Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi

Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - Francesco Domenico Guerrazzi


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acremente repressi? — Più benigni a me dell'Accusa i pretesi ingiuriati, della ottima mente loro mi dettero poi prove tali, che a me duole non poterle riportare in questo Scritto, però che onorino la umana natura e riposino l'animo stanco dalla vista di tante iniquità.[47]

      Non so se io debba continuare nella storia delle sommosse accadute durante il mio Ministero e degli sforzi operati per sedarle, perchè io vedo con paura che tutto mi si ritorce contro. L'Accusa, intorno ai fatti riportati fin qui, mi dichiara complice, o impotente per vizio di origine; riguardo ad altri fatti che mi riusciva impedire, l'Accusa ne trae argomento a ragionare nella seguente maniera: poichè l'Accusato potè impedire molte intemperanze, segno è certo che alle altre che accaddero egli non volle. Così non salva tenere nè lasciare; così perde ugualmente fermarmi e fuggire. Se non riesco resistere, sono complice; se riesco, sono reo per non essere riuscito di più. Un cammello può portare il carico di mille libbre; ma perchè non ne portava due mila, sia condannato a morte. Tale è la legge dell'Accusa: — fiera legge invero!

       Ma la Storia non giudica così, e tale registra splendido elogio del Lafayette, a cui pure non venne fatto riparare tutto quello ch'ei volle: «Lafayette adoravano le milizie, quantunque il vincolo della vittoria non le legasse a lui; pacato uomo egli era, e ricco di partiti in mezzo ai furori popolari; — però, malgrado la sua operosa vigilanza, non sempre giunse a capo di vincere i tumulti delle moltitudini, imperciocchè, per quanto sia spedita la forza, non può trovarsi presente da per tutto contro un Popolo da per tutto sollevato: — spesso lottava contro le fazioni senza fiducia, ma con la costanza del cittadino, il quale non deve disertare mai la cosa pubblica, quando anche disperi di poterla salvare!»[48]

      Una frase scoperta dal Decreto del 10 giugno 1850 viene accolta con amore e accarezzata dal Decreto del 7 gennaio 1851: il Ministero fu complice, o impotente. Ora come in suprema accusa possono queste due parole congiungersi in virtù dell'alternativa? Immenso è lo spazio che passa dall'uno stato all'altro. Nella misura della imputazione, alla impotenza corrisponde venia e favore; alla complicità, odio e castigo.

      O Ministri, che adesso reggete le sorti toscane, e che, credendo in me l'uomo soltanto flagellato, di me non curate; attendete e avvertite, che con l'uomo va a stracci la prerogativa ministeriale. La via di Palazzo Vecchio per me insegna, che può diventare quella del Calvario, e di ora innanzi metterà ribrezzo percorrerla, perchè se un Tribunale potrà intorno al Ministro caduto aggrappare non solo i proprii fatti, ma anche gli altrui, e di tutti chiedere al medesimo ragione, e, nulla intendendo delle necessità politiche, lo porrà nelle consuete condizioni della vita di uomo che può volere e disvolere a suo senno: — se di pratiche dilicate, condotte con opportuno mistero, egli pretenderà prove luminosissime e chiarissime; — se il concetto di atti operati con la discretezza imposta dai tempi, ed anche con dissimulazione, presumerà dimostrato con riscontri, e dirò quasi con istrumenti e chirografi univoci e non equivoci; — se di più, questo Tribunale andrà a pescare gli elementi dell'Accusa nelle parole della Tribuna, e nei Giornali, che ne sono l'eco; — se l'ora della lotta penserà che sia l'ora della Giustizia, e le furie dei Partiti pacate consigliere del giudicare, quale Ministro mai, quale Ministero si salverà?

      L'Accusa me incolpa, per essermi limitato a rinviare gli avvenimenti più scandalosi alle ordinarie vie di giustizia. Io temo comprendere troppo, o troppo poco. O dove aveva a rinviarli io? Forse come Mario reduce a Roma, col negare o col rendere il saluto, dovevo indicare ai satelliti i cittadini da trucidarsi? Agendo come l'Accusa rimprovera, io adempiva al mio dovere; lo hanno tutti ugualmente adempito? O piuttosto talora con pusillanime oscitanza, tal altra con quello zelo serotino e importuno (che fu il terrore del Talleyrand) non abbandonarono o imbarazzarono il Governo?[49]

      Ma sia che vuolsi, io continuerò nella narrativa di quanto mi fu dato, come Ministro, operare in benefizio del Paese, onde il Paese giudichi me e i miei Giudici, e veda se io mi merito lo insulto (e non è il solo) che essi mi gettano in faccia: «va, tu fosti un complice tristo, o uno imbecille impotente

      La Plebe Castagnetana insorge con moti comunisti. È repressa energicamente con lo invio di Commissione speciale.[50] Attentati contro le foreste dello Stato repressi, nonostante il pericolo di sloggiare gli scarpatori armati di pianta in pianta.[51] Guasti di palazzi, attentati d'incendii prevenuti, o repressi. Aggressioni e latrocinii prevenuti parimente o repressi.[52] Plebe Pratese tumultua e minaccia ardere le fabbriche dei cappelli di paglia; con pronti rimedii è frenata.[53] Plebe di Campi irrompente contro le proprietà dei cittadini tenuta in rispetto.[54] Campagnuoli infestanti le vie maestre e i pubblici passeggi, estorcenti danari ai passeggeri, sorpresi e arrestati.[55] Contadini e Plebe Fiorentina invadono il negozio Peratoner sotto pretesto di cambiare i Buoni del Tesoro, e minaccianti pel medesimo motivo la banca Fenzi, repressi, nella deficienza di pronta forza, con la mia stessa persona.[56] Plebe e contadini di Firenze, nella notte del 27 gennaio 1849, percorrono la città, gridando: «Morte ai codini, fuoco alle case;» insultano Veliti e Guardia Civica; invadono i corpi di guardia delle Delegazioni, infrangono porte, e minacciano di morte il Delegato Carli. Cresce il tumulto in Borgo degli Albizzi e in Via Calzaioli. Eduardo Ricci muore di coltello. Un Campigiano è arrestato; gli altri fuggono. Cotesta fu notte in cui più di uno tremò nel suo letto, e le pattuglie esitavano di mettersi a sbaraglio in mezzo al tumulto. Io era per le strade improvvido di me, attendendo al dovere di tutelare la pubblica sicurezza. Sì certo, il mio dovere; ma è pur forza dirlo, egli è più facile assai dare il consiglio, che lo esempio di avventurare la vita per mantenere l'ordine della città: e la città fu quieta; i facinorosi posti in mano alla Giustizia.

      I Giornali della Opposizione sbigottivano pei nuovi mostri; il Governo deprecavano a tentare i supremi sforzi per ritrarre il Paese dal fatale sentiero dove precipitava; avvertivano come il Ministro dello Interno nella risposta allo Indirizzo della Corona, prendendo le parti della Commissione, intendesse che lo inciso relativo ai disordini si conservasse, e ciò feci non solo perchè fosse richiamo costante alle cure mie, quanto perchè durasse ammonimento ai Deputati, che male l'ordine si consiglia, e peggio si spera conseguire, se i facili consiglieri non sovvengono con pronte voglie la opera governativa. — Infine, a fronte scoperta annunziavano comparire sintomi quotidiani di potente reazione, e gente perversa che, sotto sembianza di difendere la libertà, per via di tumulti e di scandali cospirava ad opprimerla.[57]

      Troppo fastidiosa opera sarebbe ricordare tutti i casi di simile natura, successi durante il mio Ministero: bastino gli esposti per chiarire, come la plebe cittadina si rimescolasse con la rustica; e come, peggiorata la indole, cotesti moti incominciassero a manifestarsi attentatorii alla vita e alla sostanza dei cittadini.

       Io vegliava quando la città si dava in balía del sonno; e con l'animo sospeso tendeva l'orecchio se alcun rumore sorgesse, per correre sul luogo del pericolo. Al difetto di ordinamenti e di forze, suppliva con operosità, che mi ridusse in breve a comparire l'ombra di me stesso.[58] In quei giorni pochi erano i labbri di ogni maniera di gente, che non pronunziassero lode al mio nome. — L'ora della ingratitudine non era peranche arrivata!

      E fermamente credo, che dove ogni barriera non si fosse, per così dire, abbassata spontanea davanti allo impeto della fazione politica e dei tumultuanti, a fine ancora più pravo, non senza lotta forse, ma certissimamente con buon successo, sariasi potuto resistere, ed ordinare lo Stato. — Lasciando alla coscienza pubblica decidere se dirittamente e cristianamente operassero i Giudici, quando mi gittarono in faccia il vituperio di complice, o impotente frenatore di turbolenze, io penso potere concludere con queste proposizioni. 1º Forza rivoluzionaria sorse in Toscana fino dal 1847. 2º Ordini governativi furono fino da quel tempo manomessi da prepotente impeto di forza rivoluzionaria. 3º Nel settembre del 1848, rimasero affatto distrutti. 4º Stato alla mia chiamata al Ministero era stremo di qualunque difesa. 5º Non ignavo, non codardo, non infedele custode della pubblica sicurezza fui io.

       Di una insinuazione dell'Atto di Accusa, che mi dà luogo a chiarire le sofferte ingiurie per la parte della Polizia.

       Indice

      All'Atto di Accusa


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