Semiramide: Racconto babilonese. Anton Giulio Barrili

Semiramide: Racconto babilonese - Anton Giulio Barrili


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io t'avevo tolta per Daokina, la moglie di Ao, emersa dai flutti del mare; chè certo la vezzosa regnatrice delle onde non è più bella di te.

      «Il volto della fanciulla si tinse del color della fiamma, e il cuore di lui ne fu colmo di ebbrezza. E così amabile sulle guancie d'una donna il rossore che le nostre parole fan nascere! Ambedue rimasero un tratto in silenzio, commossi, anelanti, ella con gli occhi a terra, egli col guardo fisso in quel raggio di giovanile bellezza. Indi, facendosi anche più rossa, e con accento che diceva tutta la commozione dell'animo, la fanciulla chiese a lui di rimando:

      «— E tu, mio signore, come ti chiami?

      «— Il mio nome è assai men leggiadro del tuo; — le rispose egli; — son Ninia.

      «— Ninia! — esclamò ella alzando i suoi grand'occhi verso di lui ed abbassandoli tosto; — il principe di Babilu!

      «E fu per cadere al suolo, tanta era la sua confusione. Ma Ninia si affrettò a sorreggerla, e in cosiffatta guisa, Ahriman, che vigila ai danni della creatura, li ebbe gittati, senza loro saputa, l'una nelle braccia dell'altro.

      «Fu questo il primo incontro, e non fu il solo. Due volte ancora la vezzosa nuotatrice varcò la corrente del fiume, recando la sua ciotola di fresco latte all'assetato garzone. Il terzo dì, fatto più ardito, egli non volse già ai tamarischi di Lahiru: bensì, uscendo da Babilonia sulla riva sinistra del fiume, e lasciatisi indietro i giovani amici, cavalcò ansioso fino ai palmeti di Gomer. Vuoi tu udire ciò che si bisbigliasse ieri, sulla quinta ora del giorno, in quel nido di verdura, celato agli sguardi profani? Pon mente, e vedi se alcuna cosa è sfuggita al vigile orecchio del tuo genio tutelare.

      «— Ti son io così cara? — dicea la fanciulla. — Non mi dimenticherai tu un giorno, o mio principe?

      «— Principe! — ripetè con accento di amarezza il regio garzone. — Tutti mi chiamano così e il nome mi suona sgradito. Tu chiamami Ninia, il tuo Ninia, il fratello, il giovine amico del tuo cuore. Dimentichiamo la reggia; nessuno mi ama laggiù!

      «— E tua madre? — gli chiese Anaiti.

      «— Mia madre, tu dici? Io l'amo, e credo che ella mi ami; ma le gravi cure del regno la distolgono sempre da me. Mi ama Zerduste, il savio principe dei Medi, che la regina mi ha dato a maestro e custode. Mi ama! — aggiunse sospirando il garzone. — Lo dice; soventi volte lo dice; ma io non ho mai visto il sorriso di quell'uomo, il sorriso, in cui si manifestano i dolci sensi dell'anima, il sorriso, che mi fa parer più leggiadro il tuo volto e m'innonda il cuore di così nuova dolcezza! Sempre grave, cupo, accigliato, è Zerduste, pauroso come il suo dio, circondato di spiriti invisibili, che riempiono le mie notti di arcani terrori. Con te son lieto, Anaiti; bella e pietosa come l'aurora, tu sperdi le tenebre addensate su me, tu mi rinfranchi lo spirito abbattuto, mi rechi la fede, la speranza e l'amore. Non son queste le tre consolazioni della vita? E non è bello che mi vengano tutte da te?

      «Così ragionando egli, e la fanciulla rispondendogli con la muta eloquenza degli occhi radianti, errarono a lungo sotto i palmeti di Gomer. Colà Ninia vide per la prima volta la casa di lei, umile tugurio di pescatori, dove si nasconde quel miracolo di leggiadria, come entro vil gleba il diamante. Ma essa non vi rimarrà a lungo, se a Ninia sarà dato di colorire i suoi amorosi disegni. Nel cuore della rusticana fanciulla si agitano confusi i desiderii e le ambizioni della donna. È soltanto dell'uomo il restarsi ignaro e contento nell'umile stato a cui lo condannò la natura; la donna, in quella vece, sol che le arridano gioventù e bellezza, può levarsi in alto, fors'anco apparir degna di un trono. Non è egli vero, o Ninia? Non è ciò che tu pensi?» —

      Così Zerduste, con progressione implacabile, era venuto scoprendo i più riposti segreti di quell'anima giovanile. Ninia, attonito da prima, indi sgomentito, esterrefatto, lo aveva ascoltato tacendo.

      — Padre mio, — gridò egli finalmente, con voce lagrimosa, nell'atto di buttarsi ai piè di Zerduste, — se tu la vedessi! Ella è così bella, ed io l'amo tanto! Strappami il cuore, se così ti piace, ma non strappar Ninia da lei! —

      Zerduste lo rialzò, senza profferir verbo.

      — Non mi dirai tu nulla? Non mi perdonerai tu? — chiese il garzone con supplichevole accento. — Se io ti ho mal conosciuto finora, non vorrai tu condonarlo alla mia giovinezza inesperta? Sì, io lo vedo, lo sento; tu sei il ministro d'un Dio, tu che sai ogni cosa, tu che leggi nel profondo dei cuori, onniveggente maestro!

      — Non io, — soggiunse umilmente Zerduste, — ma i santi Amsciaspandi, gli Ized, e i Ferver, invisibili spiriti che ti incutono spavento. Eglino, per altro, non fan paura ai saggi; chi segue la legge di Mazda non ha nulla a temere da essi. O Ninia, ed è il tuo labbro che ha potuto giudicarmi così malamente? Non t'amo? Non hai veduto mai Zerduste sorriderti! E che? Dovrei io allegrarti di vane lusinghe, come una vil femminetta, io che ho sacrata la mia vita agli arcani della divinità, io che consumo le notti sulle tavole sacre, io che nutro il tuo spirito dei reconditi veri?

      — Padre mio! — gridò Ninia, piangente. — Sono colpevole; qual pena m'infliggi?

      — La preghiera, mio figlio, la preghiera che innalzerai al trono di Mazda, nel fervore dell'anima tua. Ancor lungo cammino ti è mestieri di correre, innanzi di giungere alla vera sapienza; ma la fede e la preghiera possono farlo più breve. Tu allora accosterai sicuro le labbra al calice delle umane delizie, che non avrà più veleno per te.

      — Maestro, — disse il garzone, riaprendo il cuore alla speranza, — e se io avessi questa fede... se io ti giurassi...

      — Va; — interruppe Zerduste, sorridendo la prima volta al discepolo; — Ahuramazda non è un tiranno dei cuori. Va coi tuoi giovani amici; ma pensa...

      — Che egli regna in cielo, — proseguì il giovinetto esultante, — e che tu sei il suo ministro sulla terra. Io lo adoro e ti amo. —

      Così dicendo, Ninia era per inginocchiarsi ai suoi piedi. Zerduste lo trattenne con piglio amorevole e lo strinse al suo seno.

      L'adolescente col cuore in festa, il volto sfavillante di gioia e il piè leggero, si dipartì poco stante da lui. Lieto al pari di Ninia, ma di più profonda allegrezza, Zerduste rimase solo lassù.

      — Grazie, — esclamò egli, levando gli occhi e le mani al cielo, — grazie a te, Ahuramazda, lume delle anime, signore della gente di Javan! Sei tu che vinci quest'oggi, e l'abbattimento di questo lioncello del sangue di Nemrod mi è presagio felice. —

      Indi misurando la piattaforma a passi concitati e sicuri, come d'uomo che ha piena balìa di sè medesimo e degli eventi, si volse a guardar la città sottoposta e le alte moli scintillanti da lunge al cospetto del sole.

      — Bitzida, Niprùti, — soggiunse fissando lo sguardo sulla torre delle sette sfere e sulla piramide sacra alle fondamenta della terra, — i vostri Dei cadranno; la fiamma purissima di Mazda arderà sulle vostre cime. E tu, superba regina, disprezzami! Il mio giorno verrà; nè te salveranno i favoleggiati natali dal grembo di Derceto, o venturiera d'Ascalona! —

      In quel mezzo, un uomo apparve sul terrazzo.

      — Mio signore... — diss'egli.

      — Che vuoi, Thuravara?

      — Il re d'Armenia si è mosso, con la sua cavalcata dal baluardo di Nivitti Bel. Tra un'ora egli sarà in vista del ponte, per venire alla reggia.

      — Ben venga! — esclamò Zerduste. — Tu vanne e sii pronto al comando. Io sarò tra breve nella gran sala di Nebo, ad aspettar la regina. —

      Thuravara s'inchinò e disparve giù dalle scale onde era venuto.

      — Ben venga, sì! — proseguiva Zerduste. — È pena acerba la mia, ma sarà acerba la vendetta del pari. Ah, tu l'hai voluta, Semiram? E sia! Militta Zarpanit, che ti ha ministrato il dolce veleno, non potrà profferirti altrimenti il rimedio. —

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