Il roccolo di Sant'Alipio. Caccianiga Antonio

Il roccolo di Sant'Alipio - Caccianiga Antonio


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di compiacenza, ma che malgrado lo sforzo non riusciva all'intento. Fra le visite più gradite Tiziano potè abbracciare strettamente il suo caro Isidoro Lorenzi che gli portava i saluti di Maria, e veniva ad invitarlo a passare tutto l'indomani al roccolo di Sant'Alipio.

      Tiziano non si fece pregare, e di buon mattino attraversò il bosco dei larici, ed entrò in quel delizioso romitaggio la cui lontananza lo aveva fatto soffrire più di tutto nei carcere di Venezia.

      Isidoro era uscito per tempo per predisporre coi suoi amici la convocazione della Comunità Cadorina, e Maria aspettava Tiziano alla finestra. Quando lo vide entrare diede un guizzo, scese precipitosamente la scala, e corse ad incontrarlo. Tiziano la prese per le mani e le depose un bacio sulla fronte; si dissero delle parole confuse dalla commozione pronunciate colle labbra tremanti, e s'avviarono a quel padiglione di verdura che il giovane aveva denominato il nido di Montericco. Il sole brillava nel cielo sereno, l'aria leggiera era pregna d'esalazioni resinose, la Piave sussurrava fra i sassi del suo letto, e si udiva il muggito delle mandre che uscivano dalle cascine per abbeverarsi nel torrente, e un lieve stormire di fronde confondeva tutti quei suoni lontani col canto degli uccelli, col ronzio degl'insetti, e col soave mormorìo delle loro confidenze. Tutte le angoscie passate apparvero a Tiziano come le dolorose impressioni d'un sogno svanito. Quale cambiamento di scena! dalle tetre mura, dalle doppie inferriate, dalla triste solitudine e dall'afa nauseante della prigione, egli era passato rapidamente all'entusiasmo turbinoso d'una rivoluzione popolare, e da quei fragori assordanti, si trovava trasportato come per incanto fra le armonie soavi della natura, davanti l'aspetto ridente delle montagne, delle colline boscose, della vallata pittoresca, nel nido di Montericco accanto a quella bella fanciulla, fra i profumi della terra e delle piante.

      L'ebbrezza della libertà, della gioventù, della vita lo tenevano sollevato dalle cose terrene, in un etere splendido, sottile, in un'estasi di delizie sovrumane; e così assorti entrambi in un magico prestigio, rimasero lungamente in silenzio a sentirsi vivere in quella strana esistenza.

      Finalmente ruppero il silenzio per raccontarsi le reciproche impressioni dei giorni dolorosi. Essa gli narrò il raccapriccio provato alla notizia dell'arresto, le ansietà di quei giorni pieni di amarezza, le preghiere che aveva fatte al cielo per la sua liberazione, la felicità nell'udire l'annunzio del vicino ritorno. Egli le raccontò i dolorosi pensieri del carcere, le soavi rimembranze del passato che venivano a rendere più desolante la sua prigionia, e a fargli doppiamente sentire la privazione della libertà, la mancanza d'aria e di luce, le ore solitarie passate sul pagliericcio della prigione coi pensiero intento al roccolo di Sant'Alipio, a quel nido di Montericco, veduti da lontano fra le nuvole, come un paradiso antecipato sulla terra, che forse non lo avrebbe mai più consolato nella vita.

      E ai lunghi discorsi affettuosi, succedevano nuovi silenzi ancora più eloquenti, e quando la bocca taceva parlavano gli occhi, quell'arcano linguaggio che senza alfabeto scritto, nè segni convenzionali, imprime e scolpisce con indelebili impronte. Così si amavano profondamente, senza aver mai pronunciata una parola d'amore.

      Nella prima infanzia crebbero insieme come fratelli, poi divennero colleghi nella scuola della maestra; e nei giuochi giovanili Tiziano prediligeva Maria, era sempre il suo confidente, il protettore, l'amico inseparabile, che essa chiamava in soccorso in ogni pericolo. Quella grazia e quella forza si erano legate insieme fino dai primi anni della vita come l'edera e la quercia che nascono da vicino, la pianticella rampicante si attacca al tenero arboscello e crescono insieme congiunti, e l'albero diventa il gigante della foresta, senza essersi mai diviso dalla sua fedele compagna, che gli si è radicata intorno, e vive della vita di lui. Una tale affezione, subì naturalmente tutto il successivo sviluppo della loro esistenza. L'inclinazione naturale fra i bimbi divenne predilezione, simpatia, amicizia cordiale, e tenerissimo amore, passando lentamente, gradatamente, insensibilmente, alle successive trasformazioni, come l'infanzia passa alla gioventù, alla pubertà, ed alla età virile. Le separazioni subite a vari intervalli spingevano a queste modificazioni, che ad ogni ritorno crescevano d'un grado. La predilezione si trasformò in amicizia dopo la separazione del seminario; l'amicizia divenne amore dopo l'assenza degli studi universitari, ma l'intervallo del carcere fece crescere grandemente questa passione che s'era accesa nella solitudine, e nella sventura. E nelle successive trasformazioni di questo affetto non c'era mai stato un momento nel quale la parola — ti amo — avesse potuto uscire opportunamente dalle loro labbra; e come essi ignoravano l'origine del loro amore così non potevano ammetterne il fine, pareva che le loro anime si fossero amate in una vita antecedente all'umana esistenza, e certo quell'amore avrebbe sopravissuto alla tomba, «Ti amo» non è che un presente che può stare anche senza passato e senza futuro. Tutti gli amanti si promettono un'amore immortale, essi sentivano un amore eterno, infinito. L'amore era per essi come Dio, superiore ad ogni volgare dimostrazione lo sentivano dentro nell'anima, ma non avrebbero potuto esprimerlo con umane parole. Ecco perchè non s'erano mai detto — ti amo — parola che avrebbero trovata fredda, insignificante, ed inutile. Tale era il loro amore, tale lo sentivano espandersi d'intorno negli aliti della natura, nelle oscillazioni, dell'aria, nell'azzurro del cielo, nell'infinito universo; era una fiamma che ardeva perenne, e mandava scintille, un olezzo di fiore che imbalsama l'aria. Nei loro silenzi le anime rapite in un estasi soave volavano in un'etere celeste, come due angeli insieme congiunti nell'adorazione dell'ente supremo raffigurati da fra Angelico in mezzo alle nuvole illuminate da raggi divini. E dopo quei voli vorticosi scendevano a riposarsi sulla terra, e trovandosi seduti vicini nel nido di Montericco, riprendevano tranquillamente a parlare delle cose mortali.

      Michele, il loro amico d'infanzia, tornava in campo sovente nei loro dialoghi. Rammentavano la sua vivacità, i suoi motti, la sua fortuna d'essere sfuggito agli artigli dell'aquilotto bicipide, e in pari tempo al grugno dell'Orso, e lo attendevano di ritorno dall'esiglio.

      S'intrattenevano con tali discorsi quando i latrati di Turco li avvertirono che Isidoro rientrava al roccolo. Tiziano gli corse incontro, si strinsero al seno affettuosamente, e Turco, riconosciuto subito l'amico del padrone, e il compagno di caccia, gli saltò addosso con ripetute dimostrazioni di letizia.

      Maria rientrò in casa per assistere la vecchia serva negli apparecchi del desinare, che un'ora dopo era servito in tavola sulla loggia, ove i tre amici sedettero lietamente davanti il prospetto di quei monti e di quelle valli che formavano per loro le gigantesche pareti della più meravigliosa sala del mondo.

      Dopo il pranzo Isidoro tirò fuori la sua pipa, ma rammentandosi la dimostrazione italiana di astenersi dal tabacco, domandò ridendo a Tiziano:

      — È permesso di fumare?..... il tabacco di contrabbando?...

      — È permesso qualunque tabacco — gridò Tiziano — e viva finalmente la libertà!...

      Passarono un bel giorno, e separandosi a notte avanzata, Tiziano ed Isidoro si diedero appuntamento per l'indomani nella sala della Comunità ove erano convocati i rappresentanti di tutto il Cadore.

      Quando Tiziano fu solo nella sua camera aperse le finestre. La luna spandeva sui monti la sua candida luce, tutto era pace e silenzio. Pensò a Maria, al dolore che provava ogni qual volta doveva lasciarla, anche per poche ore, sentì come senza di lei fosse un vuoto insopportabile nella vita, e il mondo apparisse una triste solitudine, gli parve dunque necessario di trovare il modo di averla sempre vicina, e non ce n'era che uno solo, quello di farla sua moglie. Di ciò non le aveva mai parlato, ma sentiva benissimo che non ce n'era bisogno, e che fra loro il matrimonio doveva essere sottointeso. E questo desiderio ardente del suo cuore diventava anche un obbligo di galantuomo, perchè vicino a lei si sentiva rapito da tali ebbrezze, da diventar cieco, con grave pericolo di entrambi.

      In un trasporto d'amore, egli avrebbe potuto dimenticare tutti i doveri della vita, e trascinare colei che adorava fino all'orlo della colpa.

      Maria rimasta orfana della madre essendo ancora bambina, era cresciuta nella libertà della natura fino al tempo che venne istruita da una brava e saggia maestra, che seppe non guastare la semplicità della sua vita innocente, secondata dall'affetto d'un padre affettuoso probo ed onesto, il quale era così alieno dal male che non poteva sospettarlo negli amici, e lasciava la figlia insieme a tutti i suoi colleghi dei primi anni, con la buona fede dell'uomo intemerato. Offendere quella fiducia, tradire quell'uomo, non era possibile coi costumi semplici


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