Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana. Giuseppe Rovani

Manfredo Palavicino, o, I Francesi e gli Sforzeschi: Storia Italiana - Giuseppe Rovani


Скачать книгу
cominciatosi a gridare—Viva il Palavicino—da quel gruppo d'uomini che gli si era serrato intorno, poco a poco il suo nome passò per tutte le bocche che gridavano in piazza, e, prese un così esteso giro, che lo si udì gridato in via Santa Margherita, e giù giù sino al Portone.

      Ma tanto l'odio eccessivo del popolo, come l'amore eccessivo può riuscire incomodo, e se alcuni momenti prima, il giovane Palavicino, aveva ragionevolmente provato qualche timore, adesso si sentì sopraffatto da una noja mortale. La folla gli si stipava sempre più intorno, e chi gli diceva una cosa, chi l'altra, chi gli profferiva la cena, chi il letto, chi la vita; quel bevone principalmente che gli aveva fatto il piacere di stornare da lui l'ira popolare, si ricattò poscia tormentandolo incessantemente colla sua caraffa in pugno, ed essendosi intestato che propriamente dovesse bere, già al rifiuto stava per prorompere in ira; e fu ventura che, sopraffatto da un capogiro, cadde a un tratto come un corpo morto riverso su chi stavagli presso, e tosto, per la folla che rinnovavasi continuamente, spari via come un tronco di quercia trasportato da una fiumana.

      Gli evviva intanto diluviavano, e il Palavicino, tutto in trasudore, disperava oramai di più rompere la folla, e con quel maggior fervore che gli era possibile, supplicava tutti coloro che deliravan per lui a dargli il passo. Soltanto, dopo aver trascorso una mezz'ora tra le noje insopportabili di questo banco di arene, cominciò un momento a sferrarsene, ed ebbe finalmente la consolazione di poter entrare nella contrada delle Case Rotte e di mettere il cavallo ad un piccolo passo.

       Indice

      Giunto in sul canto di S. Martino in Nosigia, contrada che disparve, or farà un secolo, insieme alla chiesa di quel santo, visto il chiarore de' lumi alle finestre del palazzo del conte Mandello, amicissimo suo, pensò entrare da colui un momento, nella speranza che sarebbe esso pure nel numero dei pochi che avrebbero combattuto pei Sforza contro Francia. V'entrò dunque in fretta, e riconosciuto dai servi del conte, fu subito annunciato e messo dentro.

      Il conte a quell'ora era seduto innanzi ad una gran tavola sulla quale stavano ancora le reliquie di un lauto pranzo e una selva di guastade, di vasi, di bottiglie di vino. Si comprendeva facilmente come il conte molto si dilettasse di quest'ultimo per certi segni di un rosso carico tendente al violetto che mostrava sulle guance e sul naso. Del resto, fuori di questo indizio, che forse non poteva dare un'idea molto dignitosa di un tal personaggio, tutti i tratti del suo aspetto e della sua fisonomia erano d'una nobiltà straordinaria, e ne era non comune anche la bellezza e l'eleganza, se non che queste scomparivano spesso sotto ad una trascuratezza e cascaggine, quasi potrebbe dirsi, affettata d'atteggiamenti. Aveva certi occhi neri pieni di brio e in quel momento più lucenti ancora del solito. Gli vestivan il labbro superiore due gran baffi neri lunghi e puntuti, quantunque il costume d'allora portasse che i gentiluomini avessero a radersi compiutamente.

      Intorno alla tavola erano quattro seggiole alquanto smosse, nelle quali era manifesto che un momento prima ci dovean stare adagiate quattro persone, e gli oggetti che vi erano ancor dimenticati davano a divedere che quelle quattro persone dovevano appartenere al bel sesso. Il Palavicino, entrato in tempo per vedere a scomparir lesto lesto lo strascico d'una veste dietro una porta che subito erasi chiusa, s'era messo a sorridere guardando in faccia al conte, il quale fece in prima, a quell'atto, un volto assai significativo, poi soggiunse:

      —Potevano benissimo star qui; ma forse, all'abito scuro, t'hanno scambiato pel sagrista di San Martino, che è un santo, ed ora ci scommetto che quelle care pazze ti stanno a dar la baia; ma bisogna compatirle.

      —E anche tu sei sempre pazzo a un modo, caro conte.

      —E tu sempre savio, e al di là di quanto fa bisogno a' nostri dì.

      —La propria natura uno non può cambiarla.

      —Benissimo detto!…. Ma io vorrei sapere la cagione di questa tua visita in ora così insolita.

      —Mi rincresce che tu non l'abbia già indovinata.

      A queste parole il conte Galeazzo guardò fisso il Manfredo, e stato così come sopra pensiero:

      —Ah ah! disse; va benissimo… ora mi sovvengo! E crollando il capo e ridendo: Ma… prima però, hai da bere un bicchiere con me, chè questa è tal faccenda assai più importante di quella che tu di'. È un vino che bolle e frizza e fa il diavolo, ed è fatto apposta per guarire il dolor di capo.

      Così dicendo colmò due bicchieri, ne presentò uno al Manfredo mentre se lo faceva seder vicino, vuotò l'altro tutto d'un fiato, e continuò:

      —È già dal tredici, caro Manfredo, ch'io non prendo più arme, e al Besozzo maestro, che tien sala qui a due passi da me, non è mai riuscito in due anni, farmi prendere nè fioretto nè stocco; però non so bene s'io potrei fare il debito domani quando per caso volessi venire con voi a codesta scaramuccia.

      —Non siam più che una cinquantina, Galeazzo, ed è invero una gran vergogna! Ma se tu fossi mai per mancare, più non saprei che dire di questi tempi così scaduti.

      —Tempi scaduti certo. Ma!… non so cosa dirti. Io per me non ho polmoni che bastino a metter aria in questa vescica così vizza e screpolata, e quando un corpo è accidentato, altro che ortiche ci vogliono. E poi…. questo duca Massimiliano…

      —Lascia il duca Massimiliano… e pensa alla sola causa sforzesca e al duca di Bari, e più che tutto, a que' scomunicati braconi, che faranno il diavolo, e peggio, se mai venisse lor fatto di rimettere il piede qui.

      —Tu parli bene; ma io tengo che ci verranno senz' altro i braconi.

      Il Manfredo aggrottò le ciglia, e soggiunse:

      —Il cardinale di Sion e i suoi Svizzeri sapranno però far testa, e noi….

      —Noi?…. rispose il Mandello ridendo e crollando il capo e vuotando a metà un altro bicchiere.

      —Che vuoi tu dire?

      —Nulla voglio dire….Del resto, quando in duomo batterà campana a martello io sarò a cavallo e verrò dove voi andrete.

      —Pare però che tu non ci venga di buona voglia….

      —Perchè no?

      —Se tu sei persuaso che non possa venirne alcun utile….

      —L'utile che tu intendi….no….ma io ci verrò nullameno. Da due anni a questo dì mi si è ingrossato il sangue maladettamente….e mi dice madonna, che questo mio naso è diventato così pavonazzo, che non è cosa più soffribile ormai….Io so benissimo che è il vino d'oltrapò, il quale bisogna bene che si faccia vedere in qualche luogo, e so pure che è questa vita inerte e tediosa la causa che l'oltrapò faccia deposito. Il Chiodo, chirurgo, mi consigliava stamattina a farmi applicar le mignatte a un tal sito per tirare al basso i tristi umori, ma io ho pensato invece farmi cacciare in altro modo il sangue che mi cresce, e dare una buona scrollata a questo corpo, che un dì più dell'altro va coprendosi di lardo. Se dunque io m'acconcio a venire con voi domani al tocco della campana, ci vengo per questo appunto, nè vogliate darmene un merito al mondo voi altri patriotti.

      —Ma che sentimenti sono i tuoi, caro conte?

      —Per ora non ne ho altri; ma io ti farò capace di tutto in breve. E comincio dal domandarti a che gioverà l'aver noi menate le mani in quest'occasione, quando i quattro quinti de' gentiluomini e delle case che più contano, altro non desiderano al mondo che si rimettano le brache di Normandia e torni in voga il vino di Borgogna….

      —Che fa a noi di questi quattro quinti, se il popolo….

      —Lascia stare il popolo, che lui non c'entra in queste cose qui….E tu guardati bene dal fare il Cajo Gracco un'altra volta.

      —Che cosa vorresti dire con queste parole, Galeazzo?

      —Niente affatto; ma il Tita, cameriere, t'ha veduto a Santa Maria della Scala a ricevere


Скачать книгу