuato questo lavoro. Egli è bene lontano dall'essere peranche perfetto, nè lo sarà mai, perchè tutti i giorni devono succedere casi che valgano a modificarlo, e speriamo in meglio, ma io lo lascerò sul banco del Ministero dello Interno come un Breviario, affinchè quelli che mi succederanno, con senno migliore, e con migliore fortuna forse, ma non con maggiore fede di certo, al Governo dello Stato, lo abbiano sempre dinanzi agli occhi, e per regolarsi con cognizione di causa. Mentre pertanto il Ministero vostro, per rendersi degno del Popolo e di Voi, suoi rappresentanti, si accingeva a conseguire precisa cognizione dello stato del Paese; mentr'egli si accingeva a conoscere la sua malattia per applicargli quei rimedii che reputava migliori; mentre il Governo sta preparandovi le leggi, che nel senno vostro esaminerete e delibererete, per portare rimedii alle malattie che accennava; pensate, o Signori, come cadesse fra mezzo uno stato di transizione per noi deplorabile. Questo stato, che come una via di fuoco sarebbe bene che noi potessimo percorrere correndo, non è passato ancora, quantunque a me tardi che cessi, e il Paese rimanga guarito di questa ferita di dolore. — Ma, frattanto, il Governo non si è trovato e non si trova in mezzo all'enormezze di due partiti? Io non voglio definire quale dei due sia o no progressivo. In tutti gli Stati, e specialmente in quelli ove, come nel nostro, la vita politica si è iniziata, due partiti devono agitarsi, e non è male, come ho sentito deplorare in questa Assemblea, ma invece è un bene che si agitino; perchè dal cozzo dei partiti nasce quella cognizione esatta delle cose che unica giova a ben condurre lo Stato. Però, a tutti i partiti onorevoli e plausibili, purchè nascano da convinzioni, non mancano coloro che suscitano mille voglie, mille cupidigie tutto altro che plausibili; e i Capi dei diversi partiti si trovano sovente a vergognare di quelli che fanno bandiera dei loro nomi onorati a queste intemperanze ed a queste enormezze. A cosiffatti disordini accennavano le parole della Commissione nel compilare lo Indirizzo al Principe. Ora, che cosa ha fatto il Ministero vostro nell'assenza di mezzi, e nella mancanza delle persone? I Ministri hanno sentito, come altro non potessero fare che dare allo Stato una cura indefessa, sottrarre le ore al sonno, dimenticare, non dirò ogni diletto, ma perfino ogni sollievo della vita....» Così io orava al cospetto di quattro Ministri che mi avevano preceduto; nè alcuno sorgeva a confutarmi. Dopo alquante parole, io conchiudeva domandando una dichiarazione di fiducia.

      E il Consiglio, — non obliando la miserabile condizione nella quale, per effetto dei mutamenti politici, era caduta la Toscana, — deliberava unanime questa dichiarazione di fiducia, formulandola così: «Siamo grati agli espedienti che il Governo si affrettò di adottare.» — Non era anche venuta l'ora della ingratitudine!

      Nè meglio potrei dimostrare qual fosse Toscana quanto allegando una parte del mio Dispaccio telegrafico del 16 novembre 1848 mandato al Governatore di Livorno, più che ad altro somiglievole ad un grido di allarme: «Energia, Governatore, energia, o fra un mese Toscana diventa un mucchio di cenere

      In questo modo si confessava da ogni maniera di gente, così negli atti pubblici come nei privati, ed era vero, lo Stato ridotto agli estremi. Io lo trovai incapace a resistere a qualunque tenuissimo urto, pure lo sostenni in guisa, che i tumulti decrebbero, la fiducia pubblica incominciò a ridestarsi, e se il fatalissimo 8 febbraio non era, da quanti mali, da quanto lutto non mi sarebbe stato concesso preservare il paese!

      Forze governative pertanto affatto disperse, Polizia investigatrice distrutta, m'ingegnai fra gli antichi ufficiali scegliere alquanti che aveva sperimentato onesti e capaci; ma per quante istanze e raccomandazioni facessi loro, non vollero saperne: mi si mostravano invincibilmente repugnanti, perchè nell'ora del pericolo il Governo gli avesse lasciati in balía dell'ira popolare.[26] I Veliti, come si ricava dal mio Rapporto della Guardia municipale al Granduca, ormai chiamati ad altro destino, odiavano, e a ragione, il servizio di Polizia. La milizia, da quei medesimi che la capitanavano, era chiamata infamia, non tutela del paese. La Guardia Municipale non ancora composta.[27] Il Senatore Capponi, lo abbiamo non ha guari veduto, dichiarava in Senato la condizione del suo Ministero essere identica a quella del mio. Confesso di leggieri, che nè anch'egli sedeva sopra letto di rose; ma con sua pace, il divario appariva grandissimo fra il suo Ministero ed il nostro, però ch'egli possedesse la forza dei Carabinieri intera, e a me la consegnasse odiatrice ed odiata, percuotente e percossa. Sventura lacrimevole, che poteva essere risparmiata! No, le condizioni non apparivano uguali; tra il mio Ministero e il suo correva la guerra civile rotta, una sconfitta toccata dall'Autorità, un Popolo reso audacissimo per miserabile vittoria.

      Noi a mani giunte imploravamo lo aiuto di tutti, anche degli emuli nostri, per isvellere fino dalle radici la mala pianta del disordine; — gli supplicavamo a uscire dalle case loro, a scendere con noi fra la moltitudine per ammaestrarla, e ammonirla.[28] — Le preghiere nostre secondarono? Il soccorso supplicato compartirono? — Ah! no; secondo l'usanza pessima ed antica, a parole protestavano volerci aiutare, ma in fatto nè brogli, nè conventicole, nè qualunque argomento preterivano nello intento di rovesciare il nostro Ministero. Taluno, ponendosi la mano sul petto, sentirà che io dico il vero. In quanto a me, sappiate che conosco assai più cose di quelle che dico: potrei citare nomi, e disegni a me noti, e da me per longanimità lasciati inavvertiti; — ma la prudenza, che mai deve scompagnarsi da chi tenne officio supremo, desidera che alle provocazioni dell'Accusa io mi taccia.


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