Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana. Giuseppe Rovani
duchessa Elena, signora di Rimini; e che da questo strano intrigo non abbiano ad uscirne altri, è quanto ragionevolmente non si potrebbe credere. L'attentato d'jeri notte intanto n'è un tristo indizio.
—Pur troppo, o duca, gli è chiaro che il Lautrec ha pagato gli assassini… Ma adesso rechiamoci dall'eccellentissimo fratel vostro, che stassera mi è caduto d'animo affatto, e si vuole confortarlo.
CAPITOLO V.
Intanto il Palavicino, uscito dal castello di Porta Giovia, messo a un piccolo trotto il cavallo, passato per quelle vie bistorte tagliate a sghembo, senza livello, a piani ineguali, che allora venivan tutte distinte dal comune appellativo del Baccio, casupole e catapecchie della più minuta e lurida accozzaglia di plebe, si trovò presto nella vetusta contrada dell'Orso-Olmetto. Qui gli giunse all'orecchio un rumore, un frastuono insolito, e traendo dietro a quello, dato di sprone al cavallo e pervenuto al canto estremo di quella contrada, vide gran moltitudine di gente insaccarsi nella vicina di Brera del Guercio. Assai sollecito di sapere quel che fosse, arrestò un momento il cavallo, e ad uno che gli veniva accanto pedestre domandò la causa di quell'insolito movimento.
—Sono i tôffi e i caramogi di Porta Tosa, gli rispose il buon uomo, usciti dalle puzzolenti lor tane, a trarsi dietro tutta la folla degli altri birboni, e Dio sa che sconquasso saran per fare stanotte.
—È un pezzo che sono in volta costoro?
—Sarà un'ora adesso. Dal momento che si seppe che i soldati svizzeri eran stati chiusi in castello per non uscire che all'alba di domani, e i cento cavalli del Coreggio non potevano più staccarsi dalla greppia delle stalle ducali, subito si videro delle novità. E non par vero non siasi pensato a provvedere a tanto disordine. Figuratevi che in tutta Milano non ci sarebbero dieci labarde, a pagarle cento ducati per ciascuna… Sentite, sentite che or va in rovina tutto il rione di Brera… sentite…
S'udì in quella di fatto un gran rumore, un tintinnio, un tempellamento vasto e prolungato come di vetriere che si lasciassero cadere o si gettassero a fracassarsi sulle lastre delle contrade.
—Scommetto, continuava a dire il buon uomo mentre tendeva l'orecchio ad ascoltar meglio; scommetto che è il palazzo del marchese Birago che va in ruina!… Domando io, cosa dirà quel signore quando, tornando dalla campagna, vedrà le sue gallerie ruinate così!… E a pensare che gli costarono ventimila gigliati!… tutte lastre di vetro fatte venire appositamente dalle fabbriche di Murano… Sentite! non è ancora finito; l'hanno co' palazzi de' gran signori, quest'oggi, che sanno essere usciti di città… E quel birbone del Tita, vetrajo, che non par vero non siasi ancora ammansato dopo tanti e tanti tratti di corda, s'è fatto lui capitano de' tôffi e dei ladri, ed ha risoluto di far la guerra ai vetri di Milano. Domani i cavalli non potranno andar in volta per la città, e ai poveri scalzi sanguineranno i piedi… Basta; si può ancora sperare, caro signore, e presto si rimetterà il governo francese, e torneranno i guasconi a tener soggetta la canaglia…
A tali parole, il Palavicino, senz'ascoltar altro, die' di sprone al cavallo lasciando in mezzo alla via, colla bocca ancora aperta, il buon messere che avrebbe voluto dir molte altre cose, e prese pel lungo viottolaccio del monastero di s. Giuseppe, viottolaccio quasi tutto attraversato da cavalcavie, e rallegrato da una quantità straordinaria di agiamenti che inallora non erano ultima parte dell'esterno ornato delle case.
Giunto sulla piazzetta di Santa Maria della Scala, il brulicame della gente era anche qui ben fitto, e veniva tanto quanto rischiarato da certi staggi o tizzoni ardenti ed agitati all'aria da molti di coloro. Su quella piazzetta per altro non v'era ciò che propriamente si direbbe tumulto ribellionario, v'era soltanto un'ilarità baccante, uno straordinario buon umore. Ciò dipendeva forse dalle molte bettole che in quel sito mostravano trionfalmente il sempre verde alloro e che riversavano sulla via una quantità di persone molto bene avvinazzate e fervide di una scomposta vitalità che, per una cagione insolita, difficilmente in quella sera poteva determinarsi all'ira ed alle risse come suol quasi sempre avvenire.
Ma qui è necessario spendere qualche parola intorno a quello strano commovimento.
Ogniqualvolta c'incontriamo, leggendo le storie, in qualche tumulto popolare, per poco che si voglia indagarne le cause, le troviam sempre gravissime, e d'altra parte vediamo in quelle occasioni essere costante il fenomeno di una moltitudine invasa da un furore violento. Bocche che gridan pane, e campi che non danno raccolto, scarsità insolita di danari e balzelli a furia, iniquità che abbian fatto traboccar la bilancia, violenze incomportabili sono per lo più le solite punture e battiture per cui la belva immane della moltitudine si fa lecito di mostrare i denti. L'altro fenomeno si è, che contro a questa belva infuriata, formidabile, prepotente, c'è quasi sempre una sufficiente forza armata che serve a mantenere l'equilibrio e a non permettere che il pubblico, così pieno di pretensioni, soddisfi ad ogni suo capriccio. Ma di tutte queste consuete circostanze questa volta non ce ne appare una sola, e invece ci si offre un fatto straordinario e tale che forse non ne fu mai un altro simile nè prima, nè dopo.
Una moltitudine nel complesso ancor bene satollata e ben pasciuta, poco di denaro e poco di ricchezze se vuolsi, ma tali però ancora che non potevano promuovere eccessivi lamenti; qualcosa in ombra, in barlume bensì di sovvertimento, di rovina, di confusione ma, di cui le intelligenze volgari non potevano avere nessun sentore; epperò nel complesso di tutta quella vasta famiglia, quel che si direbbe tranquillità dell'animo. Con tutto ciò il maggior numero de' membri di quella esce d'improvviso dalla consueta operosa tranquillità, dalle abitudini quotidiane, si danno la voce, alzano qualche grido eccessivamente acuto, e si accingono a fare ciò che si direbbe una sommossa.
Ma in quella sera del 14 settembre si potè far sul vero uno studio pratico quale infinite volte è stato fatto per teoria e per congettura. Si potè determinare il valore intrinseco e preciso delle leggi, dei capitoli d'uno statuto, d'un decreto, quando per caso non vi sia la forza armata che lor venga in aiuto. E si ebbe d'altra parte, in un'angusta scena, lo spettacolo della società che tenta adagiarsi e rimettersi nella ragione di vita semplice e larga degli uomini antidiluviani.
Alle ventiquattro di quel giorno, come già sappiamo, tutti i soldati, tutte le guardie che si trovavano in Milano furon sottratti improvvisamente allo sguardo de' cittadini. Le casacche screziate delle labarde svizzere che si vedevano a tutte l'ore del dì sulle porte del palazzo ducale, del senato, del collegio dei dottori erano scomparse. I larghi braconi della numerosa guardia del bargello che s'affollavano sulla porta del Capitano di Giustizia, delle prigioni di porta Romana, e di quelle della Malastalla erano scomparsi; di tutta quella razza d'armigeri non avvezzi ad uscir delle mura, s'era voluto fare un corpo di riserva, e cogli Svizzeri erano anch'essi stati chiusi in castello per non uscir più che al campo. Perciò la legge, questa formidabil vecchia, che nella sua decrepitezza è sempre attiva, inflessibile, antiveggente, sempre pronta a stendere l'artiglio e ad ingoiare colpevoli, fece in quell'occasione un'assai meschina figura; voleva ancor gridare bensì dalle aule del palazzo di giustizia o dalle cantonate delle contrade, ove stavano ancora affisse le tabelle, i decreti, le comminatorie e simili; ma eran voci che andavano perdute tramezzo al vasto frastuono, mentre ciascheduno intanto pensava cogliere l'opportunità e fare il suo comodo. Si presentò adunque il caso d'una moltitudine per se stessa disposta alla tranquillità, e dell'assenza assoluta della forza armata; il caso d'un fiume placido, non ingrossato da nessuna straordinaria alluvione, cui improvvisamente sian tolti tutti gli argini, tutte le dighe e tutte le conche; e siccome un tal fiume uscirebbe ugualmente da quel letto dove l'arte lo ha costretto per forza, e volgerebbe di tratto la sua corrente per dove da antichissimo era naturalmente inchinato, così pure doveva comportarsi una moltitudine, abbandonata a sè stessa, improvvisamente, senza i freni dei soliti tutori; poche similitudini vengono così a cappello come questa; del resto la plebe milanese, trovatasi improvvisamente in tanta libertà, s'accorse di molte cose alle quali forse non aveva mai pensato. Tutti coloro che si stavano stipati, addossati l'un l'altro, epperò molto incommodi e addolorati del pigiamento assiduo, sull'ultimo e più vasto gradino della gran scala sociale, alzarono un tratto uno sguardo invidiosissimo verso coloro