La carità del prossimo. Bersezio Vittorio
punta di piedi ed ingrossando la voce:
—Io voglio diventare tamburro maggiore.
Ma l'ambizione dello zio padrino non fu soddisfatta da queste aspirazioni d'Antoniuccio alla grandezza. Meglio che il bastone a grosso pome d'argento gliene parve il codice a legatura di pelle: meglio che la montura e la sciabola, la toga nera ed il bavero, e disse al nipote in tono di sentenza irrevocabile:
—Tu non sarai tamburo, ma avvocato.
Antonio vi si rassegnò.
All'Università s'incontrò e strinse amicizia con una frotta di capi ameni che di studiare la legale avevano tanta voglia come di intisichire, dei quali per ora non occorre nominarvi che quel Giovanni Selva, di cui già avete sentito fare un cenno lo speziale Agapito, e del quale vi avrò da parlare più a dilungo fra poco.
Di questi suoi amici l'uno voleva essere un nuovo Rossini, l'altro un Ariosto, il terzo un Alfieri: Vanardi—o fosse perchè il posto di artista non era ancora occupato, o i quadrilateri dipinti a più colori, che la sfoggiavano sopra l'uscio del fondaco dello zio esercitassero un influsso sull'incertezza della sua mente—Vanardi si cacciò in capo di voler essere Rafaello. Si mise a scarabocchiare di faccie impossibili e di figure mostruose tutte le copertine de' suoi trattati, tutte le pagine de' suoi cartolari, tutti i frontispizi de' suoi libri. Mentre i diligenti fra i suoi compagni scrivevano le spiegazioni della scienza legale che cascavano dalla bocca sapiente del professore, egli schizzava a tratti di penna la caricatura della parrucca, del naso, del berretto dottorale, della faccia ingrugnata dell'insegnante; mentre avrebbe dovuto studiare il Fabro e svolgere il Digesto, egli studiava il nudo e stringeva più o meno dimestica conoscenza colle modelle. Un orrore di condotta da mettere sulle furie anche il più zuccherato di tutti gli zii dell'uno e dell'altro emisfero.
In questa guisa il nostro Antonio avanzò sì bene che giunse a sbozzare in men che non si dice una parodia di figura e non potè andar oltre al terzo anno del corso di leggi. Rimandato tante volte di seguito, quante bastava per non poter più presentarsi agli esami, dovette di necessità raccogliere tutto il suo coraggio per dichiarare allo zio padrino che d'avere un nipote avvocato non se ne faceva più niente. Figuratevi la collera del buon droghiere, il quale a quel tempo era rimasto unico dei parenti d'Antonio e riuniva in sè tutte le autorità della famiglia!
Dopo averlo strapazzato una buona ora, chiese finalmente al nipote:
—Ebbene, disgraziato, e che vuoi tu fare al presente?
Antonio che aveva ricevuta l'intemerata colla testa bassa e colle sembianze raumiliate d'un peccatore ravveduto, alzò la faccia, esitò un pochino poi disse colla maggior fermezza che lasciava alla sua voce il cuore che gli batteva forte forte:
—Voglio farmi pittore.
Lo zio fece un trasalto che avreste detto di spavento, quale avrebbe potuto avere se si fosse trovato inopinatamente innanzi ad un matto.
—Pittore! che è ciò? Che vuol dir questa bizzaria? Pittore!
Sciagurataccio! mi faresti dire qualche sproposito.
Ma il nipote, il quale, impegnata una volta la lotta, aveva sentito accrescersi un poco il coraggio, riprese più franco:
—Sì, signor zio. Sono ammesso alla scuola dell'Accademia. I professori sono contenti dei miei progressi. (E' si vantava, lo scellerato!) Diventerò un artista di vaglia, illustrerò il nostro nome e…
—Un corno! esclamò lo zio furibondo… Poichè tu non sei capace di spacciar eloquenza alla ringhiera del foro, spaccerai pepe e cannella al minuto al banco della mia bottega. Sarai droghiere come tuo zio.
Antonio volle opporsi a questa fatale sentenza, ma il vecchio fu irremovibile. La lotta durò per un poco. Il padrino era ostinato, ma il figlioccio nella sua timidità era testardo. Un bel dì, quest'ultimo scappò di casa coi suoi colori, coi suoi pennelli, co' suoi rotoli di tela, colle sue cartelle, colla sua tavolozza, colla sua cassetta, colla sua povertà e col suo buon umore, e piantò le tende in una soffitta dove non gli mancavano la luce, la vista del cielo e quella di tutti i comignoli dei camini delle case.
Lo zio gli assegnò quindici giorni di tempo per tornare all'ovile. Passato quest'intervallo, gli mandò un involto con dentrovi alcuni biglietti di banco ed una lettera per la quale lo ammoniva che l'aveva cancellato affatto dal suo cuore, che qualunque vicenda gli capitasse non voleva più saperne di niente, che per lui era d'ora in avanti come se non avesse avuto mai nè figlioccio nè nipote.
Antonio rimase afflitto della lettera, perchè in realtà allo zio voleva bene; fu consolato dai fogli di valore, perocchè gli venivano più che opportuni; e non disperò di ottenere un dì o l'altro il perdono del padrino, massime quando sarebbe stato celebre e ricco per opera del suo pennello, cosa che secondo lui non solo non poteva mancare, ma non doveva nemmeno tardare di molto.
Si presentò due o tre volte al fondaco dello zio per rappaciarsi con esso; ma l'inesorabile vecchio, seduto sempre al suo scrittoio, dietro un paravento a vetri, sporgeva in fuori la testa coperta dell'eterno berretto di seta nera, guardava chi fosse entrato; vedendo il nipote, gettava due sbruffi di tosse, s'alzava da sedere, e senza far motto, additava con tacita eloquenza di gesto la porta per cui si doveva uscire; sopra la quale pompeggiavano al di fuori nella strada sette quadrilateri, i cui rispettivi colori erano rosso, turchino, giallo, verde, arancio, violetto e terra d'Italia.
Antonio chinava rassegnatamente il capo ed usciva; finchè si stancò della monotona ripetizione di questa scena muta, e non ci venne più.
Però, di quando in quando, nelle occasioni solenni dell'anno, al Natale, alle tremende epoche in cui si ha da pagar la pigione, venivano al pittore certi soccorsi anonimi, ch'egli sapeva indovinar molto bene da che mano partissero. E questi soccorsi conferivano a giungere in capo dell'anno senza troppi stenti; soddisfatto com'egli era del poco, e sì poco veramente bastando a lui, solo, nella modestissima esistenza che menava via allegramente, senza un fastidio al mondo.
Ma i fastidii soprarrivarono pur troppo, poco tempo dopo che ebbe la cattiva ispirazione di prender moglie. Quest'essa era una povera figliuola del popolo, abilissima cucitrice, ma con poca istruzione, pochissima educazione e senza denari. Non aveva che la sua gioventù, una piacevolezza di tratti che non poteva dirsi beltà, e il suo buon cuore. Antonio la vide nell'occasione dolorosissima, ch'ella perdette l'unico parente che ancora le rimanesse. Stavano vicini d'alloggio, e il povero pittore si mise a consolare la povera orfanella. In breve dovettero sposarsi. Antonio si guardò bene dal darne avviso allo zio; ma pur tuttavia questi lo seppe la stessa cosa, ed andò nuovamente sulle furie e peggio che mai. Da quel giorno le anonime sovvenzioni cessarono; ma in compenso cominciarono a venire i figliuoli.
Il lavoro, per maledetta sorte, non imitava il bell'esempio della prole; non veniva nè punto nè poco. Un quadro su cui Antonio aveva fondato le sue più belle speranze fu giudicato unanimemente alla pubblica mostra, dove l'aveva esposto, una porcheria insuperabile. Il bisogno aveva incominciato ad insinuarsi pian piano nella casa; la miseria faceva capolino dalla finestra e digrignava minacciosamente i denti alla porta.
Aveva vissuto un po' di tempo in compagnia di quei suoi amici dell'Università, fra cui principale il Selva, che erano venuti ad alloggiare con esso lui; s'erano immischiati nella politica, ed avevano congiurato prima del quarantotto per l'unità e l'indipendenza d'Italia. Ma la rivoluzione appunto di quell'anno meraviglioso aveva disciolta e dispersa la piccola colonia. Quasi tutti quegli amici erano andati soldati; ed Antonio, trattenuto dalla sua famiglia, era rimasto solo. Di poi l'aveva aiutato assai l'amicizia d'una buona e generosa famiglia, i Cioni, di cui l'unico figlio, Adolfo, dilettante di pittura, aveva saputo trovare mille ingegnose maniere di soccorrerlo col pretesto di dargli del lavoro. Ma una sciagurata catastrofe era avvenuta in quella famiglia. Adolfo amava in segreto, e riamato, la moglie d'un vecchio e fiero capitano, il quale, scoperta la verità, aveva in un orribil duello ucciso il giovane, e la donna seco via condottasi che mai più nessuno ne aveva saputo novella. Il padre di Adolfo non molto era sopravvissuto all'unico figlio, tanto era stato il suo dolore. Antonio aveva perso il suo maggior sostegno.
Egli aveva visto chiaro le sue