Eh! la vita. Luigi Capuana

Eh! la vita - Luigi Capuana


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un segreto custodito finora con tanti sacrifici? E si diè frettolosamente a raccoglierle, a calcarle alla rinfusa, nelle cassette assieme coi tre scatolini contenenti tre piccoli gioielli... Poi, invece di gridare: soccorso! si chinò su lui con gesto materno, di immensa pietà, e, chiamandolo sommessamente a nome, lo baciava sui capelli umidi di sudorino ghiaccio.

      Egli si lasciò prendere per una mano e condurre verso il canapè all'angolo della camera. Guardava attorno, trasognato, quasi non riconoscesse il luogo dove si trovava nè la persona che gli stava davanti, in piedi, un po' china verso di lui, e sorridente con visibile sforzo tra le lacrime che cominciavano a rigarle le gote.

      — Qui!... Qui!... — balbettò. — Sette anni... fisso qui!... Un terribile chiodo!... Notte e giorno!

      — Zitto! Sii tranquillo! Non t'agitare!

      — Sì... — egli riprese. — Era dunque quella... Marina Falchi colei che tradiva? E' morta?

      — E' morta, sì, la mia amica. Per ciò il suo segreto dev'esserci maggiormente sacro! Ora distruggeremo ogni cosa. Ho voluto conservarle per te quelle lettere; per giustificarmi soltanto davanti a te....

      — Può essere? Può essere? Ed hai aspettato sette anni!

      — Ho sofferto quanto te!... Oh Dio! Dubiti ancora?

      — Non si strappa facilmente un chiodo infisso qui... da sette anni!... Notte e giorno!

       Girava attorno la sguardo smarrito, parlava quasi rivolgesse le parole a se stesso. Poi si raccolse in cupo silenzio, chiuse gli occhi, reclinò il capo sul petto, e Dora, sedendoglisi cautamente a lato, ascoltava con ansia il profondo respiro di lui già vinto dal sonno.

       * * *

      Nessuno in famiglia, neppure la madre di lei, seppe quel che era accaduto in quella appartata camera maritale.

      Dora passò due terribili giorni, dissimulando a tutti l'angoscia del dubbio che la straziava. Suo marito, a intervalli, ricadeva in uno stato di eccitazione mentale molto vicino alla pazzia. Poi, quasi destandosi da una specie di dormiveglia, di stupore, ripeteva desolatamente:

      — Sto male!... Sto male! Non guarirò più!... Povera Dora!

      — Se tu permettessi di consultare il nostro dottore!...

      — No!... Non voglio la compassione di nessuno, neppure di un dottore!

      — Ma già tu ti allarmi per una lieve depressione nervosa.

       — Stavo meglio... colà... in carcere. Colà... avevo almeno la certezza!

      — Quale certezza?

      — Vedi?... Ancora non so abbracciarti... nè baciarti come una volta... Ho paura di trovare su le tue labbra le traccie... Perchè ho ucciso dunque? Perchè sono stato condannato?

      — Gabriele!

      Bastò questo dolce richiamo per farlo rientrare sùbito in sè, per calmarlo in quell'angolo di canapè dove egli, da due giorni, passava le ore fumando continuamente, con un mucchio di libri nuovi su una seggiola, dei quali scorreva soltanto qualche pagina con paurosa repugnanza. Aveva trovato in uno di essi: — Noi non sappiamo niente della realtà delle cose. Siamo vittime dell'apparenza.

      E n'era rimasto sconvolto.

      Il terzo giorno Dora lo trovò sdraiato sul canapè con le mani strette alla fronte, quasi per comprimere un gran dolor di testa. Teneva chiusi gli occhi.

      — Sei tu, Dora?

      — Che hai?

      — Dora! Dora! Quel segreto mi uccide.... Che m'importa di colei?... Tanto peggio per la morta!

      — Perchè dici così, Gabriele?

      — Perchè tu ed io siamo vittime dell'apparenza. Non dev'essere! Non voglio che sia così!

      — Ormai!...

      — Non dev'essere così!... Non voglio che sia così!... Quel segreto mi uccide!

      Si era fermato ad ascoltare. Dalla via saliva un rumore confuso di evviva misto al suono della banda cittadina che soffiava quasi rabbiosamente l'inno reale.

      — Tanto peggio per la morta!

      E prima ch'ella potesse impedirglielo, Gabriele era corso all'armadio, aveva afferrato il mucchio delle lettere ancora aperte e sgualcite come vi erano state calcate in fretta e furia quella mattina, e, stringendosele al petto con tutte e due le mani, le versava sul marmo della finestra, di lato, per poter spalancare metà della vetrata e buttar giù tra la folla che passava plaudente per la via il segreto che lo uccideva.

      — Non devo saperlo io solo che tu sei innocente! Devono saperlo anche gli altri...

      E si opponeva agli sforzi di Dora; le strappava di mano quei fogli ch'ella tentava di sottrarre, e li sparpagliava fuori, per l'aria, ripetendo:

      — Tanto peggio per la morta! Tanto peggio per la morta!

      E aveva negli occhi la feroce gioia di un folle.

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