Valenzia Candiano. Giuseppe Rovani
recossi nelle sale.
Le poche parole del Malumbra aggiunsero tuttavia un'allegria insolita al senator Barbarigo, il quale era un uomo molto singolare.
Entrato nelle sale, e girato l'occhio per vedere dove fosse l'ammiraglio, gli si recò da presso, e dettegli molte cortesi e gentili parole, mostrò desiderio di far secolui una partita agli scacchi. L'ammiraglio accettò, i due vecchi uscirono.
Intanto alcuni giovani gentiluomini che attendevano, riuniti in un crocchio, a discorrere le varie avventure del dì, come è costume farsi in simili circostanze e in simili luoghi, continuavano un discorso incominciato da qualche tempo intorno all'ammiraglio Candiano.
«Oggi abbiamo applaudito al suo valore. Ma una volta si applaudiva al suo valore e alla bella sua figlia.»
«E la sua comparsa destava due grate sensazioni in una volta.»
«È vero, Steno, io la penso come tu, e la povera Valenzia quando veniva accompagnata da suo padre, a riflettere la bellissima sua figura in uno di questi specchi…. mi ricordo che ciascheduno di noi si contendeva questa leggiadra conquista.»
«Povera Valenzia!»
«Quand'io ci penso, non mi par vero.»
«Se quando venne in Venezia quel nemico di Dio, si fosse affondata la barca che lo portava, forse anche adesso quella bellissima tra le fanciulle ci rallegrerebbe la vista.»
«E in vece….»
«Non ne parliamo più.»
«E in vece colla morte di Valenzia la Serenissima Republica comprò l'alleanza dei Visconti.»
«Chi mai poteva sospettare che il figlio del Visconti dovesse chiedere in isposa la figlia dell'ammiraglio?»
«Oh parliamo di Candia; ma taciamo di questo fatto.»
«E fu strano in vero.»
«Più doloroso che strano.»
«Chi avrebbe mai creduto che la notte in cui tanto sfolgoreggiò la sua bellezza nelle sale dei Mocenigo, quella sarebbe stata l'ultima volta che noi l'avremmo veduta?»
«E fu proprio l'ultima.»
«Tre dì dopo, mi pare ancora di sentire la voce del mio gondoliere:—Questa sera a ventiquattr'ore, la signora Valenzia Candiano è passata all'altra vita.»
«E all'alba del dì prossimo doveva recarsi in San Marco dove il
Visconti l'avrebbe impalmata.»
«Pur troppo, e v'andò di fatto, ma in vece dell'alba fu a vespro, e la bara tenne luogo alla lettiga.»
«Dio sa qual effetto le produsse nell'animo il pensiero di quelle nozze.»
«L'effetto è chiaro. Ella morì.»
«E tutta Venezia ne fu sconsolata.»
«Soltanto il vecchio Candiano mostrossi impassibile a tanta sventura, e mi pare ancora vederlo fermo e ritto colla sua gigantesca figura sulle scalee di palazzo colle braccia incrocicchiate sul petto, starsi ad osservare il convoglio delle gondole mortuarie che gli passavano innanzi.»
«E Alberigo Fossano?»
«Ti ricordi di Alberigo Fossano?»
«Me ne ricordo assai bene; perchè è difficile a dimenticare il valore del suo braccio e la virtù del suo canto. D'altra parte praticava assai spesso nella casa dell'ammiraglio, e il dì che il bel corpo della Valenzia fu trasportato sulla bara, io lo vidi piangere come piange un ragazzo.»
«E dopo ch'ella fu seppellita a San Cristoforo della Pace, dove sono le tombe dei Candiano, quel giovane cavaliere non fu mai più visto in Venezia.»
Ad ascoltare questi discorsi s'era avvicinato al crocchio quell'Attilio Gritti che già abbiamo conosciuto quando metteva il piede in palazzo; e sentito parlare di Alberigo Fossano,
«Amici,» entrò a dire, «se mai vi piacesse saper la cagione del gran pianto di quel povero Lombardo, ch'io pure mi ricordo benissimo, vi dirò ch'egli ebbe la sciocchezza d'innamorarsi di Valenzia. Sì, signori, quel povero cavalieruzzo che altro non possedeva al mondo che la spada e il suo liuto, ebbe l'ardire di guardare in volto ad una figlia di San Marco. Ditemi voi se si può dare di peggio. Ma se questo mistero mi si fosse palesato prima che quel buon giovane si partisse da Venezia, io gli avrei fatto uscire del capo tanta pazzia.»
«Un duello m'imagino, com'è uso tuo.»
«E presto l'avrei mandato a ritrovare la bella Valenzia. Ma chi sa? dice il proverbio—che chi non muore si rivede,—e s'egli m'avesse a capitare tra' piedi un'altra volta vi faccio sicuri che allora farò quello che non ho ancor fatto.»
«Era voce però che la lama della sua spada fosse di durissima tempra, e che il braccio d'Alberigo non cedesse alla sua lama.»
«Spezzerò la lama e romperò il braccio. State tranquilli, amici cari, e fate soltanto ch'io possa rivederlo.»
«Ai cinque del mese passato io lo vidi a Milano.» Tutti si volsero a queste parole.
«Oh! ecco il nostro Apostolo Malumbra.»
«Quando sei ritornato?»
«Ieri, illustrissimi, sono stato a Milano; ho veduto a far prigione il Barnabò, ho guardato ben bene la faccia di quel galantuomo di suo nipote; ho sentito i lamenti de' poveri Milanesi. Del resto feci assai bene le mie faccende, ed ho portato con me alcuni bellissimi pugnaletti delle migliori fabbriche di quella città. L'illustrissimo senator Barbarigo, che si degna darmi accesso alle sue camere, ne ha comperato uno che è una vera maraviglia.»
«Domani saremo tutti da te, e cambieremo i nostri ducati co' tuoi pugnali.»
«Amici carissimi, vi faccio osservare che nell'altra sala si beve il vin di Cipro, intanto che noi ci perdiamo in queste inutili parole.»
«Bravissimo, andiamo; faremo nel frattempo una partita alla zecchinetta.»
«Viva la zecchinetta!»
«Viva il vin di Cipro!»
«Viva il senator Barbarigo che ci è largo di tante delizie!»
In una delle camere contigue, seduti ad uno scacchiere, senza pronunciare parola, attendevano al giuoco il senator Barbarigo e l'ammiraglio Candiano.
Chi avesse voluto dall'aspetto d'ambedue quei vecchi dedurre il carattere di ciascheduno, avrebbe detto non potersi dare al mondo due così manifesti contrari. I lineamenti grandiosi ed aperti del volto di Candiano davano a divedere franchezza e lealtà; là dove gli occhi piccoli e fondi del senator Barbarigo, i labbri stretti, la tinta cinericcia del volto, e in tutto il corpo un non so che di tremolo e d'irrequieto, davano a conoscere pur troppo che in quell'animo vi doveva essere qualche cosa di cupo e di tenebroso.
Per certe vecchie ruggini che erano state tra l'una e l'altra famiglia, per certe gare insorte quando cominciarono ad entrare ai servigi della Republica, sapevasi da tutta Venezia che quei due patrizi non erano gran fatto amici tra loro, e tanto più quando corse la voce avere il Barbarigo avversato a Candiano, allorchè in pieno consiglio fu preso il partito di eleggerlo ammiraglio della Serenissima. Dopo le molte vittorie però che Candiano aveva riportate a pro della Republica, e contro le quali non si poteva parlare, il Barbarigo aveva pensato bene infingersi, ed al Candiano offerse amicizia che fu accettata colla buona fede propria a tutti coloro che, essendo di rette intenzioni, non possono sospettar male d'altrui.
Però mentre l'ammiraglio se ne stava seduto rimpetto al suo coetaneo, non aveva neppure un dato per sospettare di che sorta fossero i pensieri che in quel momento ronzavano nella testa del Barbarigo, il quale, co' labbri sempre aperti ad un mezzo sorriso e con una tranquillità e pacatezza veramente senatoriale, metteva le pedine sullo scacchiere.
A sturbare l'attenzione dei due illustri giuocatori, entrarono per caso in quella camera una frotta di giovani che facevano corona all'Attilio