Fausto Bragia, e altre novelle. Luigi Capuana

Fausto Bragia, e altre novelle - Luigi Capuana


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continuò, con accento di dolore e di rimprovero, parlando affrettatamente, a voce bassa:

      — Vedi come mi hai ridotta? Non mi riconosco. Perchè mi fai soffrire? Che male ti ho fatto? Fin mio marito, che ha tante cose per la testa, fin mio marito si è accorto che non sono più quella di prima. Mi crede ammalata; vorrebbe che io consultassi un dottore.

      — Ricominci?

      — Bada, Fausto, bada! Mi conosci male, se ti figuri che io possa sopportare in pace un tradimento. L'abbandono, sì, lo sopporterei; ne morrei, forse, e sarebbe finita. Ma un tradimento, no! Sei tornato dalle Merlacchi, e mi avevi giurato che non ci saresti andato più! Sono loro, la madre o la figlia, o tutt'e due — quella mamma è capace di tutto! — sono loro che tentano di rubarmiti. Bada, Fausto! Bada!

      Glielo ripeteva con labbra frementi. E gli occhi le lampeggiavano; e tutta la persona, scossa da tremito, trambasciava, mentre le lagrime cominciavano a scenderle silenziose lungo le gote coperte d'improvviso pallore.

      — Ah! — urlò Fausto, prendendo con furia il cappello, sfuggendo dalle mani della signora Ghedini che tentava di trattenerlo.

      — Ho avuto torto! Fausto, perdonami! — ella balbettava supplicando.

      Ma Fausto era già uscito di casa, sbatacchiando l'uscio villanamente.

      Il dottor Anguilleri fu meravigliato di vederselo comparire davanti.

      — Che è stato?

      — Niente. Sai? Ho riflettuto su quella tua idea... bellissima... della Sinfonia dei baccilli, o della Morte.

      — Ah!

      — Sono in vena. Voglio farne proprio qualcosa di grandioso e di terribile, come tu hai detto. Ho già abbozzato... in testa... i punti principali, s'intende: Un crescendo, capisci?... dopo un pianissimo di violini e viole.... Poi, un unisono di ottoni.... Vengo per ispirarmi.

      — Mi hai fatto paura! — esclamò il dottore, stupito di quell'aspetto sconvolto, di quegli occhi che luccicavano sinistramente evitando lo sguardo altrui, di quelle parole pronunziate ora a scatti, ora esitando. — E l'ispirazione musicale ti riduce ogni volta così?

      — Fammi vedere di nuovo la stanza... dove sono le stufe,... no, l'altra appresso. Voglio averne un'impressione più viva, più immediata.

      — Alla buon'ora! Non mi par vero che tu voglia lavorare. Sarà la prima e, forse, la sola volta che i baccilli serviranno per un'opera d'arte.

      Fausto gli andò dietro, camminando come un sonnambulo, senza scorgere niente lungo il corridoio e le sale che attraversavano.

      Il dottor Anguilleri, un po' invanito di veder presa sul serio da un artista come Fausto un'idea buttata là, per ischerzo, in un momento di buon umore, aperse l'uscio del camerino buio:

      — A te! Ecco qui, spaventevole crescendo, tutti i morbi della terra!

      Prendeva tre, quattro tubi per volta, e glieli faceva osservare dando particolareggiate spiegazioni, scherzando intorno alla pericolosa materia:

      — Pei toni minori, i baccilli dell'erisipela, della difterite, della tisi!

      E rideva.

      — Pei toni acuti, i baccilli del tifo, del colera, dell'edema maligno... Ah! Ah!... dico bene? Scusa, tieni un po'; non aver paura! Bisogna rimetterli attentamente, ognuno al loro posto, per non confonderli.... E questi qui, finalmente, pei toni bassi: sono i baccilli del tetano e del carbonchio.... Hai già tutta l'orchestra....

      E, voltandogli le spalle, non si accorse di Fausto che, in mezzo all'usciolino, si cacciava lestamente in tasca uno dei tubi affidatigli.

      V.

      — In tre o quattro giorni! — aveva detto Anguilleri.

      E da tre giorni Fausto spiava con ansia la sua vittima, mostrandosi buono, indulgente; meravigliandola con la insperata mutazione; invitandola a visitarlo più spesso.

      Non aveva rimorsi, nè timori; il cuore gli s'era indurito. Rappresentava la sua parte con perfetta tranquillità, rassicurato dalla certezza che nessuno avrebbe potuto, non che accusarlo, sospettarlo.

      — Hai consultato il dottore? — le domandava appena entrata.

      — No; il mio vero dottore sei tu; tu solo conosci il mio male, tu solo puoi guarirmi!

      — Ti senti bene?

      — Benissimo, da che tu non sei più cattivo con me!

      Egli la guardava fisso, scrutandone il colorito della pelle e delle labbra, quasi avesse potuto scorgervi a occhio nudo i baccilli che già dovevano essersi sviluppati dalle spore.

      Intanto nessun sintomo, neppure al quarto giorno!

      Anguilleri, si era dunque ingannato? Gli aveva dato a intendere una frottola, come accade ai giovani scienziati che spacciano per cose certe le ipotesi più ardite? O colei resisteva anche alle spore del carbonchio, per sciagura di lui?

      Come domandarle intanto se avesse mangiato il micidiale frutto candito ch'egli le aveva regalato giorni addietro?

      Paventava di tradirsi; e attendeva ansioso, smaniante, sforzandosi di non lasciar scorgere il suo profondo turbamento, e per ciò soffrendo di più, quando la coscienza gli faceva sentire qualche sordo e fuggevole rimprovero.

      — Ormai!

      E con quest'esclamazione cercava di stordirsi.

      Ma di giorno in giorno, di ora in ora la coscienza tornava a rimorderlo più forte, quantunque a intervalli, quasi stentasse di svegliarsi dal torpore in cui si trovava caduta da un pezzo.

      E Fausto strizzava gli occhi, per vincere i brividi che lo assalivano, per arrestare il capogiro che lo faceva vacillare.

      La notte, però, appena abbassate le palpebre....

      Abbandonando il putrefatto cadavere della signora Ghedini, a miriadi, a miriadi, avidi di nuova preda, i baccilli, non più invisibili, ma grossi come formiche, incalzavano Fausto, lo circondavano da ogni parte, lo assalivano, lo rodevano, lo riducevano a lentamente lentamente agonizzare accanto al nero carcame della sua vittima, che però aveva ancora qualcosa di vivo negli occhi viscidi, enormemente spalancati, e sembrava godere della interminabile agonia del suo infame assassino.... E nessuno che osasse soccorrerlo! E Anguilleri, freddo, impassibile, gli appuntava addosso l'inutile microscopio.... Non li vedeva dunque a occhio nudo i terribili baccilli, grossi come formiche?

      Si svegliava di soprassalto, bagnato di sudore diaccio, balbettante il grido di aiuto che stava per sfuggirgli nel sonno; e seduto sul letto, spalancava gli occhi dal terrore, non ben sicuro che qualche bacio di lei non gli avesse attaccato il male, quantunque egli, da quattro giorni, evitasse di baciarla in bocca, e si lavasse spessissimo col bicloruro di mercurio diluito nell'acqua a l'un per mille.

      E la mattina tornava a fremere, smanioso, impaziente, fino al momento della solita visita di Paolina, che non poteva mai venire a trovarlo prima delle dieci e mezzo. Il cuore gli trabalzava al lieve scricchiolìo dell'uscio; e il giorno ch'ella non comparve all'ora consueta, nè più tardi. Fausto diè un rantolo, e si sentì venir meno.

      — Le spore hanno agito!

      Rimase immobile in mezzo alla camera, quasi non se lo fosse aspettato, quasi il fatto non avesse dovuto accadere, ed egli avesse sperato, anzi voluto, che non fosse potuto accadere. Gli era cascata la benda dagli occhi; si vedeva assassino, nè poteva più riparare.

      — Ormai.... — ripetè anche quella volta, ma balbettando d'orrore.

       Una scampanellata! Era il dottor Anguilleri.

      — Insomma, questa sinfonia dei baccilli?

      Fausto si sentì strozzare le parole in gola.

      — È fatta? O non la farai più?

      —


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