Il roccolo di Sant'Alipio. Caccianiga Antonio

Il roccolo di Sant'Alipio - Caccianiga Antonio


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a sperare nell'esito d'un processo, che non poteva rinnovare le passate condanne, in un epoca nella quale il capo supremo della chiesa aveva dato un magnanimo esempio di clemenza coll'amnistia, insegnando ai regnanti a secondare la voce del popolo, che è voce di Dio, facendo sperare all'Italia dei giorni migliori.

      Sior Antonio apriva l'animo a tali speranze, si sentiva più tranquillo, alzava gli occhi al cielo, e il bicchiere verso l'Arcidiacono, per indicargli che beveva alla sua salute, e incoraggiato dalla benevola accoglienza, si fece coraggio di chiedere anche a lui una qualche raccomandazione per Venezia.

      — Anzi, ben volentieri, caro sior Antonio, ben volentieri, ripeteva l'Arcidiacono, fregandosi le mani per riscaldarle, e accompagnando le sue parole con un propizio sorriso. E presa la penna si mise a scrivere una lettera, mentre l'altro guardava i santi in litografia che ornavano le pareti della camera, in compagnia di Pio IX e del Vescovo di Belluno e Feltre, poi gettava un'occhiata sui libri ben legati e messi in fila sulle scansie della libreria di noce a lustrofino, e in quelle osservazioni dei quadri e dei libri il buon cadorino pareva compendiare i pregi dell'Arcidiacono, santità ed eloquenza, e infatti era un buon uomo, buon patriota, che faceva del bene ai poveri ed agli infelici, predicava con ardore contro tutti i peccati, descriveva a meraviglia il paradiso e l'inferno, e avrebbe mandato al diavolo i tedeschi, se lo avesse potuto.

      Il buon prete scriveva in silenzio, e si udiva la penna che scricchiolava sulla carta, senza sosta, e con movimento accelerato.

      Quando ebbe finito piegò la lettera, gli fece la soprascritta, e gliela porse dicendo:

      — Eccovi servito. — All'illustre signor Nicolò Tommaseo — Venezia, — e non occorre altro indirizzo, perchè tutti lo conoscono. Ne avrete già udito a parlare?

      — Veramente no!... fuori del Cadore non conosco anima viva, ma è probabile che lo conoscano i padroni....

      — Senza alcun dubbio.... è uno dei più insigni letterati d'Italia, uno scrittore purista, ed erudito, un uomo pio, amico del popolo, e dei sacerdoti, giusto come l'oro, vi riceverà con carità cristiana, e potrà giovarvi moltissimo colle raccomandazioni e coi consigli...

      — Non ho parole per ringraziarla...

      — Vi desidero buona fortuna, e vi sarò gratissimo se mi farete conoscere l'esito delle vostre sollecitudini per il figlio...

      — Anzi a questo proposito devo pregarla d'un altro favore. Io non posso scrivere a mia moglie, la quale non sa leggere che lo stampato. Io scriverò a lei, e favorirà di far avere le mie notizie a Maddalena, e se avrà bisogno di consolazioni la raccomando alla sua bontà.

      — Benissimo, caro sior Antonio, potete essere sicuro di tutta la mia premura... ma vi raccomando siate prudente.... nell'interesse comune.... non bisogna fidarsi della posta.... non dimenticatevi mai questo consiglio.... però con quel buon senso che non vi manca, saprete trovare il modo di farmi indovinare le cose che non potete scrivere. Non mostrandovi mai avverso al governo, non vi riuscirà difficile di farmi intendere come stanno le cose.

      — Ho capito tutto.... non stia a dubitare che da parte mia non ci saranno pericoli.... e saprò trattare le cose da uomo prudente.

      Volle baciare la mano all'Arcidiacono, lo pregò di ricordarsi di lui nelle sue preghiere, e non rifiniva di ringraziarlo di tanti favori. L'Arcidiacono lo accompagnò fino alle scale, e incaricandolo di tanti saluti per sua moglie, lo congedò cortesemente, gridandogli dietro, mentre scendeva le scale:

      — Buon viaggio.... buon viaggio.... che il Signore vi benedica!....

      Il giorno seguente sior Antonio partiva di buon mattino da Pieve di Cadore, nella sua timonella, tirato dalla Nina, che Bortolo aveva messa in gambe con una buona profenda di biada, e dopo due giorni di viaggio arrivava a Mestre, ove consegnato allo stallo della campana, la bestia ed il veicolo, prendeva una gondola e partiva per Venezia.

       Indice

      Una bella mattina i padroni di sior Antonio se lo videro capitare in casa tutto fidente nelle lettere commendatizie del Consigliere imperiale, d'Isidoro, e dell'Arcidiacono, e non poterono ritenere una solenne risata nel dargli l'annunzio che mentre egli faceva il viaggio la polizia metteva in prigione l'avvocato Manin, e il letterato Tommaseo....

      È più facile immaginare che descrivere l'espressione del viso di sior Antonio a tale dolorosa sorpresa. Sbalordito, mutolo e quasi scemo, non sapeva più che pensare, gli pareva che le cose di questo mondo si fossero capovolte, tutti i galantuomini andavano in prigione ed erano obbligati di fuggire, e gli usurpatori, ossia i ladri, facevano da giudici, perchè gli stranieri gli parevano ladri in scala grande, introdotti con violenza in casa altrui.

      Gli restava la lettera pel segretario, la quale gli servì ad ottenere il permesso di entrare in prigione per vedere suo figlio. Favore che lo umiliava, perchè gli veniva concesso da coloro che egli giudicava come i veri colpevoli, persecutori degli innocenti; come i veri turbatori dell'ordine sociale, che non avevano altro diritto di comandare che quello ottenuto dalla forza brutale; che li rendeva gli oppressori d'un paese che era stato il loro maestro di civiltà!.... La sua coscienza era la sola norma della sua ingenua politica, e gli pareva che il semplice buon senso dovesse essere la sola base del diritto, e andare al di sopra della ragione di Stato.

      Quante lezioni di scaltra diplomazia gli dovettero inculcare i padroni per salvarlo dal pericolo d'essere arrestato anche lui, e messo in prigione insieme col figlio, perchè si ostinava a voler dire ai giudici apertamente e schiettamente quanto egli credeva fosse davvero giusto ed onesto; quando invece era tutto il contrario, perchè l'usurpazione era un diritto, la forza un'autorità, l'amore di patria una colpa, il desiderio di liberarla dall'oppressione un grave delitto di Stato! L'ipocrisia diventava una necessità, l'umiliazione davanti la potenza dei nemici una assoluta necessità, per salvare le vittime cadute nelle loro mani. Sior Antonio sbuffava, incrociava le sopracciglia, batteva i piedi, ma doveva piegarsi, se voleva vedere suo figlio, e non nuocergli.

      Finalmente potè essere condotto alle carceri criminali, accompagnato da un impiegato che assistette all'intervista del detenuto con suo padre.

      Ma quelle porte chiuse, quei catenacci, quelle chiavi, quell'aria uggiosa e ammuffita del carcere gli misero nelle ossa un ribrezzo che gli faceva tremare i ginocchi. Quale triste domicilio per un giovane avvezzo all'aria aperta e profumata delle montagne!

      Il povero Tiziano era pallido, smunto, cogli occhi pesti, come un uomo sepolto vivo. Il padre ne fu desolato, lo abbracciò teneramente, gli teneva serrate le mani, aveva gli occhi gonfi di lagrime, e gli mancavano le parole.

      Tiziano gli fece animo, gli chiese notizie di sua madre, di Maria, degli amici, del paese, di tutti di casa, compreso Fido, e con dei giri di parole procurò di sapere se Michele fosse salvo. Sior Antonio dapprima non capiva niente, ma poco a poco incominciò a famigliarizzarsi col linguaggio arcano degli schiavi, vide come si doveva esprimere il pensiero velato, mascherato, allusivo, senza compromettere nessuno; e strizzando l'occhio a Tiziano gli disse:

      — A proposito devo dirti che l'uccellino che cantava così bene nell'orto di sior Iseppo, e che volevano accalappiare per metterlo in gabbia, non si è lasciato prendere ed ha spiccato il volo sulle montagne....

      L'allusione era troppo poco velata perchè l'impiegato che assisteva al dialogo non dovesse comprenderla, ma finse di non aver inteso e lasciò andare la cosa senza osservazioni.

      Tiziano avendo capito che l'amico era in salvo si rasserenò alquanto, e procurò d'infondere coraggio a suo padre, si mostrò sempre dignitoso, e ritornò alla sua prigione rasserenato ad aspettare il processo che gli facevano i tedeschi, perchè egli italiano, amava l'Italia.

      Sior Antonio aveva saputo che i personaggi più cospicui, e le famiglie più stimabili di Venezia si erano rese invano garanti perchè l'avvocato Manin venisse processato a piede libero, e vedendo che non c'era nulla a sperare da un governo spietato e sospettoso, e convinto che bisognava forse aspettare lungamente l'esito del processo, voleva ritornarsene in


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