Casta diva. Gerolamo 1854-1910 Rovetta

Casta diva - Gerolamo 1854-1910 Rovetta


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tennis.

       — Teo! Qui! Teo!

      Ma che!... Teo si è già abbassato, allungato e all'invito di un — piccolo caaro! caaro! caaro! — si precipita incontro alla sua amica del dì innanzi, le salta addosso, riesce a leccarle la faccia, poi, sempre di corsa, torna indietro a far festa al padrone, e poi di nuovo alla signorina, e poi di nuovo, al padrone, come per far capire all'una e all'altro che ormai devono essere amici tutti e tre!

      La bella marchesina saluta l'onorevole Parvis con un cenno grazioso e signorile del capo: i due giovanotti o giovanetti si fermano a due passi di distanza, diritti, come due aiutanti di campo, scoprendosi rispettosamente.

      Non c'è verso! L'onorevole deve salutare, deve fermarsi, deve parlare...

      — È una grande seccatura questa mia bestiola! Si permette troppe confidenze, e si prende troppe libertà!...

      — È tanto caaro!

      — Il mio servitore... È stata un'idea infelice del mio servitore, quella di tirarselo dietro, fin quassù! Giù! Fermo! Bestiaccia sconveniente!

      — Teo, una bestiaccia?! Oh, povero piiccolo!

      Teo, con il petto giallo sporgente e le gambette anteriori puntate ad arco, scrolla la testa e starnuta di nuovo con l'atto di dire anche lui di no, che non è una bestiaccia.

      — È carino, carino, carino! È un tesooro, lui; è un amoore! Soltanto l'intelligenza che ha dimostrato ieri sera!

      — Già, interloquisce uno dei due pallidi cavalieri. Quando voleva mangiare il naso a miss Kean e a mrs Brand!

      La marchesina ride, con tutti i suoi bei denti luccicanti e chinandosi e tenendo Teo per le zampe gli scocca due bacioni sulla grossa testa di raso.

      — Caaro! Caaro! Tesooro!

      Gerardo ha un barbaglio agli occhi e sente una scossa in tutto il corpo: il barbaglio di quella bocca, di quei capelli.... Ha la scossa dei due baci sonanti.

      Si parla del tempo, del fresco, del buon odore di resina.

      — Ritorna all'albergo, marchesina?

      — Vicino all'albergo, al tennis. Facciamo due ore di tennis tutti i giorni, prima di colazione. Lei giuoca al tennis?

      — Giuocavo!...

      L'onorevole Parvis, guardando la marchesina, mette involontariamente un sospiro, un rimpianto in quel verbo giuocare al tempo passato.

      La marchesina è molto intelligente, coglie al volo la mesta intonazione.

      — Adesso, non giuoca più?... È naturale! A Roma! La Camera! Tante occupazioni! Tanto lavooro! Ma qui vorrà ben riposare un po'! Farà qualche partita con noi? Accetta una sfida?

      E si volge, senza aspettare risposta, ai due giovinotti rimasti fermi, impalati e li chiama per presentarli:

      — Se permette, Eccellenza....

      — Non sono più un'Eccellenza!

      — Come devo dire, allora?... Onorevole?... Se permette, onorevole, le presento il conte Annibale e il conte Cesare Mattioli, miei cugini.

      L'onorevole Parvis saluta l'uno e l'altro, con una stretta di mano, e tutti insieme ritornano fin al campo del tennis, che è giù, basso, in una conca verde, proprio sotto l'albergo.

      L'onorevole cammina al fianco della marchesina D'Albaro, con Teo che gli passa fra le gambe: Cesare e Annibale, che non hanno dei due grandi conquistatori altro che il nome, rimangono dietro, sempre a due passi di distanza.

      La marchesina parla e fa ammirare il paesaggio: l'onorevole tace e ammira la marchesina. — Come sa essere amabile e vivace, pur rimanendo sempre... bambina! Non è civetteria, è schiettezza, è naturalezza giovanile la sua!... Ha bandite — si vede — tutte le stupide formalità, tutte le ipocrisie del suo ambiente, ma per altro, ne conserva tutta la grazia signorile. È proprio «marchesina» fino alla punta dei capelli! — Che capelli meravigliosi!... E che occhi! Neri, neri, nerissimi! Da perdervi dentro, l'anima e il corpo!

      — Teo, Teo! Finiamola!

      Teo diventava troppo insopportabile!... Aveva visto da lontano le due vecchie quacquere, e s'era messo a correre per saltar loro addosso!

      — Teo, qui!

      Teo si ferma sulle tre gambe: dall'aria birichina, lo si vede, non c'è da fidarsi! La bella fanciulla, ridendo, lo piglia in braccio, accarezzandolo e baciandolo di nuovo, finchè le due vecchie non sono sparite.

      — Caro, caro, caaro!

      Gerardo ne è ormai più che persuaso: bisogna rinunziare, da quel momento, ad ogni speranza di solitudine, ad ogni proposito di non voler fare conoscenze. La signorina D'Albaro, prima ancora di arrivare al tennis, è circondata da una frotta di villeggianti, che approfittano dell'occasione per essere presentati all'onorevole. Molti, anzi, dichiarano di averlo già visto, già conosciuto altre volte e citano luoghi, date, particolari.

      Di qualcuno, il Parvis si ricorda davvero: di un vecchio generale, fra gli altri: il generale Bonferreri, messo da parecchi anni in posizione ausiliaria dalla gotta e dai reumatismi.

      Addio solitudine! Addio quiete! Addio pace!

      Giunti vicino al tennis, la marchesina ripete l'invito: il Parvis crolla il capo, ringraziandola con un inchino.

      — Oggi no? Proprio no?... Ma domani?... Domani sì?... Promette?

      — Giuocare al tennis? Io?... Ma io non sono più un giovanotto! Sono vecchio, marchesina!

      — Vecchio? Leei!

      Quanti e, in quel lei! E tutti, uno più delizioso dell'altro!

      — Bella ragazza! — esclama il generale Bonferreri, rimasto solo coll'onorevole. L'onorevole lo guarda: il generale, lungo lungo, secco secco, un po' dondolante sulle gambe malferme, ha i capelli e i grossi baffi d'un bianco d'argento, che dànno risalto al rosso vivo della faccia. Quell'ammirazione per la marchesina è tutta paterna. — Bella ragazza... e buona! Le piace scherzare, divertirsi, ma non c'è nulla da dire sul conto suo!

      Il Parvis ha uno slancio di simpatia per il generale e lo piglia sotto braccio... senza appoggiarsi troppo.

      — Quando l'avete conosciuta, onorevole?

      — Stamattina; un momento fa. È stato Teo a presentarmi.

      — La signorina D'Albaro viene all'Abetone tutti gli anni. Conosce tutti! Qui, è come un po' la padroncina di casa.

      — Ed è... sola?

      — La signora De Paolis, la sua antica governante o istitutrice, adesso è la sua dama di compagnia. Bisogna sentirla cantare! Come canta! È una Patti! Una Stoltz!

      — La signora De Paolis?

      — No, che! La marchesina Sofia! La faremo cantare! Sentirete!... Una voce! Un talento! Straordinario! Ha intenzione di darsi al teatro e farà bene.

      — Farà male. Giovane, bella e sola.

      — Non c'è pericolo! È una donnina piena di giudizio! Saprebbe tener testa a un reggimento! Oh, sono molti anni che la conosco. E poi è d'un carattere calmo, freddo, positivo. Sapete come la chiamo io, per farla arrabbiare?... Notte di gelo! E poi, per farla ridere, la casta diva!

      Così discorrendo, sono giunti, passo passo, fin sulla soglia dell'albergo. L'onorevole Parvis, salutando il generale, gli stringe la mano con grande e sentita effusione.

      — Sono contento, contentissimo di avervi trovato quassù, caro generale! Spero che ci vedremo spesso e ci faremo buona compagnia.

      ... Che mattina deliziosa! Che aria balsamica!

      Il Parvis, messo di buon umore dall'aria


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