Fausto Bragia, e altre novelle. Luigi Capuana
seggiola che stava in mezzo alla camera, tra lui e la signora Ghedini. Gli balenava negli occhi il dispetto di sentirsi scoperto in fallo. Abbassò la testa, mordendosi le labbra, e balbettò:
— Debbo pure trovar da vivere!
— Voglio essere io la tua vita, vita dello spirito e del corpo! — esclamò la signora Paolina.
— No. Sarei un vile, se da te accettassi qualcosa oltre il tuo amore; no! no!
— T'amo così, nobile e altiero. Ah, se tu compissi la Venere infernale! — ella soggiunse dopo breve pausa, posandogli una mano su la spalla e accarezzandogli la testa con l'altra. — Io vorrei soltanto anticiparti un sussidio come potrebbe fare un impresario, un editore...
— No.
— Mi restituiresti tutto, dopo; anche con gl'interessi. Speculazione, calcolo; qui l'amore non c'entra...
— No, mai!
— Se tu m'amassi come io t'amo, parleresti altrimenti. Fausto, Fausto!
E vedendolo restar là, duro e immobile, subito si strinse al petto quella cara testa arruffata, e la coprì di baci, chiedendo perdono, quasi la colpevole fosse lei, e fosse lei l'ingrata che disconosceva tanto amore e tanta passione, ingiustamente gelosa.
Così cominciò la serie delle dolorosissime scene che divennero sempre più strazianti per lei e più opprimenti per Fausto. Fausto non sapeva perdonarle in nessun modo l'aver indovinato!
La signora Merlacchi, involontaria origine di quella avventura, un giorno gli era tornata all'improvviso in mente, quantunque l'avesse imbattuta in casa Ghedini due sole volte da quella sera in poi, e non l'avesse più riveduta da un pezzo. Gli era tornata in mente per contrasto; una donna facile, e abituata come lei alla vita di amante, sarebbe stata assai più comoda: gli avrebbe dato la soddisfazione di poterla amare in pubblico, senza paura nè ritegni, e senza l'incubo di vedersela dinanzi tutti i momenti e sentirsi, tutti i momenti, mentitore o vigliacco. E poi non lo avrebbe impacciato troppo il giorno della crisi finale.
Per ciò una mattina s'era presentato in casa Merlacchi con un pretesto, e s'era visto accogliere con cordialità grandissima, quasi con entusiasmo.
— Pensavo appunto a lei, — gli aveva detto la signora, sgranandogli in faccia gli occhi sorridenti. — Cornelia è tornata di collegio e voglio che il suo maestro di pianoforte sia lei.
E lo aveva presentato alla figlia. Non meno cordiale, nè meno entusiasta della mamma, Cornelia lo guardava curiosamente da capo a piedi, mentre diceva:
— La mamma mi ha parlato tanto di lei e delle sue composizioni! Capilavori, dice la mamma, e le credo; mi auguro di poterli ammirare presto anch'io.
Affascinato, Fausto avea smarrito a un tratto il suo orgoglioso riserbo. In quel salottino semplice ma elegante, si era sentito a suo agio, aveva avuto un attimo di scintillìo artistico, inganno che gli fece perdere la testa.
Bella e ardita era la mamma; bella e civettolina la figlia.
Dopo tre settimane, era parso a Fausto che le due donne se lo contendessero. Un giorno la mamma, più esplicita nelle sue dimostrazioni, gli aveva dichiarato:
— Per me, soltanto gli artisti contano al mondo; soltanto essi possono avere un cuore traboccante di affetto. Se mia figlia volesse sposare un artista, io non mi comporterei come tant'altre mamme scioccamente interessate.
Fausto ringraziò mutamente, abbassando il capo.
— C'è però artisti e artisti, — soggiunse la Merlacchi. — Le ragazze spesso non sanno distinguere.
E col languore degli occhi disse il resto.
Imbarazzato, Fausto fece le viste di non aver compreso.
Oh, non si sarebbe mai prestato a mercato simile! Non avrebbe mai ricevuto dalle mani dell'amante colei che poi doveva essere la dolce compagna della sua vita!
Un amaro sorriso gli era spuntato su le labbra a tanta rigidezza di sentimenti.
— Rigidezza superflua! Che? Già commetteva la scempiaggine di lusingarsi? Eppure...! Eppure!
Gli sfoghi gelosi della signora Paolina gli diedero il tracollo; ed egli si convinse, con poco sforzo, che la cosa non era poi tanto difficile.
— Quella mamma è una sventata!... Lusingandola, forse...
Un viluppo di progetti, di disegni, di strattagemmi, gli si agitò giorno e notte nella mente, e servì a rinfocolare la sua stizza, il suo astio, la sua ingratitudine contro di colei che pur gli avea dato, e spontaneamente, l'unica consolazione, l'unica soddisfazione di amor proprio che egli avesse mai avuta; contro di colei che, smaniante, gli ripeteva tutti i giorni:
— Dimmi che cosa vuoi ch'io faccia per te; son pronta a tutto!
E non esagerava.
Fausto invece s'impensieriva di quegli slanci eccessivi. Ora toccava a lui di raccomandarle insistentemente: Prudenza! E per calmarla e per impedirle di compromettersi e di comprometterlo, le diceva spesso:
— Tuo marito non è un imbecille. Bada! Mi scannerebbe.
Le agitava questo spauracchio davanti agli occhi; e diceva soltanto: — Mi scannerebbe — perchè ella gli aveva dichiarato una volta che non le importava niente di morire per lui. Poi, quando la vedeva continuare nelle meticolose cautele che difendevano la loro relazione anche dagli sguardi più indiscreti, all'opposto, egli s'irritava. E una volta, dopo una trista scena in cui era rimasto vinto dalla fina dialettica della donna resa perspicacissima dalla passione, sorpassò ogni limite, la calunniò, pensando:
— Ha scelto me appunto per avere un amante che le permettesse di conservare la ipocrisia delle apparenze in faccia al marito e alla società! Senza queste stanzette, senza l'agevolezza di poter soddisfare i sensi e la pubblica morale assieme, non si sarebbe neppur degnata di gettare uno sguardo su questo meschino maestro di musica! Finge così bene al cospetto degli altri, che niente m'assicura che non finga, per egoismo, anche con me. E ieri esclamava: Credi tu che il fingere non mi pesi? — Chi le diceva il contrario? Scusa non chiesta, accusa manifesta.
E si compiaceva, come di provvido istinto, del non aver mai potuto amarla; e qualificava lucida antiveggenza la propria aridità di cuore. In che gli era giovata colei? A distrarlo, a spossarlo, a immiserirgli anima e corpo, a ridurlo vilissimo schiavo!
Un fiotto di bile gli attossicava la bocca e gli annuvolava la vista.
Rivedeva intanto con l'immaginazione il salottino delle Merlacchi, le smancerie della mamma, le graziose civetterie della figlia, e si sentiva crescere, crescere in cuore la lusinghiera speranza...
— Perchè mai quella speranza non potrebbe un giorno o l'altro divenire dolcissima realtà?
Socchiudeva gli occhi, sorridendo a quei nuovi albori che gli luccicavano in fondo al cuore.
Era andato a trovare il dottor Anguilleri per sfogarsi e dirgli:
— Avevi ragione prognosticandomi la sorte del protagonista della mia Venere infernale!
Lungo i deserti corridoi del laboratorio della Sanità, andando dietro all'usciere che lo guidava, Fausto si era sentito penetrare da un triste senso di quiete, misto con lieve turbamento di paura.
Il dottor Anguilleri, davanti alla finestra, seduto a una lunga tavola ingombra di boccette e di tubi di vetro, guardando attentamente dentro il microscopio, aggiustava con una mano le lastrine di cristallo raccomandate alla molla sul sostegno metallico bucato nel centro, e coll'altra cercava di mettere in foco l'obbiettivo.
— Scusa, — gli disse senza scomporsi: — è affare di un minuto.
Fausto girava sospettosamente lo sguardo attorno. Quegli strani apparecchi gli davano una sensazione di malessere, di ripugnanza; sensazione che si aumentò dopo che l'amico dottore, invitandolo a guardare nel microscopio gli disse:
—