Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana. Giuseppe Rovani

Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana - Giuseppe Rovani


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io la seconda che vedo te… Vi fu un tal giorno, amico mio, che in Milano, due uomini erano infelicissimi forse del pari…tu eri uno di questi, io l'altro…. Correva il 12 e si era ai 30 di marzo…. Leggo già nella tua faccia che tu non hai dimenticato quel dì…. Ma io pure lo tengo a memoria. I trombetti de' mercanti annunziavano il sequestro di tutto quanto avevi al mondo, intanto ch'io vagolava per la città senza casa e senza mezzi, cacciato, disperato. Non ho vergogna a dirlo, no, tu allora non hai veduto me, avevi altro a pensare…ma io ti ho veduto bensì e ti ho compianto… Peccato che quanto hai tu adesso sul nudo palmo, tanto io possedessi allora, che forse non avresti avuto a sentire il duro rifiuto di quell'uomo spietato del conte Ferrandi.

      A questo nome, sulla faccia del fallito si stese un nuvolo ancor più nero de' soliti, poi soggiunse:

      —Signore, non mi state a parlare di colui, solo a nominarmelo mi si guasta il sangue… Trattavasi della mia vita, caro signore, della vita de' miei figliuoli si trattava, e colui mi ricusò allora quanto è solito a spendere in un voluttuoso quarto d'ora.

      —E permise che tu, uomo onorato, fossi posto tre volte sull'odiosa pietra. Vedi che la tua storia io la so, ma allora m'accorsi ch'era la prosperità quella che teneva chiuso il cuore di quell'uomo, e ch'io sentiva pietà della tua miseria, perch'io era miserabile al pari di te; benedetta la miseria dunque, benedetta la sventura se tanto può; e benedetta la sorte che t'ha condotto da me in questo momento.

      Qui fermatosi a guardarlo attentamente:

      —Tre anni fa, soggiunse, brillava la salute sul tuo volto giovanile, ed ora tu non sembri più quello. So cosa vuol dire, ma a tutto c'è rimedio a questo mondo, e quando tornerai a casa, dirai a tua moglie e ai tuoi figli, che bollirà ancora del buon brodo nella loro pentola. Domani per altro anche tu sarai dei nostri, e comunque sia per esser di noi, alla tua famiglia sarà provveduto in ogni modo.

      A queste parole la faccia burbera e sconvolta di quell'uomo s'era venuta a poco a poco spianando, e il suo occhio bilioso e come iterico era divenuto rosso empiendosi di lagrime.

      Durò il silenzio per qualche tempo. A un tratto il Palavicino si staccò da lui, e girò lo sguardo fra tutti coloro che lo stavano a guardare attoniti essi pure e oltremisura commossi.

      —Ora, quel che ho detto a questo amico mio carissimo, io dico anche a voi tutti. Ho potuto accorgermi che in fondo voi amate il bene del vostro paese, e i suoi nemici sono pure anche i vostri, e se per rimediare alle miserie, v'inducevate ad unirvi con esso loro e a tradire voi stessi, facevate tuttavia uno sforzo faticosissimo dell'animo, e colle belle parole e le celie e le risa che non bastavano a togliervi l'amaro in bocca era inutile il vostro tentativo di far tacere il pungolo segreto. Ora ditemi con libertà quel che vi abbisogna ad uscire di travaglio, ch'io confido di potervi benissimo soddisfare, e mi chiamo anzi fortunato ch'io sia quel tale che v'aiuti in quest'occasione. Del resto, se domani vi dà l'animo d'affrontar pericoli, vogliate uscire con me al campo, ma in difesa degli Sforza nostri signori, e contro Francia sino alla morte.

      —A te poi, e si volse allo studente, io non ho nulla a dirti; a te è concesso far quello che più ti aggrada, nè io vorrò spendere neppure una parola sola a consigliarti quel che sarebbe il meglio. Se costoro, e additava gli altri che gli stavano d'intorno, fosser mai stati colpevoli anche di un delitto, comprendi tu, anche d'un delitto, sapendo bene da che duro persuasore eran stati sospinti, ben volontieri io avrei loro gettato un panno perchè tosto coprissero il marchio vergognoso, e tosto pensassero all'emenda, e in ogni modo io li avrei aiutati come avrei saputo meglio. Ma tu…tu non devi far altro che uscire e unirti alla Francia, che già non sarai quel tale che faccia il suo vantaggio. Esci dunque, e va pure, che sarai sempre la disperazione de' tuoi, che vorrebbero far di te un onest'uomo, e lo zimbello di coloro a cui tu pretendi di venire in aiuto. E in quanto alla patria; è assai meglio ch'ella ti perda, anzichè ti trovi. Lo ha detto il senno di quest'uomo, (e battè la spalla del giovane indebitato che se ne stava a bocca aperta), la tua testa è leggiera come la penna d'una gallina.

      Il giovane studente, la cui natura era stata viziata dalla soverchia indulgenza della madre, della zia e dell'avolo, nè mai aveva sentito un sol rimprovero in vita sua, fu scosso da quelle dure e beffarde parole del Palavicino; fu quella la prima volta che si senti fortemente conturbato nell'animo dallo sdegno e dalla vergogna, fu una rivelazione di cose che gli erano al tutto ignote, e fu così potente rivelazione, che la sua faccia, abitualmente giovanile, si rialzò tutta stravolta e infocata per lo degno, e:

      —Giacchè me lo dite, tosto uscirò di qui, rispose, ma vi rivedrò domani, in ogni modo vi rivedrò. Voi mi direte il numero de' baroni francesi che avrete uccisi… Io vi dirò i miei…faremo la somma. Ciò detto, senza attender altro, volse le spalle al marchese e partì di furia.

      Il Palavicino sorrise a quelle parole e a quello sdegno, poi, come fu uscito:

      —Non avrei creduto, disse, ch'egli si tenesse nascosto tanto fuoco.

       Basta, vedremo.

      E stato qualche poco sopra di sè:

      —Ora spacciamoci, soggiunse; noi dobbiamo stassera aggiustare i nostri conti, e la notte si fa alta. Compiacetevi dunque di seguirmi.

      Lo seguirono infatti in un suo gabinetto dove rimasero con lui una mezz'ora buonamente. Quando uscirono, le loro fronti raggiavano di un contento certamente straordinario, perchè qualche cosa d'insolito pesava nelle loro saccocce. Allora il Palavicino li accompagnò fin sul pianerottolo dello scalone stringendo la mano a ciascheduno, e ripetendo spesso quasi per abitudine:—Domani all'alba alla porta del castello,—diede loro la buona notte, e si ritirò intanto che quei dieci giovani, a saltellone, discesero per la gran scala del palazzo.

      Alcuni momenti prima il tetro bisogno loro aveva fatto sentire che per rifarsi, non c'era altro mezzo che d'accostarsi alla Francia, e quantunque conoscessero assai bene la turpitudine di quel disegno, la miseria, ingegnosissima, aveva popolato la loro mente di un così gran numero di sofismi, che essi, studiandosi ad esagerare il bene che Francesco avrebbe fatto alla Lombardia, avevano trovato il modo di conciliare il proprio vantaggio con quello del loro paese, talchè prima di trovarsi innanzi al Palavicino, erano riusciti a convincersi bastantemente che il loro disegno aveva la sua parte di generosità.

      Ora, come fu tolta la causa che aveva generato que' torti ragionamenti, subito anche questi si dileguarono; tosto che la miseria ebbe cessato di preoccuparli, parve a loro di una schifosa bassezza il partito a cui si erano appigliati, e ragionando tra loro, e vergognando, non facevano che benedire la liberalità del giovane Palavicino, e a profferirgli, per rimeritarlo, anche la propria loro vita, se mai fosse venuta l'occasione.

      Il Palavicino intanto, ritrattosi nella sua camera, ripensando a quella strana combinazione per cui aveva potuto guadagnare dieci uomini alla causa degli Sforza e della Lombardia sottraendoli alla miseria, egli se ne godeva in sè stesso assai più che i beneficati medesimi.

      La voluttà dei riabilitare un'esistenza coi tempestivi soccorsi, di ritornare la tranquillità nell'animo di chi già disperava di tutto, è la suprema di cui gli uomini possono godere, è quasi una seconda creazione.

      Ma per goderne occorrono troppo rare e squisite qualità di cuore e d'ingegno, e un simile fenomeno si riduce ad esser cosa così fuori delle regole e delle abitudini più consuete, che noi temiamo possa mai venir messa in dubbio la liberalità dei giovane Palavicino, e, ciò che sarebbe ancor peggio, tacciata di pazzia e multata di ridicolo.

       Indice

      Non faceva ancora la prim'alba, ed era un cielo terso e lucentissimo del mese di settembre. Il silenzio della notte continuava tuttavia, quel silenzio particolare interrotto spesso da un vasto fremito generato o dal passaggio di venti improvvisi, o dallo stormire di estese masse d'alberi, o da rumori lontani, che prolungandosi di luogo in luogo, vanno a spirare nei recinti delle case.

      Nella contrada di S. Erasmo, spopolata e silenziosa anche a di chiaro, non era indizio che abitasse anima


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