Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana. Giuseppe Rovani

Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana - Giuseppe Rovani


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diceva uno tra gl'interlocutori, non sarà fatto domani, credetelo a me, e se adesso non si piglia di tratto il partito pel crine e dubitiamo ancora di porci al soldo de' Francesi, e di strappare dal nostro berretto la penna di Ghibellino non saremo per far mai cosa buona in vita nostra, e sarem sempre; quel che or siamo, se per giunta non si andrà di male in peggio.

      —Io per me il mio partito l'ho preso, diceva un altro; stanotte prima che battano otto ore in castello, mi porrò in via fuori di porta romana, e domani avrò la borgognata in testa e i gigli di Francia in petto. Tant'e tanto uno di questi dì, dopo essermi guardato attorno ben bene, nè trovando uno spiraglio, avevo già fermo lasciarmi andar giù per l'Olona e finirla. I debiti son tanti, amici cari, che mi vorrebbero dieci anni di lavoro e di vita allo stecco, per rimettermi così sulle ginocchia, chè in piedi già non mi rimetto più. In quanto poi al marcire nelle prigioni della Malastalla non me ne sento volontà per adesso. Aiutati che t'aiuterò, e se non colgo questa bell'occasione, io son rovinato per sempre.

      —Io poi non ho nè debiti nè altro, entrava a dire un terzo; e se volessi dire che mio padre mi dia scarso appuntamento, direi quello che non è. E mio zio mi vuol pure un gran bene, ed ha un poderetto qui fuori a tre miglia, con prati a marcita che rendono una bella sommetta. E non è tutto; il padre di mia madre mi ha promesso la sua casetta col cavalcavia a San Prospero, purchè mi faccia addottorar presto e diventi un gran sapiente; ciò che tanto desidera mio padre e lo zio, e mia madre anche. E cosa che fa poc'onore, e può anch'essere una fatalità, ma io non la penso così; in prima quell'aria morta di Padova è ancor più viziata di questa nostra, e le toghe dei professori mi guastano il sangue; poi se penso all'eredità, sto fresco…è come la terra promessa…ed io non mi sento di viaggiar quarant'anni, perchè, in quanto allo zio, se non è gran fatto giovane, non ha però un acciacco che prometta bene, e quantunque il nonno, se si guarda agli anni, sia ben decrepito, pure a desinare si mangia ancora il suo buon capponcello, e appoggiato al suo bastone di pino, fa tuttavia il giro delle mura a piedi che è tutto dire. Dunque vedete, s'io non vengo con voi domani, penso che a simil vita non si dura; l'inspirazione non può esser migliore, tu saldi i debiti, e a chi tocca tocca, ed io diserto casa, parenti, professori, e, viva Dio!…Ma tu…che gran diavolo volgi in testa ora?…parla e spacciati presto.

      —Di che ho da spacciarmi io, per la Madonna! Il mio pensiero l'ho detto, e sto sodo. La condizione mia vuol così, e tal sia. Vadasi presto, e si faccia quel che si ha a fare… Già l'opera è bella veramente, l'opera è santa: mettersi a mangiar lardo insieme a quei bestioni di Borgogna, e tornar qui con loro a far man bassa sui nostri senza modo e senza pietà. Oh! va benone…ma l'hanno voluto, lo vogliono, e tal sia, ch'io non son già quello che possa cambiare il mio destino maledetto… Ho moglie e figli che non han pane, e pel fallito non c'è più credenza qui, no… Ma la recherò io la buona credenza, e ci sguazzeremo, perdio! Presto sarò di ritorno qui, e la vedremo… Dunque, come t'ho detto, sprechi il fiato a interpellarmi me…

      —E tu, continuava lo studente, volto ad un altro che mai non aveva parlato, che cosa dici?

      —Dico che ci ho bell'è pensato.

      —E così?

      —E così, verrò con te dimani.

      —Bravo; ora sei uomo, ed io t'assicuro che ogni tuo danno sarà per volgersi in bene.

      —Sentite adesso: giacchè siam tutti d'accordo, prendiam tosto per San Donato che sinchè si è qui, i pentimenti possono ancora guastare i savi disegni.

      —Ben pensato… Ma e voi, che state a far lì tutti d'un pezzo?…

       Ohe! dormite?

      —Per me ho promesso di venire al campo, e ci verrò, ma a un patto.

      —A quale?

      —Che di Francesi non voglio saperne, e starò pel duca.

      —Bella questa… Ma sai tu perchè si ha ad uscire di città?

      —Per tentar la fortuna, lo so benissimo.

      —Ma la nostra fortuna, devi sapere, quella del duca non già, che si starebbe freschi…

      —Chi lo può dire?

      —La cassa del duca che è vuota, lo dice.

      —La città che per lui corre pericolo di fallire, lo dice.

      —I signori che mal si comportano questo pazzo duca, lo dicono.

      —Ma se gli Svizzeri che stanno per noi…

      —Pel duca, vuoi dire.

      —Ebbene sia…dunque dicevo…se gli Svizzeri vinceran domani, come han vinto nel 13 a Novara, che avreste voi fatto?

      —Un mal passo, no certo, che chi s'accosta alla Francia fa sempre guadagno, e guardiamo il Trivulzio…

      —Viva il Trivulzio!

      —Certo, il Trivulzio, ed io non ci pensavo.

      —Considerate ora voi che accoglimento ci vorrà fare il maresciallo.

      —La nostra fortuna è dunque fatta.

      —È fatta; non c'è più dubbio.

      —E fa conto che tornerai presto, vestito da capitan borgognone, e invece di corone col s. Ambrogio, piattonate a' creditori che ti verranno dappresso colle solite noje.

      —Ma il diletto di metter sossopra i banchi delle scuole del Calchi dove il Calcondila mi ha fatto tanto dormire quando spiegava Omero, credo lo lascierete a me solo.

      —Presto dunque via di qui e in cammino, ch'io già mi sento arder tutto d'un fuoco inusitato.

      Nel momento che costoro, senz'altre parole, già si disponevano ad allontanarsi di lì, svoltò il canto una figura lunga e magra, la quale, a capo chino, a passo tardo, strascinando un bastone, presso a poco nell'attitudine con cui Fingallo, perduta la battaglia, traevasi dietro la lunga sua lancia, e se ne veniva innanzi radendo il muro del palazzo.

      Quando fu presso a quel crocchio di giovani, lo studente, osservatolo così alla sfuggita e riconosciutolo, lo chiamò per nome.

      —Ohe, Pierin da Sesto, buon'anima, dove vai tu così solo a quest'ora e per queste contrade, dove non vi suol mai bazzicare anima viva?

      Quella lunga figura stette così un momento senza parlare, poi rispose:

      —Buon dì, e buon anno, caro signore; aspetto mezzanotte, e vado così, non so io ben dove: ma sono in compagnia dei miei pensieri.

      —Non mi sembra allegra gran fatto la compagnia; ma come va coll'arte?

      —Di male in peggio, sempre un di più dell'altro, e tanto che stavo ora appunto mettendo il partito d'uscir di qui, ove non c'è più un fil d'erba, e andarmene altrove a cercar fortuna.

      —Diavolo, siam già a questo punto?

      —Sono tre mesi, caro signore, che la miseria d'una corona non ha voluto entrarmi in saccoccia, e a quel poco che avea messo da parte lavorando con maestro Bernardino, oggi per l'appunto ho dato l'ultimo colpo, e domando io come s'ha a fare? Maestro Bernardino, se n'è andato in giù infino a Parma, chè anche lui che è lui non trovava più a far bene qui. Il curato di San Pietro all'Olmo che dilettavasi darmi ogni tanto qualche tavola a dipingere, ora non mi da più che pareri e consolazioni anche sin che ne voglio; ma dice che per adesso non ha altro a comandarmi, che i Francesi son qui alle coste, e i proventi dell'orto e della vigna quest'anno andranno in bocca al diavolo. Il conte Beroaldo e il Gabaloita marchese, che mi aveano comandato facessi loro qualche bel nudo, sono andati in villa, e chi n'ha toccato n'ha toccato. Dunque vedete a che mal termine son io, e se a Sesto non avessi mia madre, che è ben vecchia, il mio partito l'avrei già preso. Ma come si fa?…

      A tali parole si volse a lui quello tra i socii che sappiamo non aver molto ben nette le sue partite coi creditori, e:

      —Amico, gli disse, dammi la mano e ringrazia Iddio, che se le tue saccoccie non hanno peso, pure c'è qualcheduno


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