Fausto Bragia, e altre novelle. Luigi Capuana

Fausto Bragia, e altre novelle - Luigi Capuana


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amarezza che la gratitudine gl'imponeva d'andare a rappresentarvi la parte infima del buffone che diverte la brigata. L'ingegnere, che gli avea fatto l'elemosina di due camere nel proprio palazzo in via Nazionale, chiudendo l'uscio di comunicazione col resto dell'appartamento perchè il suo ospite fosse libero affatto, gli faceva spessissimo anche l'elemosina del pranzo! Aveva voluto così aiutare il figlio d'un amico e collega carissimo, morto nella miseria dopo varie fallite intraprese ferroviarie che avevano arricchito i suoi socii più scaltri di lui; e non gli era mai balenato alla mente quale atroce tortura quella sua generosità infliggesse a colui che doveva riceverla con la convinzione di non poter mai rimeritarla, e che la chiamava elemosina per rendersi più evidenti la desolazione del presente e l'orrore dell'avvenire.

       Coloro che lo vedevano pallido, scarno, con gli occhi infossati e tanta tristezza nello sguardo e tanta ironia nella parola, pensavano che il fuoco dell'arte lo consumasse; e non badavano al ristretto repertorio delle sue composizioni ripetuto tante volte. Alle domande: — Maestro, che prepara? A quando la sua opera? — egli rispondeva scotendo il capo, sorridendo con quel sorriso stanco ed equivoco che non si capiva bene se fosse d'amor proprio lusingato, o di sconforto, o di disprezzo per chi osava insultarlo con tali importune parole. E allorchè l'ingegnere Ghedini, presentandolo a qualche nuovo arrivato, e levando a cielo l'ingegno musicale del suo amico, figlio d'un amico carissimo — non dimenticava mai di ripeterlo — mostrava immensa ammirazione pel giovane compositore e gli prognosticava splendidi successi, Fausto s'irritava. L'elogio e gli augurii non provenivano forse dalla vanità di far risaltare la propria generosità mostrandola ben adoprata? Per ciò egli si teneva sempre in disparte nel salotto, conversando sotto voce col giovane dottor Anguilleri, un po' orso anche lui; e di rado si mescolava alle animate discussioni d'ogni genere che la politica, l'arte, gli affari e gli avvenimenti mondani vi suscitavano, tutti i lunedì sera, negli affollati ricevimenti. Per ciò egli era grato alla signora Ghedini che pareva non accorgersi del suo ospite più di qualunque invitato, o amico, o frequentatore, quantunque non mancasse di mostrarsi entusiastica ammiratrice quand'egli cantava con voce fioca, ma perfettamente intonata, e con accento efficace, quella romanza che era il suo capolavoro, la Misera sei del Heine, degna di star accanto al Non t'odio, no! dello Schumann, di cui si poteva dire ben riuscita derivazione e compimento.

      Entusiastici scoppiavano sempre gli applausi degli uditori; ma erano effimere soddisfazioni che gli procuravano di rado qualche lezione, che non gli aprivano nessuna strada a un posto qualunque, che non lo tiravano fuori di quel circolo incantato in cui pareva lo tenesse prigioniero una malefica potenza. E Fausto talvolta si compiaceva di sapervisi chiuso per scusare così l'inerzia, e il torpore rimproveratigli spesso dal dottor Anguilleri.

      — Quando, finalmente il mio ingegno sarà morto e sepolto.... allora, forse!.....

      Questo desolato: Allora, forse!.... egli aveva avuto occasione di ridirselo frequentemente negli ultimi mesi; e la sera avanti lo aveva ripetuto, insolito sfogo, a una bella signora recentemente conosciuta e che pareva interessarsi molto di lui, chi sa perchè! Probabilmente — egli pensava col suo eterno sospettare di tutto e di tutti — per farsi credere esperta di cose musicali più delle sue amiche che conversavano con deputati e senatori, che si lasciavano corteggiare da banchieri e da grossi appaltatori, per sordidi intenti — soggiungeva — se a lui, artista e povero, rivolgevano appena la parola.

      Quella volta si era sfogato con tale violenza, gesticolando, alzando la voce, facendo scintillare negli occhi neri e profondi il gran rancore tanto tempo represso, che parecchi, cessando di conversare, si erano voltati verso l'angolo del salotto dove egli e quella signora sedevano in disparte, accanto al pianoforte. Si era voltato, all'improvviso silenzio, anche lui.

      — Quel breve istante ha deciso della mia sorte! — rifletteva.

      E, tornato così al punto di mossa della sua rapida rassegna retrospettiva, riprendeva a osservare con voluttà la scena che gli si ripeteva davanti agli occhi.

      La signora Ghedini lo aveva guardato stupita e imbarazzata di vederlo uscire dall'abituale riserbo; poi, staccatasi dalle persone da cui era circondata, accorreva per fargli intendere — così gli era parso — la sconvenienza di quella tragica sfuriata, indovinata più dai gesti che dalle parole, tra i rumori dell'animatissima conversazione.

      Invece!... Molto strano infatti gli era sembrato il contegno di lei: voce esitante, turbata; sguardi che pareva cercassero di penetrare lui e l'amica; sorriso freddo e doloroso... E le parole: Oh, non credergli! È artista e posa, come tutti gli artisti!

      Stupido! Non che comprendere subito, si era anzi sdegnato, pensando che, con quell'apprezzamento fuori luogo, la signora Ghedini poteva fargli perdere la lezione fattagli sperare da quella signora all'uscita di collegio della sua figliuola. Stupido! E non si era accorto che gesti, voce e parole rivelavano — ella glielo aveva spiegato il giorno appresso — un sentimento di gelosa protezione, di difesa contro le seduzioni della Morlacchi, improvvisa e temuta rivale, persona di pochi scrupoli e avida delle avventure in cui il pretesto dell'irresistibile fascino dell'arte può facilmente velare un volgarissimo e passeggero trasporto di sensi!...

      Che poteva saperne lui? Conosceva appena quella signora. E come mai sospettare che Paolina — già la chiamava così — la cui condotta non avea dato, fino a quel giorno, niente da ridire alla malignità della gente; donna di quarant'anni che, a guardarla, pareva la tranquillità e la saggezza in persona, con quel viso dolce e calmo, con quegli occhi sorridenti più delle stesse labbra quando esse sorridevano, con quella voce flautata che ingentiliva ogni cosa da lei detta, con quell'accento che copriva di benevola indulgenza fin le osservazioni più nude; come mai sospettare che Paolina covasse da lungo tempo un'ardente passione per chi non aveva fatto mai niente per meritarsela, e si era tenuto sempre in distanza da lei? Non aveva egli coinvolto anche lei in quel sordo rancore d'ingratitudine contro la discreta cordialità del marito che, per fargli accettare l'ospitalità, gli aveva fin detto: — Pagherai la pigione, quando potrai? —

      Ed ecco: il maleficio che gli aveva amareggiato infanzia e giovinezza, e che stava per soffocargli nella mente ogni ideale d'arte dopo avergli soffocato ogni buon sentimento e ogni elevata ispirazione nel cuore, ecco, il terribile malefizio era già rotto finalmente!

      Con la miracolosa virtù delle avvampanti parole: — Fausto, Fausto, come t'amo! Amami, Fausto! — gli era scaturita, tutt'a un tratto, nel cuore una limpida polla di affetto! E avrebbe voluto alzarsi da letto e guardarsi nello specchio per osservare il prodigio di ringiovanimento che doveva certamente essere avvenuto anche nella sua persona. Si sentiva rinvigorito, leggero, rifatto dentro e fuori dal tocco di quelle labbra bacianti, dalla stretta di quelle braccia che lo avevano cinto e premuto sul seno per non lasciarselo sfuggire più!

      — Possibile! È dunque vero?

      Non poteva frenarsi di ridomandarselo, supino, immobile con gli occhi serrati, in quella nottata che gli parve di pochi minuti quando la luce dell'alba cominciò a rischiarare la stanza dai vetri della finestra di cui egli avea lasciato aperti gli scuri.

      II.

      Alcune settimane dopo, il dottor Anguilleri che non lo vedeva da un pezzo, incontratolo una mattina al Pincio, avea notato subito qualcosa di nuovo nell'aspetto dell'amico.

      — Ebbene? — gli domandò.

      — Ebbene che cosa? — rispose Fausto accigliandosi.

      Ma il dottore non avea dovuto insistere molto per ricevere la confidenza d'un segreto già divenuto per Fausto insopportabile peso.

      Egli si era recato colà per respirare a pieni polmoni un po' d'aria libera. Soffocava nella sua cameretta, appena l'uscio, cautamente aperto all'entrare, si richiudeva non meno cautamente all'andar via della signora Ghedini, che vi faceva improvvise e fugaci apparizioni durante la giornata, e sempre ansiosa, e sempre atterrita della propria audacia. Stupefatta di quel che era avvenuto e che ella non giungeva a spiegarsi, Paolina scongiurava Fausto di non tradirsi, di non perderla, di non far sparire, con un'imprudenza, quel sogno d'amore che così avrebbe potuto durare eternamente!

       — Questo sogno, — gli aveva ella detto un giorno, — sarebbe principiato un anno addietro, se


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