Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana. Giuseppe Rovani

Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana - Giuseppe Rovani


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tarda, disse allora il Palavicino, e bisogna ch'io vada alla casa del Besozzo, dove stassera si raccoglieranno un cinquanta del nostri che staranno pel duca Massimiliano e per te, duca Francesco.

      —Non so se il castellano abbia licenza dal cardinale di Sion di lasciarti uscire?

      —Sa il cardinale il perchè, ed ha già dato gli ordini.

      —Quando avremo a vederci noi?

      —Domani all'alba.

      —Addio dunque frattanto, e confida nella sorte e in Dio.

      —E in chi altri ho a confidare? Dopo l'attentato di jeri notte, dopo ch'io so che la morte mia è desiderio e fine assiduo di chi si nasconde tra l'ombre, a me par come di passeggiare su d'un terreno, sotto il quale si celi una mina; però, se a me non accadrà d'esser balzato in aria sfracellato, non sarà che un miracolo d'Iddio.

      Detto questo, si licenziò dal suo Francesco Sforza, che lo volle abbracciare. Quando fu per uscire si scontrò nel Morone, che veniva dalle camere di Massimiliano e che gli disse:

      —È qui il duca Francesco?

      —Egli è qui difatto; siete venuto a tempo, ed io vi lascio con lui; a rivederci all'alba.

      E senza più altro si partì lasciando appunto il Morone col duca.

      Quando il romore che faceva il puntale della spada del Palavicino si perdette sotto alle volte del castello, il Morone si rivolse al duca di Bari, il quale misurava a lenti passi lo spalto, richiamandosi in mente tutto quanto gli avea detto il suo amico.

      —E così, disse il Morone, non sa nulla?

      —Nulla affatto.

      —Neppure un sospetto?

      —Neppure. Ma io fui tentato dirgli ogni cosa, quando mi raccontò quel che avvenne tra lui e il Baglìone altra volta, e come la figlia del Bentivoglio per miracolo abbia potuto sfuggire dalle mani di costui; e mi faceva grandissima pietà il vedere quant'egli viva tranquillo e sicurissimo, e creda anzi che il Baglione sia così malcondotto da certo suo morbo osceno, che non possa ormai più riaversi.

      —Ed era appunto quanto credeva tutta Italia, e quanto desideravano gli sventurati Perugini. Ma il lettore di medicina allo studio di Pisa, messer Lucio Bandini, voleva in ogni modo esser maladetto da tutti i suoi concittadini, e almanaccò notte e dì per guarire il Baglione, e vi riuscì; ed ora Giampaolo alloggia in Lodi colle sue cinquecento lande.

      —Ma in che modo sapete che il Bentivoglio s'è recato da lui?

      —Vi basti che ne sono certissimo, come son certo che le nozze che non han potuto aver luogo tre anni fa, tosto si compiranno in uno di questi dì. Il Marsiglio di Lodi venne jeri da me e mi disse ogni cosa, ed io gli raccomandai stesse alle vedette e m'informasse di tutto minutamente. So anche che il Bentivoglio jeri si recò a far visita all'abate di Chiaravalle; nessuno me ne disse il motivo, ma è facile congetturarlo. E pare che gli prema dar sesto alle sue cose in fretta e in furia, e sagrificare la figlia senza le formalità che possono trarre in lungo ciò che egli vuol subito.

      —Il Palavicino mi disse il perchè, anche tre anni fa, premeva tanto al Bentivoglio d'unirsi in parentela col Baglione.

      —Ed è facile a comprenderlo, e per ricuperare la sua Bologna metterebbe Cristo in croce; ma è quanto per verità io non vorrei che avvenisse.

      —Perciò era mio consiglio mettere in cognizione di tutto il Palavicino stesso, il quale, chi sa, forse avrebbe trovato il modo di stornar quelle nozze.

      —A suo luogo ed a suo tempo si potrà benissimo palesargli la cosa, ma oggi no. La notizia intempestiva l'avrebbe messo sossopra, e a noi è bisogno invece ch'egli sia benissimo in sè stesso. Perchè, già non è bisogno ripeterlo, questo giovane può essere di grandissimo peso nella causa vostra, e dell'ardore appassionato che ha per voi, e dell'odio che porta alla Francia può accender gli animi di tutto l'esercito. Io so benissimo come vanno queste cose, e come un solo talvolta valga per tutti. Dunque è bisogno ch'egli non sia stornato da nessun altro pensiero, che se domani si avesse mai a vincere la giornata, si troverebbe facilmente il modo di tener lontani il Bentivoglio e il Baglione e allora porrò il pegno io stesso che la Ginevra sarà sua e non d'altri.

      —Sperate voi dunque che s'abbia a vincere la giornata?

      —C'è l'uno per cento di probabilità; è ben poca cosa in vero, pure alle volte quest'uno è tutto, come ho detto. Del resto è sempre profittevole prepararsi al peggio che al meglio. Il re, senza contar le lancie, i lanschinetti, i fanti della Gheldria e i Guasconi, ha seco seimila cavalieri, il fiore della milizia d'oggidi, quarantamila fantaccini e diecimila uomini d'armi. E noi? cosa abbiamo noi? Cotesti svizzeri che non arrivano a cinquantamila, ed è qui tutto, e combattono per le paghe. Se poi le forze di re Francesco avesse ad ottenere quel che pur troppo è così facile ad ottenersi, allora la lega tra il Bentivoglio e il signore di Perugia mi porrebbe in peggior fastidio assai, e più che prima mi bisognerebbe che il Palavicino sposasse la Ginevra, e l'Appennino tagliasse l'amicizia dei due tiranni.

      —Comprendo quel che volete dire; ma la cosa è al tutto impossibile. E per verità, sebbene in questa durissima stretta io non dovrei che pensare alla sventura della casa nostra, pure la sorte del Palavicino mi affanna, e vedo che furia di guai già lo minaccia dappresso.

      —E questo mi pesa, per verità mi pesa, o duca, perchè alla fortuna di questo giovane io lego la vostra, la mia e la fortuna di tutta la città. Pure a molti costui non parrebbe che un semplice gentiluomo, buono tutt'al più che a lavorare di spada; ma io so bene quel che se ne cava.

      —Anche se i Francesi avessero a rimettere il piede qui?

      —Anche se Milano n'andasse tutta sossopra per loro, a me parrebbe d'aver fatto molto se mi riuscisse di gettar la discordia tra il Bentivoglio e il Baglione, e di mettere fra costoro due il Palavicino, perchè dopo, potete ben credere che giuocando a tavola reale, nessuno mi sbancherebbe.

      —Ciò è verissimo.

      —Questi tirannetti da feudo, sentine di vizj e di nefandità orribili, più dannosi della gramigna in un prato, han bisogno di una falciata ben netta che lor seghi il collo in una sol volta. Dieci anni fa si diceva ogni gran male del Valentino; ma a me, che ne ho sentito l'odore da lontano, non parve poi che portasse così gran fetore, e il ferro e il fuoco, a cui egli ricorreva così spesso, era buono a qualche cosa, credetelo a me. Ma tornando a noi, se il Bentivoglio, che in fondo è un galantuomo, si collegasse mai coll'atroce Baglione, papa Leone se ne resterebbe coi desiderj. Allora questo paese nostro anderà tuttoquanto sossopra, e i frantumi rimarranno nelle mani di coloro che, armati fino alla gola, se ne stanno a riva per godersi lo spettacolo del nostro naufragio. Ecco perchè desidero che il Palavicino sposi la Ginevra, e che nasca discordia tra questi due reicoli, che son quelli che più contano in Romagna. Son cose ben leggiere, leggiere al punto, che si perderanno inavvertite nella farragine di tanti avvenimenti; ma quando le cose saran condotte in modo che il Bentivoglio abbia sempre a correre in su ed in giù tra il desiderio e la speranza, e a guardar sempre da lontano la cupola del suo San Petronio; che il Baglione abbandonato a sè solo, abbia alla fin fine a piegar collo e ginocchio, e l'acqua perugina filtri, corrodendo, tra questo semenzajo di tirannetti, da' quali i Francesi ricevono tanto ajuto, vedrete che il papa prenderà il suo partito e virerà lui stesso la nave allora, e questo giovin re, così alterato dal vin di Provenza, pagherà forse ben cari i sorrisi, che il santo padre gli fa adesso. Dall'istante io temo tutto. Dall'avvenire qualche cosa attendo. Sperate.

      —Per verità, messere, disse allora il duca di Bari, io tremo vedendo che nel Manfredo collocate le vostre speranze.

      —Eppure se mi verrà fatto di stornar le nozze del Baglione colla Ginevra, io mi gioverò assai bene di questo giovane. In tutta Milano, come v'ho detto, non v'è altri che più vi sia affezionato di costui, e non so quel che farebbe per il maggior vantaggio della causa vostra.

      —Ed è per questo che mi pone in apprensione grandissima il vederlo in così dura e pericolosa condizione, perchè, posto anche ch'egli abbia a sposar la Ginevra, non vedo


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