Al fronte (maggio-ottobre 1915). Luigi Barzini

Al fronte (maggio-ottobre 1915) - Luigi Barzini


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naturale, istintiva, come sotto allo splendore del sole estivo si è sicuri che le messi maturano.

       Milano, 13 ottobre 1915.

      AL FRONTE.

       Indice

       2 giugno 1915.

      Ho vissuto i primi sei giorni della guerra sulla fronte friulana. Al settimo giorno tutte le persone che non abitano permanentemente quelle terre, giornalisti compresi, sono state invitate a ritirarsi. In questo momento e nelle condizioni attuali la misura è giustificata.

      L'opinione pubblica non interpreti l'allontanamento della stampa dai campi di battaglia come un provvedimento di politica interna. Sento il dovere di dirlo subito, altamente, onestamente: il popolo non si lasci trascinare da quel fondo vago di diffidenza che è nel nostro carattere per immaginare che il momentaneo esilio dei corrispondenti dalla guerra abbia lo scopo di nascondere alla nazione dei possibili mali. Vi sono molte cose da nascondere, è vero, ma al nemico. E per celarle a lui bisogna celarle a tutti.

      All'inizio delle ostilità ha persistito sulle zone di guerra la libertà della pace, e prima che la circolazione in quelle regioni venisse vietata, chiunque poteva recarvisi sotto un vago mandato di giornalismo, o anche senza nessun mandato. Sono avvenuti incidenti spiacevoli dovuti all'inesperienza e alla leggerezza di corrispondenti di guerra improvvisati, giunti in folla dai più reconditi angoli di provincia. Di fronte ai grandi benefici che la stampa può rendere in un paese in guerra, dando all'anima nazionale un alimento di verità illuminatrice, stanno i pericoli che possono scaturire da indiscrezioni involontarie, inapparenti, celate talvolta in un innocente episodio.

      Il servizio giornalistico sul campo di battaglia deve essere quindi soggetto ad una disciplina, anche perchè la presenza non controllata d'un numero illimitato di persone estranee all'esercito può generare confusioni al movimento esatto della grande macchina militare. Ora, i servizi di guerra sono organizzati nell'ordine della loro utilità; conveniamo che lo Stato Maggiore ha, nel primo inizio della lotta, delle cose più urgenti da fare. Il servizio della stampa verrà presto, crediamo. Ma, per adesso, la proibizione assoluta doveva essere logicamente una misura indispensabile.

      Rientriamo dunque anche noi corrispondenti di guerra nella nazione aspettante. Ma vi rientriamo con un ardore più grande di entusiasmo e di confidenza che viene dalle cose vedute. Il Paese ha la fede: noi, testimoni del magnifico principio, abbiamo la certezza. Sappiamo più di ogni altro, forse, come la marcia alla vittoria sarà lenta, ponderata, faticosa, dura, ma sappiamo pure che sarà irresistibile, sicura, e, pensando all'avvenire, in fondo alle tormentose emozioni dell'attesa, sentiamo come gonfiarsi in noi un palpito di gioia trionfale. Il destino d'Italia è nelle mani dell'esercito come un ferro incandescente nelle tenaglie del fabbro, e conosciamo quale forza vigorosa e sicura lo forgia.

      Perchè dunque, ridiscesi dalle posizioni irte d'armi italiane, ruggenti di cannonate e festose d'entusiasmo, sentiamo qua e là nella folla un soffio d'ansia? Nessuno meglio di chi arriva dalla guerra può conoscere la falsità assoluta e ributtante di certe notizie che, giorno per giorno, circolano misteriosamente, celandosi vergognose nel sussurrio della calunnia.

      Da dove vengono? C'è della gente che ha interesse a pungere così la nostra sensibilità, per stancarci, per indebolirci. Essa sbaglia il calcolo, e insistendo ci renderà il beneficio di guarirci di questa eccessiva sensibilità che ci tortura. L'acciaio si tempra tuffandolo caldo nell'acqua fredda. Scoprendo ogni giorno che il «si dice» affannoso di ieri era un'ignobile bugia, che era un bagno freddo offerto alla nostra anima ardente, ci tempereremo. Diventeremo saldi e freddi come l'acciaio. Grazie, nemico.

      Perchè c'è puzza di nemico nei «si dice».

      Ricordiamoci che è un principio dell'ineffabile «Manuale di Guerra» dello Stato Maggiore tedesco colpire le risorse morali dell'avversario. La prima e più grande risorsa è la fiducia, la compattezza, la serenità. La sicurezza nella vittoria è l'elemento fondamentale della vittoria. E se v'è un popolo che deve sentirsi sicuro del trionfo, questo popolo è il nostro. In guardia, italiani, contro l'insidia della fandonia austriaca!

      Il pessimismo è stato in Francia giustamente equiparato alla diserzione. Chi dubita è involontariamente un disertore. Egli fa al Paese lo stesso male che se passasse al nemico. Lavora per il nemico. Mina la robustezza indomabile della fede, che è il metallo di cui si foggia la volontà.

      Diffidiamo del nostro spirito di obbiezione, di contraddizione, di critica, che ci porta alla ricerca appassionata del lato sconfortante d'ogni cosa, creandolo quando non c'è, immaginandolo dietro al silenzio e dietro al segreto sacrosanto che deve circondare i particolari della preparazione strategica.

      Anche il popolo che resta a casa è combattente, esso appresta le armi, facilita l'azione militare agevolando la circolazione libera, sicura e rapida dell'immenso traffico su tutto il paese, disimpegna le truppe adibite all'ordine pubblico e più utili alla frontiera, mantenendo da sè stesso una quiete profonda, normale, inalterabile, esso dà alla guerra tutte le risorse e tutte le forze, le dà il nutrimento e le dà l'audacia. Ogni piccolo turbamento nella nazione può ripercuotersi nei servizi della guerra e distogliere un'attenzione preziosa all'opera militare. Le forze vive del Paese debbono tendere concordi alla vittoria, pazientemente, instancabilmente. La vittoria sarà.

      L'atteggiamento magnifico della Francia è avanti a noi. Silenzio nelle file, avanti con un solo cuore e un solo pensiero, siamo tutti sotto le armi! Ricordiamoci che si combatte per l'Italia fuori della battaglia, lavorando, ubbidendo, tacendo, l'anima piena della nostra fede incrollabile.

      Si vorrebbe sapere più di quello che i bollettini militari ci dicono? Lo sapremo a suo tempo, e sapremo anche come i bollettini siano reticenti: ma reticenti su cose che ci farebbero gonfiare il petto di orgoglio. In fondo dicono già molto i bollettini, con sobrietà; noi ne siamo garanti perchè i nostri occhi vedevano; e la sobrietà nasconde spesso verità magnifiche.

      Non è ancora l'ora di narrare. Ma io che ho avuto la fortuna di seguire in guerra varî eserciti, dal Giapponese al Bulgaro, dal Serbo al Francese, dal Belga all'Inglese, posso dire di avere avuto in questi giorni l'impressione d'un esercito magnifico che può reggere tutti i paragoni: magnifico per i suoi uomini, per il suo spirito, per il suo armamento, per i suoi servizî, per la sua disciplina e per la sua salda e profonda fiducia nel Comando supremo.

      Non è indiscrezione osservare che il nostro esercito — la cui compagine organica era splendidamente approntata — compie in questo momento lo sforzo più grande che un esercito moderno possa compiere: quello di mobilizzare, adunare le truppe, e fare una guerra offensiva e vigorosa nel medesimo tempo.

      È come se si finisse di mettere insieme una macchina quando la macchina è già in pieno movimento. Le unità grandi e piccole si spostano per l'azione, e le forze integratrici le raggiungono senza errori, ed i servizî, mentre si completano, mutano e allungano continuamente i loro itinerarî, facendo fronte a tutti i bisogni. In questo periodo preparatorio si compiono prodigi, si superano difficoltà enormi; l'intelligenza, l'iniziativa, l'abnegazione di tutti risolvono problemi giganteschi di logistica, e il profano non riesce neppure a sospettarli avanti alla grandiosa visione dell'ordine, della puntualità, dell'esattezza, che dànno all'immane movimento la regolarità prodigiosa di un palpito.

      Ebbene, questa regolarità nasce lontano dalla zona di guerra, e noi vogliamo ora indicare alla riconoscenza nazionale, oltre agli uomini che tengono nel pugno la formidabile e stupenda organizzazione militare, un altro prezioso fattore di quest'ordine mirabile: i ferrovieri. Essi, dai loro capi supremi all'ultimo manuale, sono al di sopra di ogni elogio. Non hanno più orarî di lavoro, non conoscono altra legge che la necessità, si dànno all'opera infaticabilmente, si moltiplicano, pare che per le luccicanti rotaie si propaghi fino a loro la febbre di attività combattiva delle truppe.

      Non giudichiamo il servizio attuale delle ferrovie dal ritardo dei treni viaggiatori. È già un miracolo che vi possano essere tanti treni


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