Valenzia Candiano. Giuseppe Rovani

Valenzia Candiano - Giuseppe Rovani


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così ricordo le parole dell'illustre avo mio:—La Serenissima Republica ha da guardarsi specialmente dagli uomini che portano troppo alta la fronte e troppo confidano di sè stessi.»—

      L'ottuagenario doge anche a questo punto fu per pronunciare alcuna parola in difesa di Candiano, ma non osò; qualunque atroce accusa poteva essere pronunciata impunemente in quel luogo. Una parola di scusa era sospetta, e il vecchio tacque.

      Dopo qualche tempo uno de' senatori spiegando un foglio sulla tavola:

      «L'arsenalotto Tritto,» disse, «continua a tempestarci colle sue suppliche: qui ce n'è una.»

      «Questo vecchio è veramente importuno.»

      «Bisognerebbe mandarlo allo spedale di San Lazzaro.»

      «Benissimo.»

      «Ma che cosa domanda?»

      «Che si costringa il giovane patrizio Attilio Gritti a passargli un'annua pensione.»

      «E perchè?»

      «Sapete bene che il Gritti in un momento di mal umore gettò da Rialto in canale il giovane figlio di Tritto che per caso rimase ucciso.»

      «Lo sappiamo, ma se fu il caso, il Gritti non ci ha a pensare; d'altronde è voce che sia stato a buona difesa.»

      «Dite benissimo, Barbarigo.»

      «Se mai si venisse a dare questa soddisfazione al vecchio Tritto, il popolaccio entrerebbe in troppa baldoria.»

      «Io so che ieri sera il vecchio si presentò all'ammiraglio.»

      «Che lo accolse assai benignamente e gli diede molte speranze.»

      «Ciò vuol dire che la sua borsa ci provvederà.»

      A questo punto tutti si tacquero.

      La sessione essendo presso al suo sciogliersi, si dovevano leggere i processi stesi in quella sera; la qual cosa venne fatta da uno dei consiglieri del doge. Dopo si passò alla lettura delle sentenze di prigionia e di morte; in ultimo alle sottoscrizioni.

      Quando ad un orologio a campana suonarono due ore di notte, tutti si alzarono e uscirono l'un dopo l'altro. Accompagnato il doge ne' suoi appartamenti, i sedici personaggi, passando in mezzo agli alabardieri della Republica, discesero per quella scala così nota, sulla quale rotolò la testa di Maria Faliero, chiamata la scala de' Giganti, e attraversato il cortile usciron fuori sulla piazza. Le sedici gondole che li stavano aspettando presso la riva, si videro presto prendere il largo nella laguna e sbandarsi chi per l'una chi per l'altra parte.

      Verso mezzanotte, quasi in fondo al canale della Zueca, le finestre e i balconi di un palazzo riboccavano di luce. Era quello il palazzo del senator Barbarigo. A chi guardava stando ad una delle finestre di quell'edificio si presentava una delle più pittoresche scene di Venezia. Presso alla riva erano raffermi alcuni grossi navili che colle vele spiegate ed erette al cielo proiettavano ombre giganti sulle muraglie delle case e de' palazzi; a diverse distanze molte barche pescherecce che riflettevano nelle acque la fiamma alimentata sulla tolda;—come lucciole vaganti che or brillano del lor fuoco fatuo, ora si perdono per ricomparire poi tosto allo sguardo, le gondole illuminate di fanaletti correnti e ricorrenti a miriadi sulla vasta superficie dell'onda inargentata sparsamente e chiazzata dai raggi lunari. E intanto che la vista si deliziava della fantastica scena, canti popolari che, a seconda dei soffi più o men forti del vento, or giungevano distinti all'orecchio, ora in tuoni decrescenti andavano smorendo lontano, e suoni di sistri, di chiarine, di cimbali, che insieme confusi facevano echeggiar l'aria di un romore indistinto, ma continuo.

      Agli scaglioni di quel palazzo ingombri di gran moltitudine di maschere, e d'altre persone che salivano incessantemente, eran volte le prore di quasi tutte le gondole che solcavano il canale. Giunte vicino agli scaglioni vi rigurgitavano ad onde gentiluomini e gentildonne che entravano nel palazzo.

      Alcuni della folla se ne stavano oziando intenti a quel gran concorso.

      «Stanotte pare che Venezia voglia insaccarsi intera nel palazzo del signor Barbarigo.»

      «È dalle tre ore di notte che le gondole han cominciato a gettar gente su questi scaglioni, nè pare che si vogliano rimanere.»

      «Guarda un tratto.»

      «Chi è?»

      «Chi arriva?»

      «Dà il passo presto; è l'illustrissimo signor Attilio Gritti. Dà il passo, che se mai lo toccassi col mio corpo, mi appoggerebbe tal nespola sulla testa che non mi rialzerei così presto.»

      «Lascia, ch'egli è già passato.»

      «Io non ho mai conosciuto giovane al mondo più superbo e presuntuoso di costui.»

      «Nè si comprende come lo sopporti la Serenissima Republica.»

      «Taci che ho veduto gironzare qui presso il Malumbra.»

      «Chi è il Malumbra?»

      «Giacchè non lo conosci fa di non averlo a conoscere mai.»

      «Il Malumbra è un onesto mercante. Io lo conosco benissimo.»

      «Ti consiglio però a condurre le cose in maniera ch'egli non t'abbia mai nè a comperare nè a vendere.»

      «Ciò mi riesce nuovissimo.»

      In questo mentre molte grida e voci d'acclamazione e d'applauso partirono dal punto più lontano della Zueca, là dove l'onda si svolge nel canal Somenzera; dieci o dodici fanaletti che luccicavano in quel fondo, avvisarono che molte gondole si venivano avanzando di conserva, e mano mano che venivano innanzi, si facevano più forti le grida e i battimani. A breve distanza si poterono chiaramente comprendere le parole: Viva Candiano! Viva Candiano! e di lì a poco la gondola nella quale trovavasi l'ammiraglio delle galere, fu presso alla riva. La folla che stava in sulle scalee si divise allora in due per dare il passo all'ammiraglio, rispondendo essa pure con acclamazioni e battimani alle grida che partivano dalle gondole.

      Un vecchio di alta e complessa corporatura con tôcco in testa di sciámito riccio, vestito di una zimarra di velluto pavonazzo, dalle cui aperture traspariva la sottoveste di seta color fuoco, mise il piede a terra, volgendo intorno un occhio ancor pieno di fuoco e di sicurezza. L'incedere ritto e speditissimo della persona con certe mosse repentine e piene di energia, mostravano che in quel vecchio era una forza di temperamento che sarebbe stata straordinaria anche in un giovane.

      Salutata a dritta e a sinistra la popolaglia che non rifiniva dall'applaudirgli, entrò esso pure nel palazzo Barbarigo.

      Messo il piede nelle sale dove ferveano le danze, anche colà venne accolto da un subbisso d'applausi: Viva Candiano, il vincitor de' Genovesi! V'era però un uomo in quel palazzo, al quale quelle voci d'applauso giungevano tutt'altro che gradite. Quest'uomo era il senator Barbarigo che se ne stava tutto solo su di un terrazzo, e avvolto nella sua cappa, porgeva orecchio a quelle grida, accusando di stupido entusiasmo la moltitudine che faceva tanta festa all'ammiraglio. Nel punto che stava agitando codesti pensieri, gli comparve innanzi un uomo.

      «Oh sei tu, Apostolo?»

      «Son io. Mi avete mandato a chiamare, e non ho tardato a venire.»

      «Hai fatto bene.»

      «E tanto più che mi sembrò d'aver indovinata la causa per cui mi avete fatto chiamare.»

      «La causa? e come puoi tu saperla?»

      «Questa sera nella bocca del leone furono trovate due righe che parlavano dell'ammiraglio Candiano.»

      «Come sai tu questo?»

      «Questo ed altro e, senza dubbio, più di quello che fu detto in quello scritto….»

      In questa la moltitudine che soverchiava nelle sale, venne ad occupare anche il terrazzo dove trovavansi i due interlocutori: allora il Barbarigo visto che quello non era il tempo di venire a stretti colloqui,


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