Il 1859 da Plombières a Villafranca. Alfredo Panzini
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Alfredo Panzini
Il 1859 da Plombières a Villafranca
Pubblicato da Good Press, 2020
EAN 4064066070892
Indice
III. Il colloquio di Plombières.
IV. L'opera del Cavour e l'opinione publica.
VI. Le alternative di pace e di guerra.
VII. Perchè Napoleone III volle la guerra d'Italia.
Prima.
INTRODUZIONE STORICA.
Nel secolo passato, come si diceva sino a nove anni addietro; ora diremo nel secolo XVIII, le guerre duravano molti anni. Anzi si può dire che tutta la prima metà di quel secolo così singolare, che comincia col Metastasio e finisce con la «Marsigliese», fu tutta una continuazione di tre guerre, che si trascinarono per la bellezza di quarant'otto anni, qua e là per l'Europa come una pestilenza.
I popoli, cioè i fedelissimi sudditi, avevano da tempo osservato che dietro alla guerra veniva spesso la peste vera e la carestia e perciò si erano abituati a notarle come tre fatalità, e pregavano il Signore di tenerle lontane:
a peste, fame et bello, libera nos, Domine!
Ma che fossero una fatalità non pare proprio, se è vero che i serenissimi principi potevano a loro talento scatenare i nembi di queste guerre come Eolo faceva dei venti.
Bene è vero però che in quella prima metà del secolo, all'infuori di eserciti imperiali, cioè austriaci e alemanni da un lato ed eserciti gallo-ispani dall'altro, densi di archibusi, e comandati da marescialli imparruccati, instivalati, isperonati, e loro coorti, altri nembi non cavalcavano per l'aria serena. Il nembo della ribellione era tuttora nel cervello dei filosofi e appariva in forma di leggiadre nuvolette, come il polline dei fiori. Anzi quando la tempesta del fiero Marte s'era trasportata d'uno in altro paese, dalle riposate ville o dai bei palagi qualche Nice incipriata udivasi sospirare:
Se cerca, se dice:
L'amico dov'è?
L'amico infelice,
Rispondi, morì.
Nè si deve d'altra parte pensare che questi eserciti nelle loro zuffe o battaglie si decimassero scambievolmente, perchè se così fosse stato, dopo tante battaglie e in tanti anni non sarebbero rimaste in piedi che le parrucche e gli stivaloni. Anzi tutto la scienza chimica e la meccanica non avevano posto a disposizione del progresso tanti rapidissimi e perfetti congegni di morte; ed inoltre appare evidente che quelle antiche milizie, se trovavano professionalmente utili le guerre lunghe, non altrettanto utili dovevano trovare le guerre micidiali.
Queste guerre furono tre, e tutte e tre ebbero il nome di guerre di successione, perchè furono cagionate dal diritto che i Serenissimi Principi avevano o credevano di avere alla successione di un trono rimasto vacante. E prima fu vacante il trono di Spagna e la guerra arse per 14 anni, cioè dal 1700 al 1714; poi fu vacante il trono di Polonia e la guerra arse per altri 5 anni, cioè dal 1733 al 1738; in ultimo fu vacante il trono d'Austria e la guerra arse dal 1740 al 1748. Dopo si fece la pace che ha il bel nome imperiale di Acquisgrana, anzi, cosa singolare, i Serenissimi Principi, venuti ad occupare, per effetto di quelle guerre, i troni d'Italia, si posero a restaurare la nuova casa a beneficio dei fedelissimi sudditi. Se non che un bel giorno quel polline diventò nembo, quel venticello leggero di fronda filosofica, bufera. Tutto il cielo si oscurò dalla parte di occidente, dove è la Francia, e in quel buio lampeggiò una cosa orribile: la mannaia della ghigliottina. Poi apparve sull'Alpe un giovane pallido, Napoleone. La bufera scoppiò anche da noi e spazzò quei restauri ed anche quei Serenissimi Principi.
Da allora in poi altre case per il popolo ed altri restauri domanda il popolo.
Era quello un ben felice tempo per i Re e per i Principi, giacchè tanto le terre quanto i sudditi si ritenevano come una specie di loro proprietà privata, concessa da Dio: il tempo delle monarchie assolute e del diritto divino, come dicono gli storici. Oh, non che tutti i Re governassero a loro talento. Governava chi poteva, come sempre è avvenuto. Ciambellani, gran signori, gran dame, confessori governavano anche: un complesso di interessi che si connettevano o si ritenevano congiunti agli interessi supremi del trono alla cui ombra fiorivano quei signori.
Dunque era proprio morto il re di Spagna, l'erede di Carlo V e di Filippo II, due nomi che hanno riempito tanto il mondo di sè, che vivono anche nei romanzi: il sole non tramontava mai nei suoi Stati: egli era tramontato. I cortigiani, secondo il rito, lo avranno chiamato per nome e gli avranno chiesto gli ordini: ma il re non ha risposto. Era morto e non lasciava erede alcun figliuolo; ma un nipote, che a sua volta era pronipote del più folgorante di questi re, il re di Francia, così folgorante anzi che era chiamato il Re Sole, era stato nominato erede. Se non che l'imperatore d'Austria avanzava anch'egli diritti, come parente, a quel bel trono di Spagna. Grande era la potenza di questo imperatore, e grande il suo retaggio. Tuttavia ambiva anche al trono di Spagna ed alla monarchia universale, come al tempo dei Cesari romani del cui nome era erede, e di Carlo V, di cui pure egli era erede. Io non parlo degli aspiranti minori che non furono pochi.
Questa ambizione dell'Austria poco piacendo alla Francia, e viceversa, i contendenti ricorsero all'eloquenza del cannone: i cannoni su cui era impresso tra fregi adorni il motto: «Ultima razon de Reyes, ultima ratio regum», per dire che i re non avevano bisogno di ricorrere ad alcun Areopago o giudizio di popolo nelle loro contese.
Dopo quattordici anni, quanto potrebbe durare una causa per successione presso i nostri tribunali, cioè nel 1714, le armi avendo dato ragione al nepote del re di Francia, avvenne che il trono di Spagna a lui si rimase. Ma l'imperatore d'Austria aveva per tanti anni combattuto