Semiramide: Racconto babilonese. Anton Giulio Barrili
del giovone.
— E' sono inferiori suoi; t'è già noto, o Ninia; — rispose egli con aria di paterno rimprovero; — eglino, quanti sono, adorati dalla stirpe degli Accad, obbediscono a lui, come i sei santi immortali e la innumerevole schiera degli spiriti da lui creati nel tempo. Da lui viene la luce, che dà splendore agli astri del cielo e infonde virtù agli elementi; in lui solo è la verità suprema, la bellezza e la forza, l'origine e il fine di ogni cosa creata.
— È vero! — disse l'adolescente, reclinando la testa sul petto.
Piacque all'altro l'arrendevolezza giovanile, a cui del resto s'aspettava, e il suo accento si fece ad un tratto più dolce.
— Or dunque, mio Ninia, consacriamo queste ore agli utili studi. Purificato dalle mattutine abluzioni e dalla preghiera, tu leggerai le prime tavole del Vidaè Vadàta, che è la legge di Ahuramazda contro gli spiriti malvagi. Tu vedrai come egli abbia create le schiere celesti per combattere la potenza del male, i sei genii Amsciaspandi, i benefici Izèd, e da ultimo i Ferveri, custodi dell'uomo nelle pugne della vita.
— Savio Zerduste.... — entrò a dire peritoso il giovinetto.
— Orbene?
— Questa mattina non puoi tu concedermi libertà? I miei giovani compagni mi attendono per una cavalcata fuori Imgur Bel. Si va fino al villaggio di Lahiru, donde si cominciano a scorgere le alte torri di Sippar.
— E dove è così dolce il riposo sotto le palme di Gomer; — aggiunse Zerduste, con accento da cui trapelava il sarcasmo. — Non è egli vero?
— Che vuoi tu dire? — esclamò Ninia, arrossendo. — Si rimane per breve ora colà, a ristorarci dalla fatica e far posare i cavalli all'ombra dei tamarischi.
— Bada a te, Ninia, bada a te! — proseguì Zerduste, senza por mente alle scuse. — Ahriman ti vuol suo. Il negro spirito ti fa velo agli occhi di gioie terrestri, per disviarti dal retto sentiero. —
Il volto dell'adolescente si rannuvolò.
— Ma dimmi, sapiente maestro, — disse egli, non senza un tal po' d'amarezza, — questa diritta via sarà ella dunque e sempre, la via del dolore?
— Non già; — rispose Zerduste; — fine della vita è la gioia; ma il savio impara a vivere, innanzi di prender cammino. Due sentieri guidano alla meta; aspro e malagevole il primo, irto di rovi e povero di ombre consolatrici; facile l'altro e piano, smaltato di fiori, liberale di liete fragranze, ricco d'amabili incanti. S'attenga al primo, ne patisca animoso le angustie, chi vuol giungere speditamente al fine desiderato; guai a chi sceglie il secondo, imperocchè Ahriman s'appiatta insidioso tra i rami, persuade all'animo i fallaci consigli, e ad ogni fior che si coglie, ad ogni ora di soave riposo che si gusta, fugge la vita veloce e l'intento s'oblìa. Odimi, o dolce figliuolo, chè tale ben posso chiamarti per l'affetto del cuor mio; non cedere alle blandizie dello spirito malefico, tu che hai potuto intravvedere gli arcani splendori del vero; non ti adagiare nelle mollezze anzi tempo, tu che sei nato alle nobili cure del regno. Strana fiacchezza è la tua, o sangue di Nemrod! Dov'è la tenacità di propositi, dove l'ardire e l'ambizione, che ti facciano degno de' tuoi possenti maggiori?
— Faticose virtù! — rispose Ninia, sospirando. — Pur troppo dovrò conoscerle un giorno e saper come pesano! Babilonia ha un gran re, mia madre, e vogliano i sommi Dei.... voglia Ahuramazda, — soggiunse prontamente il garzone, — serbarla lunghi anni all'amore, alla gloria del suo popolo.
— Ti ascolti Bahman, lo spirito protettore della regia autorità; — disse asciuttamente Zerduste; — ma egli è debito tuo di prepararti ai supremi voleri; è colpa grave in te il non far degna stima dei doni celesti. Oh Ninia! — incalzò egli con accento inspirato; — che vuoi nascondermi? Il tuo Ferver, il tuo genio tutelare, ti vede; egli ti accompagna dovunque; egli ti legge nel cuore; egli non m'ha nulla celato.
— Che dici tu mai? — chiese Ninia, con aria da cui trapelava più incredulità che sgomento.
— Che tutto mi è noto; — incalzò Zerduste; — che i tuoi giovani amici ti traggono su d'una via perigliosa e che io non ho abbastanza vegliato su te.
— Ma, infine.... — balbettò l'adolescente; — di che mi riprendi? Io non so di avere in cosa alcuna fallito. Se ignoti nemici ti hanno dato a credere....
— Non ischermirti così! — interruppe quell'altro. — Zerduste non ha bisogno di gente che venga spiando i tuoi passi; egli tutto sa, tutto vede, e perfino i più riposti pensamenti dell'animo. Ne dubiti? Orbene, alla prova, ed ascoltami; narrerò a Ninia il segreto di Ninia. —
Il giovinetto, tremante, confuso, si lasciò cadere sopre un sedile, di contro al parapetto del terrazzo. Zerduste, in piedi davanti a lui, tranquillo e severo a guisa di un giudice, così prese a parlargli:
— Era il mattino del terzo giorno di Bagayadisc, che è detto a Babilonia il mese di Sivan; giorno sacro, pei seguaci della vera luce, al divino Ardibehest, pei vostri sacerdoti al sanguigno Nergal. Non sono adunque trascorsi da quel giorno molti altri, — notò Zerduste, — poichè Bagayadisc non è giunto ancora a mezzo il suo corso. Un regio adolescente, diletto ad Ahuramazda, sebbene e' non sia nato sotto la sua legge, nè ancora egli creda alla sua onnipotenza, galoppava, seguito da uno stuolo di cavalieri, tutti coetanei suoi, scelti tra i primi di Babilonia, fuori di Imgur Bel, sulla via che risale lunghesso l'Eufrate, fino al villaggio di Lahiru. Colà giunti, fecero sosta nella macchia di tamarischi che scende con dolce pendìo fino alla riva del fiume. Il sole, alto nel firmamento, dardeggiava sulla pianura gli ardenti suoi raggi, consigliando i baldi garzoncelli a chiedere un'ora di riposo al meriggio degli alberi. Uno di essi, tratto da giovanile vaghezza, era andato più oltre a ristorar le membra nelle acque scorrenti. E là, mentr'egli, già tornato alla riva, stavasi contemplando quell'ampia striscia di liquido argento che volgeva con poderoso corso agli amplessi della sua città prediletta, gli venne veduta, nuotante a fior d'acqua, una leggiadra figura di donna...
— Padre mio! — esclamò Ninia, turbato.
— Sì, — proseguì Zerduste, senza por mente alla interruzione, — era una vezzosa fanciulla, che venia nuotando verso di lui, là dai palmeti di Gomer, di cui si vedeano sorgere i tronchi sottili e incurvarsi i lunghi rami verdeggianti dalla riva sinistra dell'Eufrate. Un candido lino le custodiva il capo e gli òmeri dalla vampa del sole; una ciotola di terra le posava sulla manca, alzata fuor d'acqua, mentre con la destra ella venia fendendo il flutto, per avvicinarsi alla sponda, dov'era il garzone, immobile, estatico, a contemplarla.
«Vieni a me, vezzosa fanciulla! le gridò egli, come fu certo che ella potesse udirlo. E la fanciulla poggiando a destra sul braccio disteso, si fece più presso alla riva. Certo ella conosceva per lungo uso quel tratto dell'Eufrate; imperocchè, come fu giunta a forse cinquanta passi distante da lui, si lasciò cader ritta, per toccare il fondo col sommo dei piedi, e leggiera, saltellante, a guisa di danzatrice, si affrettò al lido, con la sua ciotola eretta sulla palma all'altezza del viso. Così man mano egli vide sorger dall'acque il suo corpo snello e flessuoso come un tronco di salice, coperto di una bianca tunica che le si aggiustava, così molle com'era, alla persona, seguendone fedelmente i graziosi contorni.
«Neri, lucenti i capegli, vivide le pupille per profondi riflessi di zaffiro, ma velate a mezzo da lunghe e morbide ciglia, colorate le guancie come il frutto del melagrano, parea la voluttà discesa sulla terra in forma di donna, per volere di Mazda, innanzi che lo spirito tentatore la volgesse a danno degli uomini. Il collo nitido a guisa di avorio, svelto ed agile come quello del cigno, sorgeva con soavissima curva dai mal celati tesori del seno palpitante. Sorrideano timidamente le labbra di corallo, lasciando scorgere due file di perle, che non han le più candide i meravigliosi recessi del mare.
«Timido, palpitante del pari, il giovinetto si accostò a lei, che balzava sul lido, profferendogli la sua ciotola ricolma di latte. E bevve a lenti sorsi, più lenti che gli venisse fatto, il fresco umore che gli era ministrato da quelle mani leggiadre, mentre i suoi occhi, più sitibondi a gran pezza, beveano da tutta la persona di lei i primi effluvi d'un'arcana dolcezza.
«— Come ti chiami? — le disse egli amorevole.