La carità del prossimo. Bersezio Vittorio
brutto passo per la miseria…
Antonio sentì scorrersi un brivido per tutto le membra.
—Per la miseria! diss'egli con accento profondamente commosso.
—Già! aveva una famiglia il disgraziato a cui non sapeva più come provvedere… Era operaio e non trovava più lavoro da nessuna parte. Il cervello gli è girato, e ponfate, egli andò ad affogarsi.
—Poveretto!… E la famiglia?
—Figuriamoci!… Senza pane, senza padre… Ah! ce ne sono di disgraziati al mondo!… Ma il giornale annunzia che si sono fatte parecchie collette, e che tutti si sono affrettati di venire in soccorso degli orfani.
—Povera gente! Povera gente! esclamava Antonio al quale erano venute le lagrime agli occhi.
Il pensiero di quei miseri orfani lo aveva condotto a quello dei suoi figli, a cui egli eziandio non sapeva oramai come procurar pane. E che sarebbe stato di essi, se il padre per un caso qualunque venisse lor tolto?
Lo speziale che vide l'interessamento del pittore per quel racconto, prese il giornale e glielo porse.
—Se lo vuol leggere, ecco qua il giornale. Veda lì, nella cronaca, terza colonna, seconda pagina… Ma prenda pur seco il foglio; io già l'ho letto… lo esaminerà con comodo, e lo farà leggere eziandio alla signora Rosina: ciò forse la vorrà interessare…
—Ma…
—Niente, niente, lo metta in tasca… Me lo renderà poi a suo comodo: io non ne ho punto bisogno.
Antonio prese il giornale, e si dispose a parlare di ciò per cui era venuto; ma il chiacchierone dello speziale, per cui tacere era impossibile, lo prevenne colle sue interrogazioni.
—Potrei servirla in qualche cosa, caro signor Vanardi?
—Ecco, son venuto precisamente…
—Ho capito. Le occorre qualche piccolo rimedio… Che sì che indovino! Un'oncia di polpa di cassia o di tamarindi?
—No signore.
—Olio di ricino forse?
—Oibò.
—Le mie pillole digestive?… Sono pillole che ho inventate io, e per le quali ho preso dal governo tanto di brevetto… Sono meravigliose. I ministri ne pigliano, gli ambasciatori, i procuratori ed avvocati; tutti quelli che hanno bisogno di digerir bene… E per citar gente che sta qui vicino e di nostra conoscenza, il cavalier Salicotto… Lei lo conosce bene il cavalier Salicotto?
—Di nome solamente.
—Oh! un omone… Un politico di ventiquattro carati…. Una testa monumentale… Vale dieci Cavour e cento Pinelli. Fa il giornalista umanitario; patrocina la causa dei poveri… a parole sonanti… E si fa ricco. L'hanno fatto cavaliere, riuscirà a farsi nominare deputato: un dì sarà ministro… Dev'essere nativo della mia provincia. Dei Salicotto ce n'è al mio paese, ed anzi ne conoscevo moltissimo uno che faceva l'ortolano… Ah! non voglio già dire che questo cavaliere sia discendente o congiunto in alcun modo con quell'ortolano… Ciò non gli farebbe mica torto; ma il cavaliere afferma di essere figliuolo d'un avvocato: e se lo afferma lui!… D'altronde ci sono tanti nomi somiglianti!… In ogni modo e' sa fare il signore. Bisogna vedere com'è alloggiato!… Ci vado alcuna volta io a trovarlo… ed egli mi fa l'onore di servirsi alla mia bottega: tappeti da ogni parte, masserizie d'un'eleganza!… Ebbene, ciò che volevo dire si è che il cavaliere Salicotto fa uso delle mie pillole… Ha lo stomaco debole il pover'uomo. Lavora tanto pel vantaggio altrui! E ne rimane soddisfatto—delle mie pillole—che non si può dir meglio.
—Ne sono persuasissimo; ma io non è di nulla di ciò che ho mestieri.
—No? Dica pur liberamente quella che le occorre. Son disposto a servirla in tutto…. E l'ho detto appunto a sua moglie…. Oh! per caso, non sarebbe già la signora Rosina che è ammalata?
—Ma no signore. Per grazia del cielo stiamo tutti bene.
—Tanto meglio, tanto meglio. Vedendo entrar qui lei, io m'era detto tosto fra me e me: Forse sua moglie si trova di bel nuovo…. mi capisce?
—No, per fortuna.
—Oppure uno de' suoi figli, quel demonietto di Tonietto…. Oh, oh! Ha osservato? Ho fatto una rima…. o quel furbacchiotto di Pippo che avrà mangiato troppo.
—Ama signore; s'io son venuto è appunto perchè que' poverini non mangiano abbastanza.
—Oh, oh! inappetenza?…. A quell'età è strana…. Ma stia tranquillo che le darò io qualche cosa….
—No, no, no! E' non han bisogno di nessuna delle sue droghe per aver fame….
—Ma dunque?…
—Sono venuto per finire quel nostro piccolo affare….
Lo speziale si trasse indietro il berretto e si grattò la fronte.
—Affare!… Che affare?
Antonio stava per ispiegarsi, quando l'uscio della bottega s'aprì vivamente con grande agitazione del campanello, ed una vispa ragazza entrò di fretta, salutando lo speziale e i garzoni per nome.
Sulla faccia del padrone e dei due accoliti si schiuse tosto il più grazioso sorriso di cui le loro fisonomie fossero capaci: e tutti tre si affrettarono verso la giovane con premurosa galanteria.
VI.
La nuova venuta mostrava d'avere dai diciotto ai venti anni; era assai bene impersonata di corpo, piuttosto piccina, esile alla vita, con piedi grossetti e mani tozze; vestiva da fante di ricca famiglia, pulitamente e con una certa eleganza: la vesti di lana color di granata, un bel grembiule di seta nera, un goletto bianco come neve intorno al collo, una cuffiettina bianca del paro, civettescamente posta sulle sue abbondevoli treccie bionde. Aveva la bocca un po' grande, ma candidissimi i denti, il naso volto insù, ma petulante, gli occhi bigi pieni di malizia e in tutto il volto una cert'aria spigliata e temeraria, ma buona ed allegra che la rendeva piacevole a chiunque la vedesse.
—Buon giorno, signor Agapito: diss'ella ridendo da mostrare i suoi bianchi dentuzzi. Buon giorno, signor Giannello; buon giorno signor Martino: soggiunse volgendosi all'uno e poi all'altro dei due garzoni; ed a Vanardi che non conosceva punto, guardò in viso con una curiosità interrogativa e fece una bella riverenza.
—Ben giunta, madamigella Carlotta: rispose lo speziale. Lei sta bene?
—Bene bene no… Se fosse qualchedun'altra… qualcheduna di quelle signore che non hanno nulla da fare che crogiolarsi tutto il santo giorno sulla poltrona direbbe anzi che sta male… Ma io non ci abbado.
I due garzoni fecero un moto vivacissimo d'interesse, accostandosi alla fanciulla.
—Lei non si sente bene! esclamarono all'unissono come in un duetto d'opera in musica.
—Eh sì!… Gli è che io per natura non soglio crucciarmi… Crollo le spalle e tutto passa… ma in quella casa vi hanno tante contrarietà da far intisichire un elefante.
—Davvero! esclamò con voce compassionevole il signor Giannello, facendo gli occhi dolci alla ragazza.
—Povera madamigella Carlotta! mormorò il signor Martino, traendo un gran sospiro dall'imo petto.
—Sicuro! rispose la giovane. La signora marchesa per sè non sarebbe cattiva…
—Eh no, non ne ha l'aria davvero; interruppe messer Agapito, che era già stanco di tacere. Ma sì! ha ella una volontà che sia sua? La è menata pel naso da questo e da quello: la è come un automa; come un burattino a cui si tiri il filo…
—Bravo! esclamò Carlotta,