Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana. Giuseppe Rovani

Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana - Giuseppe Rovani


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dal color scialbo, al quale aggiungevano una tinta ancor più patetica certe chiome castagne folte e scomposte che fuori del berretto gli cadevano in disordine sulle spalle. La scintilla dell'ingegno che di quando in quando non poteva a meno di farsi vedere e di brillare nell'occhio, era quasi sempre velata e soffusa di languore dalla miseria; e del resto, a primo colpo d'occhio, guardando quella lunga e magra figura, non si durava fatica a comprendere ch'era un'esistenza sostenuta a puro pane e latte.

      Presso a lui quel giovane così esorbitantemente indebitato il quale, per contrapposto, mostrava sul volto i segni di una floridezza, non dirò verginale, ma generata bensì dall'assidua consuetudine di mangiar bene e bever meglio, la quale però era tutto a scapito delle vesti, talmente cenciose, talmente in mal essere, che la palandrana grattugiata del pittore veniva a guadagnare moltissimo nel confronto. Vicino all'uno e all'altro quel povero padre di famiglia che dopo la terribile peripezia d'aver sculacciata la pietra de mercanti, per tentativi che avesse fatti, non gli era mai riuscito di rifarsi un momento, aveva i cenci dell'uno, e la tinta lugubre dell'altro, con due sopraccigli irsuti in aggiunta che celavano a mezzo le pupille, le quali movevano lente e gravi su d'un bianco reticolato di vene sanguigne e sparso di colori biliosi. Gli altri tutti poi partecipavano un po' del pittore, un po' dell'indebitato, un po' del fallito, miscuglio di pallidume prodotto da astinenze involontarie, di colori vivaci generati da intemperanze di contrabbando, di cenci larvati da fogge signorili, miscuglio d'avvilimento, di sfrontatezza, d'abbattimento, di coraggio. E a produrre un contrasto di tinte certamente soverchio, il volto gioviale, fresco, paffuto, lucido dello studente, le cui membra assai ben disposte e divinamente pasciute erano coperte da un abito molto alla foggia in cui la ricchezza andava di pari passo coll'eleganza.

      Allorchè il Palavicino entrò nella sala, quei dieci galantuomini che non sapevano veramente quel che si volesse, stettero aspettando in silenzio ch'egli parlasse per il primo; intanto erano pure entrati nella sala due camerieri con guastade di vino e tazze e calici, e quando ad un ordine del loro padrone si mossero portando in giro i bacili fra coloro che non sapevano trovar la ragione di tutte quelle gentilezze, il Palavicino prese finalmente a parlare:

      —Ho a domandarvi scusa di una cosa, amici cari, cominciò a dire.

      Tutti si misero in attenzione.

      —Stando nella mia camera ho ascoltato assai bene tutte le vostre parole e tutti i vostri disegni. Egli è vero però che la colpa non è già tutta mia, perchè le vostre voci erano così estremamente sonore, che v'avrei udito anche all'altezza della torre. Avendo dunque avuto sentore che intendete porvi in cammino stanotte medesima, non sarà mai vero, dissi fra me, che costoro abbiano ad uscire di città senza ristorarsi con qualche cordiale; però, dal momento che mi avete onorato dei vostri segreti, spero che mi perdonerete se vi ho fatto chiamar su e che vorrete onorarmi assaggiando il mio vino.

      Tutti si guardarono in faccia maravigliati; il Palavicino allora fece due passi innanzi, e si piantò in faccia a Pierin da Sesto, il quale se ne stava immobile e alquanto impacciato:

      —Dunque hai risoluto d'andartene anche tu, gli disse poi con un accento pieno d'affabilità e di dolcezza; non so che dirti, le cose qui ti vanno fieramente alla peggio, e col danno della tua città, ti potrai rifare assai bene. Io non posso che lodarti.

      Qui fece una pausa, poi soggiunse:

      —Egli è gran tempo, amico, ch'io ti conosco… Qualche anno fa, trovandomi a caso col Luino, e il discorso essendo caduto su te, me ne disse cose grandissime quel bravo maestro, e mostrandomi alcune tele che tu eri venuto lavorando, mi assicurava che Iddio t'avea dato così mirabile ingegno, che il divino Raffaello forse avrebbe avuto un grand'emulo a questi dì. Sia dunque benedetta la donna che ti ha partorito. Pure avrei a dirti qualche cosa….

      Qui fece una seconda pausa, e ricominciò poi così:

      —Passerà un secolo, caro mio, più di uno ne passerà, e Dio sa quanti, l'un dopo l'altro, e le tue tavole avran prezzo sempre maggiore in ragione di tempo. Coloro poi che vivranno in quelle remote età, osservando i prodigi del tuo pennello, non finiranno di fare le meraviglie; questo è certissimo. Tuttavia la lode non verrà affatto sola. Peccato, dirà taluno, che a tanto ingegno venisse compagna così turpe viltà, giacchè avete a sapere che costui ha preso l'armi al danno del proprio paese; e forse colui che parlerà di tal modo, colto da un impeto d'ira, sarà tentato di rompere e distruggere il lavoro del mirabile pennello dicendo: non è giustizia che di costui ancora si perpetui l'infame memoria. Credilo a me, Pierino, anche questo potrà darsi…. Tuttavia bevi e ti prepara al viaggio.

      Il pittore chinò la testa, avvilito e costernato, senza sapere cosa rispondere; ma il fallito che gli stava presso e ch'era uomo facilmente irritabile, e portava un astio cordiale a tutti coloro che godevano d'una certa prosperità, a quelle parole del Palavicino che gli parvero stranissime, si diede a passeggiare per la sala con poca soggezione e meno rispetto, e parlando ad alta voce come se discorresse tra sè, con un certo suo fare beffardo insieme e iracondo:

      —Parla bene costui, diceva. Io vedo qui arazzi d'alto liccio, stupendi scrigni e tavolieri e ripostigli d'ebano intarsiati d'agate e lapislazzoli che è una maraviglia, sgabelli di quercia intagliati in oro con cuscini di velluto d'Utrec, nè si sbaglia a dire, che questi tappeti sono delle fabbriche migliori di Aquisgrana e d'Osnaburgo; me ne intendo benissimo io. E se adesso fosse inverno, su per la cappa di quel camino così ben ornato di puttini e fogliami, e così zeppo di stemmi araldici, crepiterebbe l'acuta e lunga lingua d'una fiamma a spandere un soave tepore per tutta la sala. Ora capisco che ha ad essere assai comodo e dilettevole il dar consigli e ammonizioni altrui quando, in cuna, la comare ci adagiò sulla mortadella, e penso che a me pure fioccherebbero i buoni pareri dalla bocca facili e abbondanti come fontane e ruscelli in tempo di primavera. Del resto, caro signore (e qui si piantò in faccia al Palavicino), se questo povero e buon diavolo, al quale la fame non porta un rispetto al mondo, per quanto il suo ingegno sia grande, corresse a furia stanotte per la città gridando: signori e signore, ecco un quadro stupendo per due pagnotte di segala; è probabile che ad ingannare il digiuno gli toccherebbe ancora di por la testa sotto la paglia, giacchè non credo che le coltri migliori sieno le sue.

      Il pittore continuava a tacere: le parole del Palavicino lo avevan punto così al vivo e nella parte più sensibile dell'anima, che i suoi occhi si erano numiditi d'un pianto amaro.

      Il Palavicino se ne accorse, e accostandosi a lui e mettendogli le due mani sulle spalle:

      —Costui non ha parlato male, gli disse; i tuoi concittadini ebbero davvero un gran torto nel lasciarti senza lavoro tutto questo tempo; però, siccome le mie parole furono troppo acerbe, così avrei già pensato all'emenda. Qualche anno fa anch'io mi son trovato in durissima condizione, amico mio caro, e a quattrocchi ebbi anch'io a far dialoghi ben lunghi colla miseria, che mi si strinse alle costole con forti e duri argomenti, e tentò persuadermi ad azioni poco belle. Ma allora ci fu mia madre che pregò per me, e venutomi un forte aiuto mi riuscì di rimanere illibato. Ora tocca a te, amico caro, e in questo momento medesimo, te ne accerto io, la vecchia tua madre, di cui tu sei così tenero, ha fatto la sua preghiera, e l'aiuto è assai presto. Se dunque altro non cerchi che di lavorare, tu mi ritrarrai in una gran tela la battaglia che sta per succedere, e perchè l'inspirazione non manchi ed il tuo abbia ad essere un capolavoro, combatterai tu pure con me domani. Stassera intanto ti sborserò anticipatamente quanti gigliati vorrai tu, e comunque sia per esser di noi, tua madre non avrà mai più a languire.

      Il pittore stette un pezzo attonito a guardare il Palavicino, e per quella sua natura fìsica così debole ed estenuata dal disagio e dallo scarso sostentamento, essendo facilissimo alla commozione, non potè dominarsi così che non desse in lagrime. Del resto gli mancarono le parole a ringraziare il marchese.

      Ma al Palavicino si volse in vece sua alquanto calmato il bilioso fallito, e:

      —Parlate voi da senno, gli disse.

      —Perchè ne dubitate, messer Giorgio dei Nocenti?

      —Giorgio dei Nocenti…. Ma in che modo sapete voi il mio nome?

      —La storia sarebbe lunga, ti basti dunque ch'io sappia il tuo nome.

      —Perdonate,


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