.
— Che cosa? — dimandò ella, arrestandosi.
Il principe non rispose parola, tanto era turbato. Nè forse ella pose mente a cotesto, o se vi pose mente, non le parve irriverenza. Il rossore del giovine non era egli la più eloquente risposta e la più schietta confessione dell'animo suo?
Ella stessa, o compassionevole, o grata, ruppe l'uggioso silenzio.
— Tu se' straniero? — gli chiese.
— Sì, sono, — rispose il giovine, pigliando animo dalle cortesi parole e più ancora del soavissimo accento; — e se non t'incresce.... se nulla ti chiama così presto lontano da me.... amerei dirti, o signora, una preghiera insensata, che io feci poc'anzi alla Dea.
— Ti ascolto; — disse a lui di rimando l'incognita.
— Di vederti, — proseguì Ara sommesso, — di poter dirti che t'amo, di essere amato da te. —
Ella rimase un tratto in silenzio, forse turbata dalle inattese parole. Il giovane, temendo di averle recato offesa, già era per chieder venia del soverchio ardimento, quand'ella si fece, senz'ombra di sdegno, a domandargli:
— Mi conosci tu forse?
— No; e tu ben lo vedi, — rispose Ara, con voce carezzevole, — questa è follia. Ma son io forse più signore di me? La Dea mi ha condotto a forza quassù, perchè io smarrissi la pace dell'anima. E là, presso l'altare, ho detto a me stesso che tu eri la più leggiadra donna di Babilu. Per Militta, che tu invocavi poc'anzi, io ti chiedo in cortesia di sollevare un lembo di quel tuo velo geloso. —
CAPITOLO III. La rosa di Sennaar.
Le dolci parole, e più l'accento d'onesta preghiera, toccarono il cuore della donna velata.
— E se tu ti fossi ingannato? — diss'ella, dopo esser rimasta alcuni istanti raccolta in sè medesima, quasi volesse aspirare gl'incensi di quel lusinghiero discorso. — Se a me non arridessero i pregi che fanno cara la donna al tuo sesso?
— Oh, gli è impossibile! — sclamò il re d'Armenia, stringendosi al suo fianco, mentr'ella lentamente, ma senz'aria di voler dargli commiato, volgeva il passo al limitare del tempio. — Me lo ha detto il cuore, che non inganna mai. Nè basta; la tua presenza, ciò ch'io vedo e sento di te, non ti palesano forse? Tu ben lo sai, mia dolce signora; leggiadri son sempre i fiori odorosi, e il gelsomino, celato nel verde cupo del bosco, non tramanda più soavi fragranze di quelle che spirano dal tuo velo, o bellissimo tra i fiori di Babilu.
— Nebo t'ha ornata la mente di grate fantasie, — soggiunse l'incognita, — e il miele della poesia scorre dalle tue labbra. Così tu dicessi il vero, come parli cortese!
— Or dunque, — ripigliò Ara umilmente; — non darai tu l'aspettato guiderdone al poeta?
— Non qui; la luce del tempio non dee rischiararmi la tua confusione. Son donna, — aggiunse ella con un fil d'ironia, — e il vero mi potrebbe apparir troppo grave dal tuo aspetto mutato. Non dirmi nulla; so già la risposta. —
Così la sconosciuta, per troncar le parole al giovine, che già stava per richiamarsi a lei dell'ingiusto sospetto. Indi, come parlando a sè stessa, mormorò, per modo che egli potesse udirla:
— Infine, mi veda egli; è la Dea che lo vuole. —
E dato un cenno alle ancelle, che tosto riverenti si allontanarono, uscì con passo rapido e lieve sulla gradinata, quasi sfiorando il suolo, mentre Ara le venìa tutto sollecito al fianco.
Discesi sulla spianata, e usciti fuor della calca, ma non così prontamente come il re d'Armenia avrebbe voluto, piegarono a destra, dove per tortuosi sentieri si scendeva all'Eufrate. Egli ebbro di gioia; ella taciturna, lievemente reggendosi sul braccio che il principe le aveva profferto, e tratto tratto volgendosi a guardarlo in viso, per mezzo alla trama sottile del velo che ancora la diniegava agli occhi innamorati del giovine.
— Ah! — sclamò ella, premendogli il braccio, al primo svoltar della strada, che le consentiva di dare una fuggevole occhiata dietro di sè.
— Che è ciò, mia divina? — le chiese Ara turbato.
— Alcuno ci segue.
— Chi lo ardirebbe, dov'io sono? —
E così dicendo, il re d'Armenia si volse e si piantò fieramente in mezzo al sentiero.
Un uomo, ravvolto nel suo mantello, scendeva per quella medesima via. Ma egli non parve darsi pensiero dell'atto, e, giunto all'incontro d'una viottola poco lunge da essi, vi s'inoltrò con passo sicuro, come chi non avesse a fare altro cammino fuor quello.
— Tu lo vedi; egli non teneva dietro a noi; — disse il principe alla sua compagna, ripigliando la via verso il fiume.
Indi a poco, giungevano in vista dell'Eufrate, ampia zona d'argento, scintillante sotto i loro occhi, ai raggi del grand'astro notturno. Una barca era legata alla riva e due donne, in cui Ara fu pronto a raffigurare le ancelle della sua sconosciuta, andavano a quella volta.
— Tu dunque mi lasci? — gridò egli sgomentito; — ed io non avrò ottenuta la grazia tua!
— Perchè dubiti? — chiese ella, arrestandosi.
E mandando gli atti compagni alle parole, sollevò il velo importuno, lo arrovesciò sulla testa, lasciando così il viso scoperto al chiaror della luna.
Il re d'Armenia mise un grido d'ammirazione. Giammai egli aveva veduto cosa più bella.
Aperto e sereno il volto, delicatissimi e in un severi apparivano i lineamenti, a cui cresceva incantesimo il morbido tondeggiar delle carni, splendenti dell'aureo colore di frutto maturo. Ampia la fronte e nitida come l'avorio, incoronata di chiome nere, ondate e lucenti, tra le cui copiose anella si nascondevano i capi d'una trecciera di perle, che ne faceano vieppiù risaltare la lucentezza corvina. Neri gli occhi del pari, sfavillanti a guisa di granati siriani, profondi come il mare, e com'esso trasparenti, facili ad esprimere le interne commozioni, o languidamente si celassero a mezzo, sotto il velo delle lunghe ciglia, o aperti scintillassero d'amore, o raccolti lampeggiassero di corruccio. Tra due grandi e sottili archi d'ebano si veniva leggiadramente incurvando la radice del naso, snello e ben profilato infino alle nari, rosee ne' delicati contorni, come il grembo delle conchiglie eritree. Le labbra di corallo acceso, tumidette e madide di voluttà, pareano invitare ai baci, siccome le dischiuse corolle dei fiori, imperlate di notturna rugiada, cercano desiose i primi raggi del sole; ma il taglio austero di quelle labbra dinotava un'alterezza acconcia a temperar gli ardori del sangue, a dissimulare, se non a padroneggiare, la impetuosità degli affetti. Il superiore, un tal po' rilevato, così che breve spazio intercedesse dalla bocca alle nari, giusta il tipo della gente semitica, lasciava scorgere, ad ogni moto di quella vaghissima bocca, due file di candidi denti, che faceano più grato il sorriso; il sorriso, che è il suggello della bellezza, come lo sguardo è il raggio dell'anima. Tre cose belle al mondo: il sorriso sul volto d'una donna; il sole nel cielo; l'amor nella vita.
Nè era manco leggiadra la persona, che già di per sè sola avea potuto cotanto sull'animo del re d'Armenia. Invano il candido pallio di bisso le si ravvolgeva dintorno, sopra la lunga stola violacea, frangiata di argento. Da que' veli trasparivano le elette forme d'una Dea, che solo tra' Greci aveva a rinvenire uno scalpello degno d'effigiarla nel marmo; e que' veli, lasciando indovinare i maestosi contorni di quella sfolgorata bellezza, le conferivano quel non so che d'arcano, donde lo spirito nostro attinge le sue voluttà più profonde. Il collo, che si mostrava ignudo, dintornato da una filza d'amuleti, le braccia del pari scoverte, intorno a cui si allacciavano i simbolici serpenti, disviatori dello influsso maligno, erano miracoli di grazia, che avrebbero ingelosito Militta ne' cieli, e trattenuto sulla terra, immemore dei gaudii superni, uno spirito immortale.
Così splendida di vezzi, cinta del suo candido pallio, di cui la lieve brezza notturna agitava mollemente le pieghe e i lembi