Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana. Giuseppe Rovani
averne quanti ne hai tu adesso.
—Non vi capisco bene, caro signore, ma dovrebbero esser debiti i vostri….
—Dovrebbero…. Tu dunque cercavi compassione ed hai trovato invidia, ma ora volevo dirti, che se Dio manda i malanni, manda anche le inspirazioni buone, ed è la tua fortuna appunto che t'ha fatto passare per di qui stassera. Ed ora vedrò se posso darti un tal parere, quale il tuo curato non ti avrebbe mai dato in mille anni.
—Io v'ascolto tutto pieno di speranze, caro signore, e dite pure.
—Vedi tu in quanti siam qui?
—Lo vedo benissimo.
—Siamo in dieci.
—È un bel numero.
—Tutti assai giovani, tutti benissimo in gambe, e tutti, se pure non vuoi fare eccezione di questo bel giovane (e batteva la spalla dello studente), al quale l'esser grande e grosso e pasciuto come una vacca spagnuola, non impedisce d'essere poi leggero come una penna di gallina; tutti, dicevo, gettati sgarbatamente dalla fortuna in mezzo al mondo, felici e protetti come i ronzini del procaccia, o come i botoli stizzosi di Bologna, a cui, ne' dì della canicola, si fa quel trattamento che tu sai; galantuomini tutti ai quali è assai ben nota la parrocchia ove si è stati battezzati, ma se in sajo o in cappa ci corrà la morte, e quale de' quattro venti si porterà la polvere de' nostri dieci carcami, è quanto sta ancora nascosto in un fitto bujo che fa perdere l'allegria; tutta gente inoltre che vorrebbe esser qualcosa di ben considerabile al mondo, ma che, fino ad oggi almanco, è qualche cosa assai meno di niente, e non si può dire non siasi data attorno con fatica cocente, che, per la pura verità, ne sentiamo ancora i trasudori alla camiscia. Ma tu sai la storia de' quattro apostoli in marmo di Viggiù che il Calzago scultore donò al comune di Milano; sai che son corsi sei anni buonamente, e a quelle quattro statue la compagnia del Breghetto non ha ancora saputo trovare una nicchia, che non par vero; e intanto son là in piazza e su d'esse piove, tira vento, nevica e tempesta, senza l'incerto di una quantità considerevole di sassate, tanto che a quest'ora non han più nemmanco il naso. Ebbene: guardaci ora noi, amico dell'anima mia, guardaci e piangi a caldissime lagrime di pietà, che noi siam veramente il ritratto al vivo di que' poveri apostoli e non abbiamo la fortuna d'esser di sasso… Larghe spalle però, grossa pelle e coraggio, il buon Dio non ci lasciò mancare; stamattina poi la provvidenza ha fatto capolino, e così in barlume e a mezza bocca ci ha insegnata la via maestra. Senza por tempo in mezzo, noi siam dunque in volta pel campo francese a cercar fortuna.
—Pel campo francese?
—Così è, amico, e penso adesso che tu potresti fare il medesimo e venire con noi. Di giorno menar le mani a buona guerra come gli altri; di notte, a chiaro di lampione, ritrarre col rossetto in carta le faccie lustre e violette de' caporali ubbriachi. La sorte che a te si para innanzi è tale da perderci la testa dietro al solo pensarci, e considera che que' baroni francesi han gigliati e fiorini d'oro a staia e non la guardan pel sottile, e c'è anche il re che vuole un gran bene all'arte. Soldato dunque e pittore, sbrigati presto e vieni con noi.
—Quel che mi dite, mi persuade moltissimo, caro signore, e son tutto tentato di venire con esso voi senz'altro; ben è vero che se resto sul campo….
Qui la gioia che le parole del nuovo amico gli avevano messo in cuore al primo, fu tosto annuvolata da un pensiero, onde soggiunse:
—Mia madre per altro non ha altri che me al mondo, e s'io non gliene mando, vedete bene….
—Aiutati che Dio ti aiuterà, Pierin da Sesto, e vieni con noi, così in poco tempo ne avrai messi insieme abbastanza da sostentare la madre per tutta la sua vita.
—Ebbene, andiamo s'ell'è così, rispose.
Ma qui un altro pensiero gli si attraversò improvviso, e disse:
—È dunque al campo francese dove dobbiamo andar noi?…
—Dove vorresti tu? Diavolo…..Ma cosa pensi?
—Non penso nulla….ma, dico, come la facciamo col dovere e coll'onore?
—Tu dici delle sciocchezze, Pierino; di che onore intendi tu?… Hai tu detto il vero che ora sei secco affatto, e che tua madre aspetta? Amico caro, credilo a me, che avrà un bell'aspettare la vecchia finchè tu resti qui.
—Sia dunque come volete allora, disse il pittore risoluto, io sono con voi.
Tutti si tolsero di lì.
Allorquando eran questi ancora nel massimo caldo della disputa, il Palavicino, che ne aveva compreso quanto bastava, tutto agitato da quel suo zelo ardentissimo pel paese e per gli Sforza, tentato, chi sa, da che inspirazione, trasse il campanello e chiamò il servo.
Come questo si trovò nella camera, le voci dei giovani si udivano ancora nella contrada abbastanza alte, e in ultimo quella di Pierino da Sesto.
—Odi tu costoro? disse Manfredo al servo.
—Li odo benissimo.
—Senti questa voce? è quella del pittore Pierin da Sesto, che tu devi conoscere.
—Lo conosco di fatto.
—Fammi dunque un piacere; va abbasso… aspetta… sento che si allontanan già. Spicciati presto dunque, e va sui loro passi. Di' al pittore che lo saluto, che ho bisogno di parlargli, che ne ho grandissimo bisogno, e tosto. Va, e fa presto.
—Vo subito.
—Senti; avresti a tentare, se mai ti venisse atta una cosa; parlargli così alto che t'abbiano ad udire anche i suoi compagni…. e se fosse mai possibile…. di' insomma a tutti quanti che li attendo qui, che vengano liberamente, e che…. conduci insomma le cose in modo che non abbiano a rifiutarsi. Va, e fa presto.
Il servo parti.
Quando i giovani furon al canto della contrada e stavan già per isvoltarlo, odono una voce:
—Messer Pietro.
Tutti si volsero, e il pittore per il primo.
—Il signor marchese vuol parlarvi, messer Pietro, continuava quella voce, e v'aspetta su in camera.
—Il marchese?…. Oh sei tu? soggiunse poi il pittore a un tratto come riconoscendo il servo. Come sta il marchese?
—Sta bene e vuol parlarvi; venite presto che non ci vorrà gran tempo. Anche loro signori possono benissimo entrare, che il marchese li conosce, e avrebbe bisogno dir qualche parola anche a loro.
—A noi? dissero ad una voce.
—Questo non può essere che uno sbaglio.
—Non è uno sbaglio altrimenti, vengano con me, che siamo a dieci passi dalla casa, ed è cosa subito fatta.
Tutti si guardavano in viso molto perplessi.
—Come mai, entrò a dire uno di loro, il marchese può aver bisogno di noi? e soggiunse poi subito rivolto al servo:
—S'ella è una qualche burla che tu ci voglia fare, ti avverto che sarebbe in malissimo punto. Ben è vero che so chi è il marchese, e lui mi risponderebbe di te. E così, disse poi a' compagni, volete o non volete? Non ci bisognerà più d'un quarticello d'ora, e non è gran perdita.
—Andiamo! via….ci vuol tanto?…soggiunsero tutti in una volta a quelle parole, e senza più si accompagnarono al servo. Per dir vero, la curiosità fu quella che più che altro li spinse fortemente a seguire i passi del servo del Palavicino, d'altra parte poi non v'era nessuna cagione che li potesse far timorosi dell'accostarsi al marchese.
Così quei dieci giovani furono introdotti dal servo, l'uno dopo l'altro, in una gran sala del palazzo. Colà vennero per disgrazia ad essere rischiarati da una sfacciata luce di molte candele di cera gialla che malissimo li raccomandava all'occhio dello spettatore e per minuto potevasi analizzare la fisionomia, il carattere, l'atteggiamento, l'abito di ciascheduno. Il nostro Pierino da Sesto, alto, asciutto, magrissimo, spiccava assai bene in mezzo a tutti; sulla