Casta diva. Gerolamo 1854-1910 Rovetta
ridendo, si avvicina al povero Teo per accarezzarlo e far la pace, ma a un tratto si ferma sospeso e sorpreso...
Dalla sala terrena della Succursale di faccia — la sala dell'albergo riservata al ballo, alla musica e alla conversazione — dopo i primi accordi incerti del pianoforte, si è levata e sale nell'aria una bella voce di soprano, limpida e squillante, un canto largo e pieno che riempie tutta la strada e tutta la valle.
È una romanza del Massenet che ripete ad ogni ritornello in tutti i toni, con tutte le cadenze, e con l'estasi più appassionata le parole: Je t'adoore!...
— È la signorina! — borbotta Prospero vedendo il padrone come incantato.
— Quale signorina?
— Quella del Teo!
Non c'era dubbio: i due oo del t'adoore, avevano la stessa intonazione dei due aa del «piccolo caaro!»
— È una signorina di famiglia molto nobile; ma vuol darsi al teatro lo stesso, perchè non ha più nè padre, nè madre e ha pochi soldi.
— Come lo sai?... Chi te l'ha detto?
— La signora Clotilde.
— E chi è questa signora Clotilde?
— La cameriera della signorina. Siamo vicini di tavola. — La signorina è una marchesa. Marchesa D'Albaro di Genova.
Gerardo fissa il servitore stupito.
... Oh bella! Quella mutria taciturna del signor Prospero che all'Abetone diventa loquace e pettegolo!
IV.
L'onorevole Parvis non dormì bene quella prima notte; anzi, non dormì affatto. Era troppo stanco e troppo agitato. E poi non era ancora abituato all'aria, al clima, alla montagna alta.
Non potendo dormire, era rimasto tutta notte in preda al «Je t'adoore!», anche dopo che la marchesina D'Albaro, ricevuta una duplice salva di applausi, si era ritirata con la sua istitutrice ed era andata a dormire.
Il Parvis aveva sentito i complimenti che le erano stati fatti giù in strada, i saluti e il ricambio della buona notte.
— Al teatro!... Sarebbe andata a finir male!
L'onorevole Parvis, che in vita sua era stato assai poco a teatro e che non era forse mai salito sopra un palcoscenico, aveva tutti i pregiudizi comuni a chi vede da lontano le quinte e i camerini.
— Sola e libera? Sul teatro!
Gerardo era contrariato e indispettito. L'onda di simpatia era svanita. Egli, ad un tratto, provava quasi del risentimento contro la marchesina. E lì, nel buio, dalla Gilda alla Tosca, tutte le eroine delle poche opere che ricordava, gli passavano innanzi nella loro posa più provocante... ma tutte col viso, colla bocca e con gli occhi della giovane e bella amica di Teo.
— Farà certo fortuna con quella sua bellezza! E anche con quell'espressione che sa dare al caaro e al «Je t'adoore!».
— Auf!... Non si può dormire all'Abetone!...
Era venuto per godere il fresco e invece soffriva un caldo, un'afa, che gli mettevano la smania addosso!
— Che letto incomodo!... E quanta gente antipatica, odiosa!
Ma a lui che cosa importava della gente? Era venuto all'Abetone per passeggiare e per riposare con la testa e con lo spirito. Avrebbe fatto una vita assolutamente solitaria. Poi aveva tante cose da leggere e tante lettere e tanti articoli da scrivere!
— Non voglio conoscere nessuno e non voglio parlare con nessuno. Lunghe escursioni, faticare tanto da poter dormire e poi a tavolino!... E se qui non mi sentirò sicuro, cambierò locanda... e se occorre, anche paese!
La mattina dopo, si alza prestissimo, gira nel bosco per un paio d'ore e poi, evitando la gente, ritorna all'albergo e sale in camera sua, dove trova Teo che gli fa quattro salti e una corsa in giro, ma che torna subito ad accucciolarsi, avvolgendosi in sè stesso sulla poltrona.
— Ha sonno! È stanco, povero piccolo!...
Gerardo non s'è accorto di chiamarlo piccolo, «povero piccolo» come l'ha chiamato la signorina del cappellone.
— Povero piccolo!... Tu dormi ed io mi metto a lavorare.
Infatti, siede al tavolino e comincia il suo primo articolo al Daily Express.
Ma quando si dorme male, non si può poi scrivere bene. È impossibile! — L'onorevole Parvis quella mattina non è di lena.
... E il pianoforte della Succursale che non tace mai!
— È un'ira di Dio!... È proprio la terra dei suoni e dei canti, l'Abetone!
Ma non sono gli accordi della sera innanzi! Non sono gli accordi della romanza di Massenet; non è il Je t'adoore!
Il Parvis resta per una buona mezz'ora assorto e pensoso... e la carta che ha dinanzi, per quella mattina, rimane bianca e intatta.
— Andiamo, Teo! Andiamo a fare un'altra passeggiata! L'articolo al Daily Express lo scriveremo dopo colazione.
Si era di piena estate, eppure lassù si respirava un'aria fresca di primavera! Il verde ancora tenue sotto il verde carico e cupo dei vecchi abeti; nei prati le margherite e i vergiss, nelle rive ombrose fra il murmure del rio e lo spionciare delle cingallegre, le violette e le fragole. La primavera! La primavera!
Come consola gli occhi, come accarezza il viso e penetra nel sangue ed anche nel cuore con un infinito e dolce benessere!
— Mi sento più giovane in montagna! — Andiamo Teo! Andiamo a fare una bella passeggiata! Siam qui per riposare e non per lavorare! Ci divertiremo, mangeremo di buon appetito e ci faremo buona compagnia!... Noi soli, sempre soli!... E tu, bravo Teo, sta attento e fa la guardia! Se vedi un seccatore da lontano, abbaia! E se ti viene vicino, ringhia e mordi! Qui non sei costretto a portare la museruola; all'occorrenza approfittane!
Teo, che ha ascoltato il lungo discorso, standosene attento con una gamba davanti ripiegata e sospesa, con la testa inclinata da un lato, alzando, allargando le orecchie, fissando, dilatando le pupille, fa un atto di assenso con un piccolo starnuto e via come il vento, giù dalle scale, guaiolando prima, non di dolore ma di gioia, e poi fuori all'aperto, innalzando lui pure il suo inno alla primavera e alla montagna con festevoli latrati che echeggiano risonanti nel silenzio della valle!
Ma in quanto al non fare conoscenze, il signor Matteo è di tutt'altro avviso e di tutt'altri gusti dell'onorevole Parvis! All'Abetone lui vuol vivere nel bel mondo, giuocare con tutti, divertirsi con tutti! E specialmente con le signore! Quando ne vede una in distanza si acquatta, prima, allungandosi e poi prende la corsa saltandole addosso.
— Teo! Qui, Teo!
Il grande stradone fiancheggiato dagli abeti comincia a popolarsi. Dai boschi spuntano le signore nelle bianche toilettes mattinali, circondate, seguìte dagli eleganti cavalieri. E Teo, ormai reso popolare dalla scena del giorno innanzi con le due vecchie stizzose, riceve da tutti saluti e carezze, che gli sono prodigate anche per ingraziarsi il padrone.
— Teo! Qui!... Teo!
Teo si volta un momento con la testa, sbatte le orecchione ricadenti come foglie di lattuga appassita, e poi di nuovo salti, giravolte, cerimonie, di qua e di là, con tutti quelli che incontra, purchè sia gente ben vestita.
A un certo punto, dove la strada si biforca nel bosco, l'occhio di Gerardo si fa torbido, il viso accigliato:
— Teo! Qui! Teo!
Ha visto sbucare dal verde folto il grande cappellone a trine bianche e a nastri rosa, seguìto dai due