Fausto Bragia, e altre novelle. Luigi Capuana

Fausto Bragia, e altre novelle - Luigi Capuana


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mostrandogli un tubetto di vetro dal fondo arrotondato, chiuso con un tappo involto nella bambagia, e con dentro parecchi sottilissimi fili di seta gialla, soggiunse:

      — E queste sono le spore di codesto bacillo, che possono mantenersi vive molti anni, se tenute in completo essiccamento.

      — Non c'è' pericolo?... — domandò Fausto, allontanando la mano del dottore che gli aveva accostato il tubetto a poca distanza dagli occhi per farglielo osservare alla luce.

      Il dottor Anguilleri sorrise.

      — È imprudente venir qui — esclamò Fausto.

      — Appunto, non mi hai detto qual buon vento ti mena.

      — Passavo... e son salito a salutarti.

      Fausto, pentito d'essere venuto in quel luogo, voleva andarsene subito; ma il dottore lo trattenne per forza:

      — Giacchè sei qui, devi vedere ogni cosa.

      E cominciò a indicargli partitamente ampolle di brodo sterilizzato per la coltura dei baccilli, tubetti con baccilli d'ogni sorta: della tubercolosi, del tetano, del tifo, della difterite, dell'edema maligno; tubetti con lo spirillo del colera, col cocco dell'erisipola; piccolo saggio d'ognuno di essi, perchè la copiosa raccolta era conservata in uno stanzino a parte. E ve lo condusse.

      — Bisogna difendere le coltivazioni dalla luce; perciò lo stanzino ha le pareti tinte in rosso cupo ed è tenuto sempre allo scuro.

      Fausto, affacciata la testa dall'uscio, si ritrasse subito indietro. Tutti quei bicchieri, pieni di tubi e schierati in fila su le scansie lungo il muro, gli facevano correre brividi di freddo per le ossa.

      Intanto il dottore, cedendo al suo entusiasmo di giovane scienziato, dava lunghe spiegazioni. Preso da un bicchiere un altro tubo di spore del carbonchio e osservandolo per conto proprio, lo agitava, lo teneva levato in alto contro luce, quasi facesse in quel punto una lezione intorno all'incredibile resistenza di quelle spore e alla loro terribile potenza:

      — Introdotte col cibo, esse riescono ad oltrepassare lo stomaco dove gli altri batteri vengono uccisi dalla acidità; e sviluppatesi in baccilli, invadono tutto l'organismo. Allora, abbattimento di forze, emorragie, sordi dolori negli organi addominali e, in pochi giorni, la morte, seguita da rapida putrefazione che rende nero il sangue, diffluente, cioè incapace di coagularsi...

       Fausto non lo udiva più.

      Una diabolica idea gli era balenata nella mente, ed egli si spaventava di sè medesimo vedendosi capace di concepire — di concepire soltanto — quella idea! La fronte gli si era coperta di sudorino ghiaccio; il cuore gli balzava violentemente nel petto; la terribile idea, tornando a balenargli nella mente, lo faceva rabbrividire, ma lo costringeva a fissarla; e lo faceva rabbrividire anche il sospetto che essa potesse impadronirsi di lui e soggiogarlo fino al punto...

      Si riscosse, si passò più volte le mani su la faccia, e interrompendo il dottore, che continuava le spiegazioni senza accorgersi di niente, disse:

      — Lasciami andar via, mi fa male star qui...

      — Ecco gli artisti! — esclamò il dottore, ridendo. — Gente nervosa, razza inferiore! Senti: dovresti fare la Sinfonia dei baccilli! Qualcosa di grandioso e di terribile, se tu sapessi farla. E farla sapresti certamente, ma non la farai. Ormai son convinto che non farai più niente. Peccato!

      — La Sinfonia dei baccilli! Sarebbe ridicola... — rispose Fausto, sforzandosi di nascondere il turbamento.

      — Via, la Sinfonia della Vita e della Morte, che, se tu non lo sai, son tutt'una! Ma non farai nemmeno questa! Non farai più niente! Peccato!

      IV.

      Ah, la terribile idea!

      Lo invasava da una settimana, facendolo inorridire ogni volta che vi si sorprendeva fissato e già propenso a metterla in discussione, ora come ipotesi strana, ora come non difficile possibilità!

      — Oh! oh!

      A quali infami accessi lo riduceva colei, spingendolo alla disperazione con la insopportabile gelosia! E perciò egli fremeva, scoprendola sempre tanto più tenera e più ciecamente innamorata, quanto più egli si sentiva distaccare da lei!

      Intanto la speranza di poter sposare la figlia della Merlacchi gli si accendeva nel cervello coi colori più vivi e cominciava a sembrargli cosa seria. La signora Merlacchi, che ad ogni nuova visita di Fausto diventava quasi aggressiva, non gli repugnava più. La graziosa civetteria di Cornelia lo eccitava, gli risvegliava nell'animo la passione della musica, se non la scintilla creatrice del compositore.

      — Scriverà una romanza per me? Da cantarla io e nessun'altra? — gli disse un giorno Cornelia.

       — Ben volentieri, signorina; vorrei poter fare un capolavoro!

      — Lo farà, ne sono certa.

      E questo desiderio, espresso con tanta carezza nella voce e tanto scintillìo di sorriso negli occhi, gli era parso, quasi, un tacito fidanzamento.

      — Sono matto? — tentava di riflettere.

      Ma l'amor proprio gli annebbiava il cervello.

      — Accadrà uno scandalo! Colei commetterà qualche pazzia!

      Si desolava ripensando le assurde proposte di fuga, di rifugio in qualche città straniera, che Paolina gli veniva facendo da qualche tempo in qua. La sua dote, tutta in cartelle dello Stato, non poteva toccargliela nessuno. Suo marito, è vero, in un momento di urgenza, aveva ottenuto da lei il consenso di adoprarla per le sue vaste speculazioni ferroviarie... Ma gli affari andavano bene. Certamente egli aveva pensato a guarantirla... Anche senza la sua dote però essi avrebbero potuto vivere comodamente, lei lavorando da sarta, lui dando lezioni, o, meglio, conducendo a fine la sua Venere infernale.

      — Ah! La mia Venere infernale è proprio lei! — esclamava Fausto disperatamente.

      E perchè doveva egli rassegnarsi? L'aveva forse sedotta? No, anzi era stato avviluppato, stregato lui!

       — Se commettessi un delitto per riavere la libertà, chi potrebbe condannarmi?

      Era arrivato a farsi tale domanda senza fremere di orrore.

      Per evitare in quei giorni la frequenza delle visite della signora Ghedini, aveva ideato un pretesto: ma quella volta la signora Paolina non si era lasciata ingannare.

      Si vedevano sparsi, con calcolato disordine, sul tavolino, sul letto, sul canapè e sul leggìo del pianoforte i fogli dell'abbozzo dei primi due atti della sua opera, parte scritti col lapis, parte con l'inchiostro. La carta si era ingiallita e la scrittura aveva preso la tinta dell'inchiostro invecchiato dalla luce e dalla polvere. Robba morta tutti quei fogli! Quella mattina però dovevano simulare di essere vivi per evitargli il tormento della presenza di colei e il pericolo di scene repugnanti. Gli era forza mentire, mentire, mentire, se voleva ottenere un po' di tregua!

      Egli andava su e giù per la stanza con le braccia conserte, strette nervosamente dalle mani aggrappate, coi capelli in disordine e con lo sguardo fisso nella truce visione che più non lo abbandonava un momento e lo avvinceva e lo soggiogava: andava su e giù ripetendo mentalmente le uniche parole che pensasse da una settimana, anche ragionando d'altro, anche nei sogni:

       — Se commettessi un delitto per riavere la libertà, chi potrebbe condannarmi?

      E gli parve che qualcuno venisse a sorprenderlo, sentendo aprir l'uscio e vedendo apparire la signora Ghedini che guardava diffidente i fogli sparsi qua e là.

      — Lavori?

      — Riprendo la Venere infernale; me la sento frullare nel cervello.

      E con un po' d'esitanza, di cui ebbe dispetto, soggiunse:

      — Dovresti lasciarmi più libero in questi giorni.

      — Non è vero che tu voglia lavorare!


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