Fausto Bragia, e altre novelle. Luigi Capuana

Fausto Bragia, e altre novelle - Luigi Capuana


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paura di vedermi scoperta e vituperata!

      Egli invece, quantunque convinto della ragionevolezza e della necessità di quelle cautele, avrebbe voluto gridare dalla finestra ai passanti per la via:

      — Sono amato! Sono adorato!

      Egli, invece, avrebbe voluto essere invidiato, o vedere almeno che qualcuno tentasse di insidiargli il possesso di quel cuore che palpitava, e la prima volta, soltanto per lui, povero e ignorato maestrucolo! Avrebbe voluto far sapere a tutti che, ora, scaldato da quel fuoco, ora mostrerebbe intera la potenza del suo ingegno musicale.

      — Vedranno! Vedranno!

      E questo sentimento gli raggiava negli occhi, gli traspariva dall'aria del viso e di tutta la persona, la mattina che il dottor Anguilleri l'aveva incontrato al Pincio e gli aveva lanciato quell' — Ebbene? — graditissimo. Fausto, non sapendo contenersi, s'era sgravato il cuore, velando però molte particolarità, inventandone altre per sviare il dottore, per ingannarlo intorno alla persona, pur augurandosi che colui indovinasse, perchè il trionfo fosse completo.

      Il dottore non aveva indovinato, s'era lasciato facilmente sviare. Nominate due o tre signore, col suo solito sorriso sarcastico, col suo risolino a scatti, s'era subito rassegnato a un'ignoranza che gli pareva conveniente a un gentiluomo.

      — Bravo! E lavorerai ora?

      — Se lavorerò! Mi sento già diventato un altr'uomo. Da quell'amabile scettico che era, il dottor Anguilleri si restrinse a scrollare la testa:

      — Vedremo!

      E da allora in poi, ogni volta che tornava a incontrarlo, gli domandava:

      — Lavori? Questa famosissima Venere infernale sarà condotta presto a fine? Temo che non t'accada come al protagonista nel tuo libretto. Venere ha ricevuto al dito la tua fede, e le vostre nozze saranno tristi; la leggenda è divinatrice.

      Fausto non affermava, nè negava; si limitava a rispondergli con un cenno della mano:

      — Aspetta ancora un po'!

      A Paolina, il cui amore era un misto di passione e di affetto materno, e che lo stimolava anche lei, e spesso avrebbe voluto vederlo lavorare sotto i propri occhi, quasi per assicurarsi il merito dell'ispirazione, Fausto rispondeva diversamente:

      — Tu mi assorbi!... Sono così felice di sentirmi tuo, che non posso per ora occuparmi d'altro. Voglio esser tuo, tutto tuo. Che m'importa dell'arte? La mia consolazione, il mio rifugio sei tu soltanto... Verrà il momento dell'arte, ma più tardi. Lasciami intanto ritemprare in te; ho bisogno di riprendere tutte le mie forze.

      Ella non osava d'insistere. Non era lietissima anche lei che egli fosse tutto suo, quantunque non credesse che l'arte potesse defraudarla? Come tutte le donne che amano tardi, che commettono nella vita un unico grande errore quasi per rifarsi di non averne commessi prima parecchi minori, la signora Ghedini si lasciava facilmente acchetare dalle belle parole.

      Morbosa esaltazione romantica, accoppiata a tardivo risveglio di sensualità, sfogo improvviso di sentimenti che l'educazione e le circostanze avevano compressi o lasciati inerti in fondo a un cuore buono e gentile, la passione della signora Ghedini era diretta conseguenza della mancata maternità, delle mancate intime consolazioni e ch'ella non poteva più attendersi dal marito immerso in grandi speculazioni edilizie, in complicatissime imprese di costruzioni ferroviarie. E aveva avuto origine, come suole spesso accadere, dalla pietà ispiratale dalla triste sorte di Fausto, dal contegno dimesso e rassegnato di quel giovane altiero che non voleva umiliarsi davanti a nessuno, che soffriva in silenzio, vivendo da quasi due anni in quelle due stanzette dove raramente s'udiva il suono del pianoforte, e si sdebitava dell'ospitalità col mezzo dell'arte sua nelle serate di ricevimento. L'avea visto deperire di giorno in giorno e intristirsi; ma ella non aveva saputo mai decidersi a fargli qualcuna delle tante proposte escogitate per aiutarlo senza offendere il suo legittimo orgoglio d'uomo e di artista.

      Quella sera, la subitanea apprensione di vederlo cascare nelle reti della Merlacchi le aveva prodotto uno scatto nel cuore; scatto di pazzia, quasi si fossero improvvisamente spezzati i lacci che l'avevano infrenata fino allora e le fosse dilagato per le vene qualcosa di avvampante, di prepotente. E il giorno dopo, si gettava con le braccia al collo di Fausto, singhiozzando: — Fausto, Fausto, come t'amo! Amami, Fausto! — dichiarazione, grido di soccorso e preghiera disperata in uno; ineffabile cosa più per lei che per l'amato. Il quale, preso così alla imprevista, potè per qualche tempo illudersi di corrispondere a tanto affetto con affetto quasi uguale.

      Che paradiso quei primi mesi per la signora Ghedini! E che delizia anche per Fausto, a cui la vanità soddisfatta impediva di notare le dissonanze evidentissime dei loro caratteri, come gli aveva impedito di sentir rimorso del vigliacco tradimento contro il suo benefattore.

      — Non potrà neppur sospettare!

      E questo bastava per mettergli l'animo in pace.

      Niente pareva cambiato nel contegno della signora e di Fausto; anzi ora accadeva che Fausto mancasse qualche volta ai soliti ricevimenti di casa Ghedini, che erano un pretesto per ingraziarsi e tenersi amici uomini capaci di giovare, con le loro alte influenze, agli affari dell'ingegnere.

      — E Fausto? — aveva egli domandato una volta alla moglie, meravigliandosi di non vederlo.

      — Che ne so io? Compatiamolo; deve annoiarsi con questa gente di affari.

      — Bisogna avvertirlo di non mancare. Un po' di musica qui è necessaria. E poi, ho in vista qualcosa per lui. C'è l'impresario dell'Argentina....

      Ma si era interrotto per correre incontro a un senatore che entrava in quel punto; e dell'impresario non avea più riparlato, nè quella sera nè poi.

      Di nuovo, infatti, c'era soltanto l'apertura segreta dell'uscio della stanza da letto di Fausto, che dava nella stanza da toeletta della signora.

      La cameriera avrebbe potuto notare che da qualche tempo in qua, la sua padrona impiegava nelle cure della persona e dell'abbigliamento maggior tempo d'una volta; ma la padrona combinava le cose in modo che la cameriera avesse altre occupazioni quando ella andava a chiudersi nella stanza da toeletta: o che, appunto mentre stava ad aiutarla, Fausto suonasse all'uscio di entrata per far avvertire la signora ch'egli andava fuori, se mai dovesse incaricarlo di qualche commissione. Fatta l'imbasciata, la cameriera riceveva parecchi ordini da trasmettere e da eseguire; e così la signora, rimasta libera, metteva il paletto ed entrava in camera di Fausto, che con quella finta uscita aveva già tolto ogni pretesto di sospetto alla cameriera.

      In quei primi mesi, trascurando più volte le poche lezioni da fare, egli rimaneva zitto zitto chiuso in casa, attendendo le brevi ma reiterate visite di colei che ormai pareva non potesse più vivere senza di lui. E lui le si concedeva, lui si lasciava prendere; lui era il ricevuto, l'accarezzato, il baciato; quasi il maggior merito fosse suo, e colei dovesse essergli grata perchè le permetteva di amarlo, ora specialmente ch'egli valutava quel che doveva valere per una donna di quarant'anni un giovane di trent'anni con la splendida aureola di artista.

      La certezza d'essere amato e l'illusione di amare prodottagli anche dall'eccitazione dei sensi, lo aveano lusingato d'un prossimo risveglio delle sue facoltà musicali. Ripreso in mano il libretto della Venere infernale, di cui era molto contento dopo averlo fatto rimaneggiare più volte dal poeta, e rilettine i due primi atti quasi musicati di tutto punto, Fausto aveva tentato di continuare a comporre.

      — Ah, tu non puoi immaginare che piacere mi fai! — esclamò la signora Ghedini la prima volta che lo sorprese al lavoro.

      Egli rimase seduto al pianoforte, e sotto la delicata sensazione di quelle mani innamorate che gli accarezzavano la testa, un lieve sorriso gli spuntava su le labbra.

      — Stento, stento molto! — poi disse, incupendosi a un tratto.

      — Non accorartene!

      Pareva ch'egli non s'accorgesse più della presenza di lei, così fissamente guardava la partitura aperta sul leggìo.

      — Questo è l'inno


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