Eh! la vita. Luigi Capuana

Eh! la vita - Luigi Capuana


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a riprendere il giro con la campanella e la banda, fino all'alba, come se niente fosse stato!

      Nella casa e nella via silenzio profondo.

      Acceso il lume, preparò il fagottino, infilò le scarpe, si buttò addosso lo scialle, e si sedette accosto alla finestra socchiusa, soffocando i singhiozzi con un fazzoletto, col cuore in tumulto, trasalendo a ogni piccolo rumore.

      Udì lievi passi sotto la finestra. Spense il lume, aprì metà dell'imposta, e tossì leggermente. Le fu risposto allo stesso modo.

      — Tieni! Scendo!

      Il fagotto non era caduto per terra. L'imposta fu socchiusa, il lume riacceso; e due minuti appresso per la via dove ancora non erano lampioni, nella fitta oscurità della notte, risuonarono i passi dei fuggitivi... Immediatamente, allo svolto della cantonata, un gran grido di donna che chiamava: Aiuto! Aiuto!

      Poi niente.

       * * *

      Pietro Chitella, inteso Lasagna, si era precipitato nella taverna di Scatà come se fosse stato inseguito, pallido, con la voce strozzata nella gola:

      — Hanno ammazzato... qualcuno!

      — Dove?

      — Lassù.... vicino a casa mia. Un grido: Aiuto! Aiuto!

      — E' il vino di Pasqua! Eh? — disse lo zi' Scatà che non voleva disturbata la festa.

       Il brigadiere dei carabinieri però ordinò di preparare le lanterne e con due militi e parecchi della banda che volevano vedere il morto: — Torniamo sùbito! — si affrettarono dietro a Lasagna che ripeteva, senza andar oltre nella narrazione:

      — Volevo accendere la pipa dopo di aver chiuso la porta... Erano tre, quattro alla svolta della cantonata... Andavano di fretta, si capiva dal rumore dei passi... E tutt'a un tratto: Aiuto! Aiuto!... Lasciai di accendere la pipa... Mi parve voce di donna!

      Nino era rimasto inchiodato su la seggiola, sbalordito dal contrattempo.

      — Quel Lasagna! E' il vino di Pasqua!... Allegria, signori miei!...

      Lo zi' Scatà andava da un punto all'altro della tavola per rianimare la festa; ma pure quelli che eran rimasti là si sentivano impressionati dalle parole di Lasagna.

      — Anche voi, compare Nino. Dove volete andare?

      Nino, che si era tolto la mantellina rossa e il camice da confratello, s'infilava in fretta in fretta il giubbone di panno, e scappava via, senza rispondere una parola, quasi uno gli avesse sussurrato all'orecchio... non capiva che cosa, ma una cosa trista assai!

      E a mezza strada, incontrò il brigadiere e gli altri che tornavano addietro ridendo:

      — Niente! Niente! Una ragazza rapita, pare. Sentiremo domani!

      Lo avevano visto sparire nel buio, e lo attesero invano da Scatà. Don Giuseppe il sagrestano, all'ultimo, prese lui la campanella e uscì per le vie, seguìto dalla banda: 'Ntio! 'Ntio! 'Ntio!

      Nino intanto, come un cane da fiuto, andava; gli pareva di seguire una traccia, dopo che aveva trovato aperta la porta di massaio Ledda e Maria non aveva risposto alla chiamata nel vicolo.

      — Com'è stato? Com'è stato?

      Si fermava, origliava, riprendeva a correre all'impazzata.

      E l'alba lo trovò seduto a pie' di un ballatoio, in una straducola, coi gomiti su le ginocchia, con la testa tra le mani, quasi rantolando:

      — Scellerata! Scellerata!

       * * *

      Due giorni dopo, Pizzuto si presentava al brigadiere:

       — Creda, creda, signor brigadiere! E' stato per caso. Chi ne sapeva niente? Io avevo detto a Saro Barreca: — Vuoi scommettere che Nino Sbrizza penserà di far assaggiare alla Ledda le cassatelle con la ricotta preparate da Scatà? — E andammo ad appostarci in fondo al vicolo, per mettergli paura e portargli via almeno le cassatelle... Fu così, signor brigadiere!... Chi ne sapeva niente? Ora, però, bisogna accomodare la faccenda. La picciotta dice ancora di no! Ma, capisce? Saro, che n'era innamorato pazzo... Capisce?... Non è giovane per nulla... Vedrà. Si aggiusterà ogni cosa. Venga con me. Intanto bisogna tener d'occhio Nino Sbrizza, che non vuol credere al caso e minaccia di ammazzare, di squartare!...

      Dovette crederci, povero Nino, quando seppe che la sua Maria, non potendo sopportare l'orrenda fatalità e la violenza patita, si era conficcata nella gola un paio di forbici, ed era morta proprio mentre Pizzuto diceva al brigadiere:

      — Venga! Si aggiusterà ogni cosa! Saro è pronto!....

       Indice

      Dovevano rivedersi dopo sette anni. E da parecchie notti tutti e due non chiudevano occhio, ossessionati dal ricordo della terribile scena che li aveva divisi: egli smaniante sul giaciglio del carcere che ora gli sembrava imbottito di spine; ella nella camera dove si era rifugiata, come una vedova, dopo di avere fin fatto sigillare e murare l'uscio della camera maritale, quasi non volesse lasciarsi mai vincere dalla tentazione di entrarvi.

      Sette anni di carcere per lui, sette anni di austera solitudine per lei avevano ammortito, se non dissipato interamente, i sentimenti di odio e di sdegno da cui erano state travolte le loro giovani vite. E le esortazioni, i buoni uffici dei parenti e degli amici avevano finalmente ottenuto che il pentimento e il perdono iniziassero un'esistenza nuova per quelle due sventurate creature.

       Soltanto, il padre di lui nè la mamma di lei non avevano potuto indurre la nuora e la figlia a far smurare l'uscio della camera maritale chiuso così da sette anni. Con inesplicabile risoluzione, ella avea voluto che quell'atto fosse compiuto sotto gli occhi del Giudice istruttore del processo, facendo notare in un verbale firmato dal magistrato e da quattro testimoni che tutto era rimasto nella camera come si trovava nel momento del delitto, sotto la sorveglianza delle guardie di questura.

      — Non volete dunque dimenticare, figliuola mia? — Permettetemi di chiamarvi sempre così. — Non avete dunque perdonato? — le diceva il commendatore Loveni, invecchiato più dai dispiaceri che dagli anni.

      — Sì.

      — Perchè vuoi che rimanga ancora quel triste ricordo? — insisteva la signora Marozzi con le lacrime agli occhi. — Non hai dunque sinceramente perdonato?

      — Sì! Sì!

      — Perchè, intanto?...

      — Perchè!

      Dora Loveni rispondeva risolutamente così, senza spiegare la ragione che la faceva ostinare a non accondiscendere alle preghiere del suocero e della madre.

      Parenti ed amici parlavano di dimenticare, di perdonare; la stessa cosa ripetevano da un mese a Gabriele Loveni, già sul punto di finir di scontare la pena a cui era stato condannato per omicidio.

      — Dimenticare non si può; noi non siamo padroni della nostra memoria — aveva detto Dora alla madre. — Perdonare, sì... Anche quando non si ha bisogno di essere perdonate.

      Ma la signora Marozzi, che in sette anni, neppure nei più dolorosi momenti, aveva potuto strappare alla figlia una sola parola di confessione o di difesa, ed era rimasta sotto il peso dell'angoscia dell'altero silenzio che ella non sapeva come interpretare, quel giorno, crollando la testa rispose:

      — Tutti abbiamo bisogno di perdono, figliuola mia!

      Parve che Dora volesse rispondere qualcosa.

      Fece un breve gesto con le mani, un lampo di protesta le si accese negli occhi e, tutt'a un tratto, le si sbiancò estremamente l'ordinario pallore del viso, quel fine pallore di avorio che distingueva la sua bellezza anche ora, dopo sette anni di raccolto dolore che avrebbero fatto sfiorire qualunque


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