Semiramide: Racconto babilonese. Anton Giulio Barrili
fin sulle rive dell'Indo.
Una gioia profonda e calma traspariva dal volto della regina, il cui riposato atteggiarsi, lasciando i soavi contorni in tutta la loro serena maestà, diceva l'onesto compiacimento della bellezza, che è sicura di vincere dovunque ella si mostri. I suoi grandi occhi neri, accortamente allungati, giusta il costume orientale, la mercè di sottilissime linee, impresse con polvere stemperata d'antimonio, tramandavano una luce intensa e penetrante, come di zaffiro incontro ai raggi del sole.
Per mezzo alla gran moltitudine regnava un alto silenzio, che dimostrava sol esso la regia potenza di Semiramide, più che non la raffigurassero agli occhi del re d'Armenia tutte le splendidezze di quella sala, in cui mettea piede, guidato dal gran maggiordomo.
Poco prima di introdurlo al cospetto del trono, questi avevo detto al giovine re:
— Sai tu, mio signore, qual sia il nostro costume, nell'accostarci, umili, o grandi, alla maestà regale?
— Io no; — aveva risposto Ara; — e qual è il vostro costume?
— Prostrarci a terra e adorare. Sì, — ripigliava il gran maggiordomo, notando un gesto di ripugnanza del principe, — la più bella delle nostre leggi è questa, che ci comanda di onorare i re e di onorare in essi l'immagine degli Dei conservatori d'ogni cosa creata. A te, mio signore, omaggio in Armavir, come a Semiramide nella sua reggia di Babilu. —
Il re d'Armenia, bene intendendo il senso risposto di quella distinzione del suo introduttore, non avea più fatto parola; e, lasciandolo inconsapevole de' suoi propositi, era entrato nella sala di Nemrod, avviandosi con passo modesto, ma sicuro, in mezzo a quelle due ale di cortigiani, che si prolungavano, lasciando vuoto un grandissimo spazio, dai lati del trono all'ingresso.
Lungo era il cammino, sterminatamente più lungo tra quella doppia fila di sguardi, che egli ben sapeva tutti rivolti sul nuovo venuto. Ma Ara non sentiva turbamento di ciò; bensì gli cuoceva di aversi a por ginocchioni, come ogni altr'uomo, davanti alla signora di Babilonia, e veniva appunto maturando in cuor suo il proposito di ristringere l'ossequio ad un cortese inchino, che egli del resto avrebbe fatto di gran cuore alla donna. Foss'ella stata la sua divina amica! Come sarebbe caduto volontieri ai piedi di lei! Altra maestà sopra la sua non conosceva il re d'Armenia fuor quella.
Andando così verso il trono, avea intravveduto, come in barlume, uno stuolo di donne, e il cuore gli avea dato un sobbalzo. Ah, foss'ella nel numero! E ciò pensando, s'era fatto in volto del color della porpora. Intanto un mormorio di ammirazione, correndo sommessamente tra la folla, salutava l'apparire di quel leggiadro garzone, la cui bellezza accresceva decoro al grado, più assai che il grado non facesse risaltar la bellezza.
Giunto egli finalmente a' piedi dei trono, si fermò, e, recatasi la destra al petto, chinò il capo davanti alla regina, di cui non aveva pur contemplato il sembiante.
— Gran Semiramide, vivi in perpetuo! — egli disse.
— E tu pure, nobil sangue d'Aìco; — rispose una voce melodiosa dall'alto.
Tremò egli in udirla, e il sangue, acceso ai memori suoni, gli scorse con impeto al cuore. Alzò gli occhi a guardare e li abbassò prontamente, come abbacinato da una gran luce; indi gli parve di aver male veduto e risollevò le pupille, ma per chinarle da capo. Fu un batter d'occhio, fu un lampo; e in quel lampo si stemprò la fierezza del giovine, che cadde allora sulle ginocchia, contro i gradini del trono.
Semiramide gli era venuta incontro amorevole e lo aveva preso per mano. Egli, a stento rimettendosi in piedi, ma non riavutosi del colpo, la guardava inebriato e confuso.
— Regina.... — balbettò egli, nel rialzarsi da terra.
— Atossa! — gli susurrò la regina all'orecchio, con carezzevole accento.
E presa la benda di perle, che un donzello recava, insieme con lo scettro, sopra un ricco cuscino, la rimetteva con le sue mani sul biondo capo di Ara.
— Sorgi, re d'Armenia! — diss'ella con piglio maestoso. — Ecco il tuo scettro; impugnalo per la felicità del tuo popolo, come hai impugnata la spada, per terrore de' tuoi nemici. Figlio d'Aràmo, tu non sei tributario di Semiramide, ma alleato ed amico. —
Indi, volgendosi ai grandi della sua corte e alla moltitudine congregata, proseguì con voce sonora:
— Il re d'Armenia è l'ospite nostro. Amicizia eterna regni tra l'aquile della montagna e i leoni della pianura. —
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