La carità del prossimo. Bersezio Vittorio

La carità del prossimo - Bersezio Vittorio


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dicendo con un bel sorriso:

      —Serva sua.

      Marone si avanzava con un risolino, che voleva essere grazioso, alle labbra. Era grande e grosso come un facchino, e vestiva da sacristano: sulla sua feccia da villan rifatto voleva mettervi a forza qualche cosa di umile, di piacevole, di benigno, e non riusciva che ad una smorfia; teneva gli occhi abitualmente rivolti a terra, ma li alzava spesso verso il cielo. Le mani che ora tenevano, l'una il cappello frusto e l'altra il bastone, soleva quasi sempre intrecciare insieme come fa chi prega; aveva una voce rauca e grossolana, ch'egli si provava a rendere mite e benevola; in poche parole portava l'aspetto d'un impostore, e il suo aspetto era la cosa più franca e veritiera che fosse in lui.

      S'inoltrò nel camerone e oltrapassò la linea del paravento, mettendo così il piede nella parte più intima della dimora di quella famiglia e si fermò a pochi passi dalla tavola su cui Rosina alzandosi aveva gettato alla rinfusa i panni intorno a cui stava lavorando; piantò in terra la sua mazza, vi appoggiò su le due mani una accavallata all'altra, e fatti scorrere que' suoi occhi di talpa, quasi di furto, su Vanardi, su Rosina e sui tre ragazzi che si erano fermi in gruppo, il tozzo di pane in mano e gli occhi larghi, a guardare il nuovo venuto, disse con voce tutto dolciata:

      —Buon giorno, miei cari. Lei sta bene, signora Rosina?

      —Benone, grazie. Oh, quanto a salute non è quello che ci manca.

      —E lei, signor Vanardi?

      —Benonissimo; e se si potesse batter moneta coll'appetito vorrei anch'io diventar proprietario di casa.

      Marone fece una risatina falsa come una filza di perle di vetro.

      —Ah, ah, ah! sempre di buon umore lei!.. Le auguro che continui…. Sì, le auguro che coll'aiuto della Provvidenza e della santa Vergine (ed alzò gli occhi al lucernario) lei e la sua famiglia possano sempre star nella grazia di Dio… Eh, eh! siamo presto al Natale ed alla fine dell'anno.

      —Ci abbiamo ancora quindici giorni… disse timidamente Antonio.

      —Che cosa sono quindici giorni? La vede come passa il tempo!… Sembra la settimana scorsa soltanto che l'anno è incominciato, ed eccoci già invece all'anno nuovo.

      —Questo è vero.

      —Dunque, buone feste e buon fine e buon principio.

      —Grazie mille: rispose Antonio. Ed altrettanto a lei, signor mio, che il Cielo le mandi ogni sorta di bene.

      E Rosina a soggiungere colla vivacità della sua parlantina:

      —Sì, certo; quantunque lei non ne abbia bisogno, che lei è un signorone che ne ha di ogni grazia di Dio a bizzeffe…

      —Cioè, cioè: interruppe Marone sorridendo, scotendo il capo ed agitando la mano; non bisogna credere tutto quello che dice il mondo delle mie fortune. Anch'io, benedetta la pazienza! ho i miei impicci… Non mi lamento già!! Curvo rassegnato il capo ai decreti della Provvidenza; ma anche per me questi sono cattivi tempi. La ricchezza vera e sola di cui posso vantarmi è una pura coscienza.

      —Pura come l'acqua sporca: pensò Vanardi fra sè gettando un'occhiata impaziente e quasi indispettita sulla faccia ipocrita del padrone di casa.

      —La coscienza è una bella cosa, ripigliava la Rosina, ma dei buoni redditi sicuri, come sono i suoi, non guastano la vita… Anche noi abbiamo la coscienza netta, come abbiamo ancora di tutt'oggi lo stomaco che non ha fatto colazione, ma ciò non basta a farci bollire la pignatta, noi che si manca di tutto e si stenta maledettamente la vita, sa!

      Marone si pose a tossir forte, trasse di tasca il moccichino e si purgò il naso rumorosamente.

      —Ehm! ehm! diss'egli poi ripiegando accuratamente il fazzoletto e rimettendolo in saccoccia: questi loro cari ragazzi son vispi come pesci nell'acqua. Gli è un piacere il vederli.

      I fanciulli stavano sempre guardandolo curiosamente come una bestia rara. La mamma prese il più grandicello per un braccio, e tirandolo via di lì disse loro con accento proverbiante:

      —Oh! volete levarvi dai piedi della gente, scioccherelli?

      —Li lasci, li lasci, madama, la prego…

      —Ma no, ma no… Venga avanti, signor Marone… La favorisca, s'accomodi… Antonio, porgi una sedia al signor Marone… che benedetto uomo! Tu stai lì interito come un piuolo. Vedi che l'è ancora rovesciata per terra la sedia che que' mariuoli hanno finito di rompere… Ah, che demonii, sa, signor Marone! Roba da diventar matti… Mi fracassan tutto qui dentro… Bisogna sempre aver la voce sugli acuti a gridare… E il loro padre che non sa farsene ubbidire!… Ecco qui una seggiola buona… voglio dire che non è sconquassata come le altre… Di grazia, la si accomodi un pochino. Vanardi, su via, muoviti; piglia il cappello e la canna del signor Marone.

      —Grazie, grazie, non occorre: diceva il padrone di casa volendosene schermire; ma la Rosina s'era già precipitata sul cappello e glie lo levava a forza di mano, ed Antonio, seguendone l'esempio, s'impadroniva della mazza.

      Il signor Marone sedeva, intrecciava le dita delle mani sulle sue ginocchia, si metteva a far girare i pollici, e con voce ancora più mansueta, e con aspetto ancora più benigno, guardando ostinatamente la punta dei suoi grossi scarponi, riprese a dire:

      —Stamattina ho avuto il piacere d'incontrare la signora Rosina…

      —Sì, signore, disse questa sollecita: andavo a fare una commissione, e se la vuol sapere, andavo a cercar del lavoro. Mi avevano detto che la sarta, la quale abita costaggiù alla seconda cantonata, cercava delle cucitrici; e siccome io, non fo per dire, ma coll'ago e il refe in mano sfido qualunque siasi ad avere un punto più sollecito e più fino e più eguale, sono andata ad esibirmi… Eh sì! la mi ha detto che ne aveva già due di troppo di operaie…

      Marone trasse un sospiro e levò gli occhi al soffitto.

      —Il lavoro manca per tutti, e non ci furono mai tante miserie come a questo tempo. La Provvidenza ci vuol punire tutti quanti dei nostri peccati, delle nostre empietà, della guerra sacrilega che facciamo alla Chiesa ed al clero.

      Chinò il capo in aria tutto compunta, appoggiò le mani incrociate al petto curvo, e parve recitare una giaculatoria.

      Antonio si morse i baffi per fermare sulle sue labbra le parole insolenti che avevano una matta voglia di venirne fuori.

      —Ah, sì, disse la Rosina, ci sono molte miserie nel mondo, e non vi fu mai bisogno come ora che si eserciti la carità del prossimo.

      Il padrone di casa fece un cenno affermativo col capo e colle mani, per significare che approvava vivamente quel che diceva la Rosina.

      E questa continuava:

      —E per fortuna ce n'è ancora di carità nel mondo.

      —Dica per grazia di Dio.

      —Come vuole… Di parecchie persone misericordiose si trovano in questa nostra città.

      Marone strinse le spalle, allargò le braccia e mandò un'esclamazione, come per dire:

      —Eh via, qualche cosa c'è pure, ma dovrebbe esserci di meglio.

      —E tra queste persone dobbiamo contare anche lei, signor Marone.

      Questi fece colle mani il moto vivace di chi respinge un vistoso dono che gli si offra, e con un calore di modestia ammirabile, esclamò:

      —Oh, che cosa dice?… Io non sono nulla, e pur troppo non posso far nulla… Certo tutte quelle buone opere che mi si presentano da fare io non le trascuro. Posso dirmi con nobile orgoglio che qualche cosa di bene si deve pure alla meschina opera mia… La congregazione di Santa Filomena, se non fosse di me, non camminerebbe forse con tanta prosperità… Ma che cosa dico? Oh buon Gesù! Ecco che io commetto un peccato d'orgoglio.

      —Eh! i suoi meriti sono conosciuti… Poc'anzi che l'ho trovato sulla porta della marchesa di Campidoro, sono certa ch'ella andava da


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