Semiramide: Racconto babilonese. Anton Giulio Barrili

Semiramide: Racconto babilonese - Anton Giulio Barrili


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le liberali offerte dei più ricchi adoratori. Capaci coppe di bronzo si scorgeano dai lati, nelle quali ogni donna che uscisse dal tempio gittava la sua moneta, d'argento, o di rame. E tratto tratto si vedeva alcuna di esse, muoversi dal fondo, inoltrarsi fino all'altare, e deporre il suo tributo, levar le mani in atto di adorazione ed uscire.

      Ciò ricondusse più indietro gli sguardi del giovine. Il sacro recinto non era anche spopolato del tutto; imperocchè, sedute in lungo ordine su panche di legno, attorniate da curiosi che le veniano squadrando degli occhi, stavano molte donne in attesa, con funicelle ravvolte intorno al capo, e, ognuna di esse giusta la sua condizione, nobilmente vestite ed adorne. Quella era per fermo la celebrazione d'un rito; nè il re d'Armenia lo ignorava, essendo allora i misteri di Militta Zarpanit famosi per tutte le circonvicine regioni.

      Così voleva il costume, che ogni donna babilonese dovesse, una volta in sua vita, rimanersi nel tempio aspettando, fino a tanto non avesse pagato il suo tributo alla Dea. Ciò ch'ella riceveva dall'ignoto, il quale accostavasi a lei, rivolgendole la frase «invoco per te la dea Militta,» dovevasi gittare in offerta nella coppa di bronzo. Nè ella, poichè s'era così seduta in attesa, con la funicella intorno alle tempie, potea più respinger l'omaggio dello straniero, chiunque egli fosse. Mostruoso rito; ma non è in balìa del narratore il mutarlo. Forse era naturale corrompimento d'un alto concetto; forse reliquia di più rozzi costumi, non potuta cancellare del tutto, epperò saviamente dissimulata dalla santità della cerimonia; fors'anco, nell'uso, era temperato da acconci convegni, da gentili artifizi, che la storia non ha tramandati alle tarde generazioni, e che il senno di questo può argomentar verosimili. Ma di ciò pensi ognuno a sua posta.

      Ben ci raccontano gli antichi, ed è anche agevole il credere, che le più nobili e ricche sdegnassero di mescolarsi cosiffattamente alla comune delle donne babilonesi, nella celebrazione dei sacri misteri. Elleno per fermo non si ristavano dallo accorrere al tempio; ma in lettighe coperte e accompagnate da uno stuolo di servi, che recavano i loro donativi e le debite offerte all'altare.

      Una di queste felici era appunto allora nel tempio, prostrata dinanzi ai gradini dell'abside, su d'un morbido cuscino che sotto i ginocchi le avea posto un'ancella, mentre un'altra deponeva sulla mensa il presente della signora, aromi e polvere d'oro in vasi d'alabastro.

      Quella donna, veduta appena, trattenne lo sguardo del giovine. O fosse la singolar leggiadria delle forme, non potuta nascondere dalle pieghe del velo che tutta le involgea la persona, o il suo rimanersi in disparte e la compagnia delle ancelle, che la dicevano donna di ragguardevole stato, od altra più riposta cagione (che molte ve n'ha, sottili, inavvertite ed arcane, per disporre in varie guise la trama degli eventi), fatto sta che quella donna velata, lontana, ignara di lui, gli occupò la mente, lo disviò da tutta quella moltitudine di aperte e sorridenti bellezze, che in lui figgevano i grandi occhi neri, pieni di schietta ammirazione a di dolci lusinghe.

      Tanto può l'ignoto sull'animo nostro! Così tenui sono le fila in cui ci avvolge il destino!

      Ella era inginocchiata dinanzi all'altare, in atto di preghiera, mentre alcuni adolescenti ministri del tempio venìan raccogliendo di mano alle ancelle i preziosi donativi della sconosciuta supplichevole.

      — Militta ti vede e ti ascolta! — le avea detto il gran sacerdote; — ti conceda ella ciò che le tue preghiere dimandano. —

      Ara non poteva distogliere lo sguardo da lei. E più la rimirava, e più si riempiva il suo cuore di dolcezza ineffabile; come se da quelle forme mal note emanasse un tiepido effluvio che, tutto investendolo, gli s'infiltrasse per ogni meato nel sangue. E una speranza, un desiderio, uno struggimento gli cresceva grado grado nell'anima, di vederla in volto, d'essere veduto, di non essere un ignoto per lei.

      Donde nascono essi, questi moti repentini del cuore, soventi volte datori d'un nuovo indirizzo alla nostra esistenza, che ci fanno di punto in bianco, quasi per virtù d'incantesimo, consapevoli di noi, cosicchè ci sembri, o di vivere per la prima volta, o di non aver vissuto mai di vera vita da prima? Bagliori improvvisi nelle tenebre dell'intelletto, voci arcane all'orecchio, tumulti nel cuore, inni prorompenti dai penetrali dell'anima, donde traggono essi l'origine? Dal nulla, chi guardi all'apparenza, come dal nulla hanno vita i fantasmi dei sogno; ma il savio, che scruta i segreti della natura e argomenta le cause non viste, si raccoglie umilmente nella sua pochezza, e ciò che ancora è sfuggito al suo spirito indagatore, non deride egli, per fermo, e non nega.

      Così ammaliato, ignaro di sè, il giovane s'era fatto più innanzi e più presso alla sconosciuta, quasi volesse inebbriarsi dell'arcano effluvio ond'era soggiogato, o raffigurarsi, comechè imperfettamente, il profilo di quella testa, sotto le pieghe del velo che l'ascondeva, o cogliere a volo, respirare un alito di quelle preghiere che ella rivolgeva all'altare.

      — Che chiede ella a Militta? Forse il suo cuore arde, si strugge d'un amore disperato, e prega la Dea che versi sovr'esso i balsami dell'oblio? O le voci dell'affetto non hanno ancora parlato all'animo suo, e implora il conforto, fors'anche lo strazio, d'un amor vero e profondo? Ed io ti chiedo, o Militta, che quella donna mi ami. —

      Fu un impeto subitaneo, irresistibile, e decisivo del pari. Ascese incontanente il primo gradino del santuario e recò la mano alla sua cintura tutta adorna di gemme. L'aveva egli portata seco d'Armenia, e per vezzo giovanile, rigirata al fianco, sulla tunica babilonese pur dianzi indossata. Un grosso e trasparente smeraldo ne fregiava il nodo, ed egli fu pronto a strapparnelo.

      — È questa la mia offerta, — diss'egli avvicinandosi alla mensa, per deporvi la gemma, — se Militta non isdegna il presente d'uno straniero.

      — Bellezza e gioventù spirano dal tuo volto, come una dolce fragranza, — gli rispose il gran sacerdote, accompagnando le parole con un paterno sorriso. — Il tuo aspetto è d'uom caro a Nebo, ai veggente Iddio, che dà lo scettro ai reggitori di popoli. Qual cosa dimandi tu, che Nisroc, il signor delle sorti, non t'abbia concesso il dì che nascevi? Pure, è bello il non fidarsi nei doni della natura, e tutto in quella vece aspettar dagli Dei. Essi non deludono la speranza di chi li invoca con animo riverente. E Militta, invocata, conceda a te, o giovine straniero, il compimento de' tuoi voti, conservi a te il regno de' cuori.

      — D'un solo, e sarò il più avventuroso tra gli uomini! — esclamò il re d'Armenia nel ritirarsi dal santuario.

      Agli atti improvvisi, alle parole del giovine, la donna velata avea rivolto il capo da quella banda; di certo essa lo aveva veduto per mezzo alla trama sottile del bisso che le copriva il sembiante. A lui parve che più d'una volta, e lungamente, gli occhi della sconosciuta si fossero soffermati a guardarlo; invero, ei non li aveva veduti, ma sentiti, e il benefico raggio gli era penetrato al cuore, che aveva dato un sobbalzo.

      Bared, in quel mentre, gli si era accostato da tergo.

      — Va; — disse egli concitato al suo fedele servitore; — va a riposarti, mio povero Bared!

      — E tu, mio signore?

      — Io? Non dormirò più questa notte.... nè poi; la mia pace è perduta. —

      Bared, senz'altro aggiungere, si allontanò. E il re d'Armenia, tiratosi alquanto in disparte, per non dar più oltre nell'occhio ai curiosi, stette immobile, estatico, a contemplare la donna velata.

      Poco stante, ella si alzò, e, seguita dalle ancelle, si mosse per uscire dai tempio.

      Al giovine parve allora di veder cosa non mortale, una dea, la stessa Militta Zarpanit, discesa dal suo altare di diaspro, per farglisi incontro; tanta era la maestà del portamento, tanta la leggiadria delle forme. Ed egli credette di non potersi reggere in piedi, e istintivamente si appoggiò ad uno di quei colossali leoni di pietra, che sporgevano dalla parete, allorquando la vide avvicinarsi, e argomentò che gli occhi della nobil donna fossero volti su lui.

      Ma si riebbe ad un tratto, volle esser forte, per cogliere al varco la fuggente occasione. Infine, che dirà ella, se parlo? E che penserà ella, se taccio?

      Commosso, palpitante, combattuto da desiderio e da tema, fu per accostarsi a lei; e fatto il primo passo, si rattenne ancora. Ella si accorse dell'atto, in quella che stava per passargli dinanzi, e balenò irresoluta a sua volta.

      Non


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