Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana. Giuseppe Rovani

Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana - Giuseppe Rovani


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la deve sposare è già qui. Egli è dunque anche per questo, anzi per questo particolarmente che sono venuta da te stamattina.

      Il Manfredo, a tali parole, non fece un movimento, soltanto guardava in viso a sua madre, attonito, soltanto le labbra gli tremavano visibilmente.

      —Ella mi raccontò in fretta ogni cosa, chè il tempo le mancava, e tremava di paura. Mi disse che sperava nel tuo aiuto, che sola, non gli basta l'animo a nulla, e teme il padre. Vedi dunque che il bisogno stringe, e che si vuole soccorrerla. Quando mi disse chi era l'uomo che ha da sposarla, io temetti volesse morirmi tra le braccia, tanto le fa orrore quel tetro uomo del Buglione.

      A questo nome parve che al giovane si scomponessero le fattezze in un tratto, pure continuava a guardar la madre con occhi spaventati e mille parole gli vennero in furia sul labbro, ma il labbro gli balbutì e gli fu impossibile di parlare. Pareva come oppresso da qualche cosa che avesse chiusa dentro di sè, e volesse prorompere con violenza e non trovasse la via…. scoppiò finalmente quasi in un grido…. e si cacciò ambidue le mani fra i capegli, con quell'atto disperato che fa l'uomo quando gli entra l'orribile persuasione che per lui non v'è più scampo.

      La madre intanto lo guardava spaventata, e giacchè prima d'entrargli in camera aveva pensato non manifestargli subito quella trista novella, e solo l'aveva fatto quando s'accorse che in altro modo non le sarebbe riuscito vincere la sua ostinazione e trattenerlo in città, ora quasi se ne pentiva, ed era tutta contristata, e pensava al miglior modo di placare quell'ira e quel dolore…. ma quel dolore proruppe:

      —Dunque è vero, uscì a dire Manfredo con un accento in cui l'ira sentivasi già soverchiata dall'accoramento, dalla tenerezza, da quell'affanno che ha bisogno di stemprarsi in lagrime…. è dunque vero che l'uomo osceno s'è ancora aggrappato all'orlo del suo sepolcro e n'è uscito vivo, ancor vivo…. per la rovina mia…. per la disperazione di quella povera sfortunata fanciulla…

      E passeggiava a gran passi prendendosi le vesti, contorcendosi le mani, mandando gemiti interrotti, come se un acuto, insopportabile tormento gli serpeggiasse nelle carni, non gli concedesse requie. La madre allora gli si accostò, e con una grazia sollecita e piena d'affetto gli pose una mano sulla spalla:

      —Manfredo, disse poi, le cose non sono al punto che tu debba disperarti così…. non v'è nulla ancora di perduto,… io venni ad avvisarti di ciò appunto, perchè spero, perchè voglio veder felici te e quella povera fanciulla…. e in ogni modo, io farò quello che a nessuno non darà mai l'animo di fare…. spera….

      Il giovane si fermò, tutto commosso di gratitudine e tenerezza, e a quelle provvide parole, lo spasimo che gli era derivato da un'orribile certezza, tornò a stemprarsi nelle oscillazioni del desiderio e della speranza.

      Cessò l'ira, cessò l'orrore; solo rimase l'affetto per sua madre e per la fanciulla, il quale ora appunto ch'era nato quell'ostacolo crebbe a tal punto, che la stessa tenerezza gli generò un altro spasimo, e tanto trasporto lo prese, che fu per gettarsi ad abbracciar le ginocchia di sua madre. I suoi caldi pensieri volavano allora dalla madre alla fanciulla con una vicenda fervorosa e continua.

      E qui cominciò a non ricordarsi più nè dello Sforza, nè dei Francesi, nè della battaglia. Altro non vedeva innanzi a sè che quelle due care donne.

      La madre che lo teneva abbracciato, standogli tanto in sul cuore che non uscisse al campo, e ancora dubitando, dopo qualche momento:

      —E così, gli domandò, possiamo sperare che tu ci esaudisca? vorrai tu finalmente rimandar consolate me e quella fanciulla infelice?

      Il giovane si scosse, fece un volto compunto: l'impeto di una passione inestimabile gli mise le parole sulle labbra.

      —Oh non partirò, non partirò. State tranquilla, non partirò…. voi…. lascierete finalmente, e per sempre, quella infame casa dove vi si fanno patire le angosce dell'inferno. Abbandonerete il rigido inflessibile vecchio, e verrete con me…. e con quella sventurata fanciulla.

      E alzando a gradi a gradi la voce come l'eccitava la commozione:

      —Oh non speri d'averla, il Baglione. Rimanga nella sua dura e superba solitudine il padre, la fanciulla verrà con me, con me e con voi. Ce ne andremo insieme una volta, e per sempre, dove migliori destini ci guideranno. Io, lo giuro per l'anima mia, io non ho altri al mondo che voi due sole, e piuttosto che abbandonarvi, non so quel che farei, povere donne mie, non lo so!

      Così dicendo, come spossato da quel convulso anfanamento, si gettò a sedere prendendo la mano di sua madre a farsela seder vicina, e appoggiandosi a lei e abbracciandola, per effetto dell'immaginazione infervorata dall'amore, gli pareva, sotto a quell'abbraccio di sentire e toccare anche la soave figura della Ginevra.

      E, cosa strana e incredibile, quello zelo così costante in lui per le cose della città sua, per la causa degli Sforza, il cui vantaggio aveva sempre desiderato colla foga d'una passione, furono in quel punto rintuzzati e vinti da quella tenerezza casalinga, la quale or sembrava a lui la più desiderabile, la più santa fra tutte le umane cose, ed era maravigliato anch'esso che tutto il resto gli sembrasse ora così vacuo, e peggio; e incontrandosi coi pensieri, che scorrevano rapidissimi, in quella floscia ed effemminata figura del duca Massimiliano, non gli parve più cotanto sprezzabile, ed ora che il Baglione era venuto a rompere duramente la pace sua, vide che in quelle ingenui gioie di famiglia, in quelle pure corrispondenze d'amore e di pace, c'era una voluttà ed un incanto potentissimi a legare una volontà per sempre.

      La madre intanto, ch'era venuta lì così conturbata, così priva di speranze, e adesso udiva quelle proteste e quelle parole piene di un amore così sviscerato, e tenevasi tanto sicura che il figlio suo non sarebbe già uscito al campo, quasi non ricordandosi più di che nuovo dolore era egli afflitto, godeva in quel momento di una gioia piena ed intera, e scorrendo col pensiero tutta la sua vita, non vi trovava un istante così felice come questo, e abbandonando la mano in quella del caro suo figlio, lasciava che la mente vagasse in una dolce contemplazione.

      In quel punto, impallidendo affatto la fiamma della lampada che ardeva ancora sulla tavola, entrava nella camera da una finestrella su in alto, lasciata aperta, il primo raggio dell'alba a piovere una mesta luce su quel quadro attraente di matronale bellezza, di bellezza giovanile, su quel gruppo appassionato del più sviscerato amor materno, della più gentile venerazione figliale.

      Ma in quel punto medesimo, per l'ampio silenzio non mai interrotto prima, s'udì, trasportato dall'aria, un suono grave e profondo di tocchi accelerati e continui…. dan dan dan dan dan…. campana a martello in duomo; poi di lì a poco, più libero, più aereo, più maestoso, un altro suono in quella cadenza medesima…. dan dan dan dan dan…. campana a martello a S. Ambrogio. Quindi gli stessi tocchi a S. Marco, ai monasteri, al'Annunziata; finalmente un martellamento generale di tutte le campane delle chiese di Milano, un vasto frastuono, un agitarsi in turbine sonoro di tutte le onde dell'aria.

      Era l'avviso che davasi a que' cittadini che avesser voluto prender l'armi in quel dì ed aggregarsi alla numerosa truppa degli Svizzeri che a momenti dovevano uscir dal castello.

      Il volto del Palavicino diventò rosso infuocato come bragia, poi quasi nel medesimo tempo, pallido, inferriato come la faccia d'un cadavere. La mano, con cui teneva stretta quella di sua madre gli tremò quasi per repentina paralisi.

      Che accadeva in quel momento nell'anima sua? con che ordine fatale gli si disposero improvvisamente nel pensiero gli Sforza, i Francesi, la battaglia, le promesse, il dovere, i concittadini, i colleghi che l'aspettavano, i dieci di cui la sera prima era riuscito a cambiare i propositi, le proteste di amore, le promesse di rimanere fatte alla madre, della quale teneva la mano ancor stretta nella propria, la sua Ginevra, le preghiere di lei, il grave pericolo che le sovrastava.

      E allora, quasi sentisse una fitta, una doglia acuta un tormento fisico, mandò, senza volerlo, senza nemmeno avvedersene, un'esclamazione così angosciosa, così disperata, che sua madre ne trasalì.

      In quella, avendo rimbombato per tutta la città lo sparo delle artiglierie del castello, il Palavicino balzò in piedi con quella rapidità che ha una molla che scatta, si volse, s'accostò alla tavola, prese,


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