Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana. Giuseppe Rovani

Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana - Giuseppe Rovani


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e lo si desidera ardentemente, perchè, vedi, tu devi crederlo a me, quando le lancie di re Luigi usciron di Milano, nel 12, si è anche sparsa più d'una lagrimetta qui. La contessa Clelia, che sta lì in sul canto, baciava e ribaciava, l'altro dì, i suoi due figli biondi, e se la maggior parte di noi non li avesse, come suol dirsi, veduti a nascere, direbbe ognuno che alla Senna, al Rodano, e alla Loira si è attinta l'acqua pel battesimo dei bimbi. E la cosa è naturalissima, perchè io giocherei la mia dritta, che il conte padre non ci ha nè colpa, nè peccato….tu mi comprendi. Ma io ho guadagnato più di trecento e più di quattrocento gigli d'oro giuocando al faraone col barone De-la-Palice che frequentava la casa, e ci perdeva volentieri, e trovava da far buona pesca perdendo. Nessuno diffatto potrebbe dire che la contessa non fosse allora un pezzo di femmina ben ghiotto.

      —Ma io non so comprendere come tu possa ripetere codeste infamie, e non fremere al solo pensarci.

      —Fremerne?…sicuramente che uno può anche fremerne! Ma sta a vedere ch'io vorrò alterare un sistema di quieto vivere, nel quale durai tanta fatica ad adagiarmi, perchè la contessa Clelia ha i figli biondi?…

      Qui il Mandello si tacque, come uno che sta richiamandosi in mente qualche cosa, poi ghignando d'un fare tutto suo.

      —Il contestabile di Boissy, riprese, un borgognone, il quale aveva assai più della bestia, che dell'uomo, un dì che il discorso piegò sulle nostre donne, disse cose che mai non avrebbe dovuto dire. Ma anche lui aveva una moglie molto bella e molto giovane, alla quale si capiva benissimo ch'esso erale venuto fieramente a noia, e per verità aveva aspettato anche troppo. La contessa Clelia, che sta qui in sul canto, baciava, come ti dicevo, i suoi due figli biondi; ma nel 12, la moglie del contestabile ne baciava uno di pupille nerissime, quantunque il borgognone avesse occhi gialli e pel rosso. E però anche vero che qualche anno fa io mi dilettavo a spruzzarmi coll'acqua nanfa, e l'oltrapò non aveva ancor fatto deposito; capirai dunque che una mano lava l'altra, senza venire a duelli per cose di sì poco conto; almeno tal modo è comodo….Ma tu ti mostri impensierito!

      —Se domani mi verranno in mente codeste infamie, io temo che la spada abbia a croccarmi tra le mani. Ma tuttavia mi conforta che in taluni ancora, o non son pochi, c'è ancora moltissima virtù.

      —Vorrei crederlo, caro marchese, ma per quanto io vada guardandomi attorno, se voglio prendere un conforto, convien pure che io ritorni qui! (e batteva le nocche della mano sul bicchiere che gli stava innanzi).

      —Malissimo, conte.

      —Perchè malissimo?

      —Perchè la tua riputazione, e a me lo puoi credere, va perdendo prezzo di dì in dì.

      —Ci ho rinunciato al tutto, caro mio. Il circolo de' miei diletti s'è cangiato e ristretto; quand'io mi sento girar nella testa come una ruota di mulino, al punto da non saper racapezzare più nulla di quanto avviene d'intorno a me, allora io posso dire di star bene, perchè delle cose che avvengono oggidì, meno si vede, più si guadagna.

      A questo punto Manfredo, vedendo che il conte continuava a vuotar bicchieri, così mezzo ridendo, gli disse:

      —Io non voglio già che tu debba cambiare il tuo costume, ma per stassera fa il piacer mio e bevi acqua fresca, giacchè noi dobbiamo recarci insieme dal conte Besozzo dove si raccoglieranno ipochi che stanno per lo Sforza.

      —Benissimo; e noi andremo da quel buon vecchio, l'unico del quale io faccio grandissima stima. È un vecchio bravo e pieno d'onore, peccato che abbia un po' del matto, o mi fa ridere quando veggo che tiene ancora la catena alla punta delle scarpe e porta il berretto di Filippo Maria. È un caro matto, ma pieno d'onore, torno a dire.

      Qui il conte s'alzò dalla seggiola, mostrando una statura di un'altezza straordinaria, s'arricciò i baffi colle due mani, il quale atto gli era abituale e caratteristico, guardò in volto a Manfredo, poi disse:

      —Ora che mi ricordo, tu mi dicevi poco fa, ch'io dovessi bere acqua fresca. Ma tu sei un pessimo consigliere, e stassera ho bisogno più che mai che mi vengano i bagliori, che così il mio occhio vedrà a doppio.

      —Cosa vuoi dire con questo, Galeazzo?

      —Voglio dire, che avvezzo a veder truppe ben agguerrite, e conti e baroni a migliaia, e bene a cavallo ogni qual volta trattossi di venire a giornata, a me parrà di sognare, non vedendo altro che quel pugno sbrancato di raccogliticci come tu dì, però vorrei che l'oltrapò mi facesse stravedere…. Ora, se tu vuoi che andiamo dal conte, usciam tosto di qui, che vorrei arrivare in tempo per vedere anch'io qualcuno di coloro che vanno in volta per la città a bordellare senza costrutto. Già la mia casa, penso che non la si vorrà toccare, che per la pura verità, ti so dire che si ha più rispetto di me, quantunque taluna volta m'abbian veduto un po' sostentato, che del presidente dei novecento il quale, con tanta edificazione del pubblico, altro non beve che acqua temprata coi ginepro.

      Così dicendo, si staccò dalla tavola, alla quale si era sempre tenuto appoggiato. Fece due o tre barcolloni come se non fosse benissimo in equilibrio, ma finalmente, trovato il centro di gravità, potè a poco a poco imprimer l'orma con abbastanza sicurezza e decoro.

      In quel momento il servo gli recò spada, cappa e cappello, ed egli si vestì compiutamente. Come fu in ordine:

      —Usciremo a piedi, disse al Manfredo, e il tuo cavallo te lo farò condurre a casa a mano. Voglio che ce ne andiamo in volta per qualche tempo, che la sera è bellissima, e non è un pericolo al mondo che le nostre cappe abbiano ad aver timore dei farsetti, sebbene stanotte, per una bizzarria dell'accidente, tocchi loro ad aver ragione; così dicendo uscì col Palavicino.

      Ora è probabile che il lettore desideri qualche parola d'illustrazione intorno al conte Galeazzo Mandello, il quale, la bella prima volta, ci si manifestò, a volergli usar de' riguardi, per un uomo molto originale. E lo era di fatto.

      Appartenente ad uno de' più cospicui casati milanesi, arricchito inoltre dalla pingue eredità d'uno zio materno, era tra più facoltosi signori della città; con tutto ciò, a trentasei anni, che tanti ne aveva, s'era ridotto a condurre una vita affatto solitaria. E non parea vero come avesse potuto acconciarvisi, mentre sembrava appunto costituito espressamente per vivere nel bel mezzo della società e al cospetto dell'universale. La natura, per crear lui, aveva, a così dire vuotato il sacco. Bellezza di forme, potenza di braccio, tanto che era in voce d'uno de' migliori schermidori d'Italia; svegliato ed acutissimo ingegno; attitudine a far tutto ciò che gli fosse piaciuto. E quantunque in nessuna cosa non avesse fatti studii profondi, che non ne aveva mai avuto nè tempo nè modo, pure di tutto era intendentissimo. Ma questa esuberanza di doni appunto doveva poi produrre effetti singolari e quali non erano a desiderarsi.

      All'età di quindici anni aveva militato in Francia sotto la condotta del Trivulzio, e tanto s'era distinto, che re Luigi lo aveva insignito dell'ordine di San Michele. D'allora in poi s'era trovato a quasi tutte le guerre del tempo, aveva percorso mezza la Francia, visitata tutta Italia, era stato a tutte le Corti, aveva conosciuti ed accostati la maggior parte de' principi regnanti, s'era trovato a quattrocchi più d'una volta con Cesare Borgia; Alessandro VI e Giulio II gli eran noti assai bene.

      Essendosi ora trovato implicato in quasi tutti i fatti memorabili del tempo, avendo tenuto dietro a' movimenti, alle gare, alle guerre di tanti Stati, essendo stato spettatore di tante e così gravi cose, e per quella sua mirabile sottigliezza ed abitudine a considerarle ad occhio nudo, senza prisma, senza metafisica, senza poesia, avendo saputo scrutarne il fondo senza lasciarsi allucinare dalle apparenze, appena ebbe varcato la sua prima giovinezza, si sentì come sopraffatto da una sazietà morbosa; non fu più nessun fatto, per quanto straordinario che valesse a destare la sua meraviglia. Essendo poi riuscite a vuoto tutte le sue speranze, e da tanto intreccio di eventi non avendo veduto uscire un costrutto che gli piacesse, non v'era partito oramai che attirasse di preferenza la sua attenzione e il suo amore, e se pure continuava a seguirne taluno, era assai più per avere una via in cui mettersi con determinato proposito, che per convinzione vera.

      Tocchi i trent'anni, morto il Moro, al quale voleva un po' di bene per alcuni buoni frutti che l'infelice principe aveva saputo far maturare in Lombardia, la quale gli stava al cuore fortemente,


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