Valenzia Candiano. Giuseppe Rovani

Valenzia Candiano - Giuseppe Rovani


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ore. Quasi tutta la gente è dileguata dal mio palazzo, i doppieri più non brillano, ed è un'ora buonamente che tu stai qui solo ritto, immobile e cogli occhi a terra. Che cosa pensi?

      «Se nel vostro vin di Cipro,» rispose Attilio scuotendosi d'improvviso, «aveste gettato polvere d'arsenico, penso che io avrei dovuto ringraziare mille volte la mia fortuna.»

      «I morti non seppero mai vendicare le offese ricevute.»

      «Chi mi parla qui di offesa, chi ardisce ricordarmela? Senator Barbarigo, non mi traete in furore, e se vi fu taluno che in faccia a tutta Venezia osò svillaneggiarmi, svillaneggiar me che non ho mai patito sopruso da chicchefosse uomo del mondo, è tal cosa che ciascuno dovrebbe fingere di non sapere in faccia me.»

      «Un'ingiuria che dev'essere vendicata, deve essere ricordata,

       Attilio.»

      «Questo lo credo anch'io.»

      «Dunque?»

      «Dunque, io sono sì sprofondato che non vorrei mai più veder luce, nè uscire mai più fuori all'aperto: pure se mi venisse in pensiero qualche atroce modo a vendicarmi, qualche cosa di straordinario, d'inaudito, di orribile, penso che tosto lo manderei ad effetto.»

      «Lascia fare al tempo, Attilio, e a rivederci domani.»

      Queste parole di congedo furono pronunciate dal Barbarigo, quando sentì bussare alla porta della camera.

      Attilio si tolse di là, mentre entrava Apostolo Malumbra.

      Il suono de' sistri era cessato, il romore dalle sale era passato ai piedi del palazzo, e sulle gondole partivano le persone ch'erano intervenute alla festa.

      Il senator Barbarigo, chiusa allora la porta della camera a chiavistello,

      «Siamo soli,» disse al Malumbra, «ora tu puoi parlare liberamente.

       Raccontami tutto;» e si gettò a sedere su di un ampio seggiolone.

      «Prima vorrei pregare la signoria vostra illustrissima a farmi degno di dirle due parole con libertà.»

      Il senatore gli accennò che parlasse.

      «Io so che la Serenissima Republica dà trecento ducati di premio a chi sa svelarle alcuna cosa di grave importanza.»

      «E tu avrai i trecento ducati dalla Serenissima, e qualche cosa di più ti verrà dato dalla mia borsa particolare. Ti dirò poi quando tu debba presentarti innanzi al consiglio dei Dieci.»

      «Va bene, ora udrete da me tali cose che in mille anni mai non avreste imaginate le simili.»

      Erano le ultime ore della notte, le sole ore di profonda quiete in Venezia. Il vecchio Barbarigo, colla testa china e colle mani incrocicchiate sul petto, si pose ad ascoltare le parole del Malumbra.

      Siccome questi nel fare il suo racconto dovette di ragione tacere assai cose che il Barbarigo già sapeva, ma che per la chiara intelligenza del tutto, al nostro lettore deve importar di conoscere, così noi medesimi ci faremo a narrare la storia del fatto, al quale non ci sovviene d'aver trovato mai caso che rassomigli in alcuna parte; che se dessa parrà un po' strana e maravigliosa, preghiamo il lettore a non volerla poi tacciare d'inverosimile, ed a considerare in vece che ci fu tramandata da un cronista contemporaneo agli avvenimenti che imprendiamo a narrare; che appunto perchè alquanto maravigliosa, fu scelta ad argomento di queste pagine, non mettendo conto di raccontare ciò che siam usi a vedere in ogni incontro della vita comune; che l'essere il fatto straordinario, e l'esservi implicati uomini d'una tempra per certo qual modo straordinaria ci aprirà forse il campo a scoprire alcun nuovo rapporto tra le cose di questo mondo ed a svolgere qualche piega intentata dei cuore umano.

       Indice

      IL PADRE E LA FIGLIA.

      Il lettore si ricorderà delle poche parole che già sopra si sono dette intorno all'ammiraglio Candiano e ad una sua figlia chiamata Valenzia, che, incontrata una sventura per lei insopportabile, ne dovette poi morire.

      Quattro anni prima della notte a cui siamo con questo racconto, nel palazzo ducale, la metà di Venezia era intervenuta per udire un cavaliere lombardo che diceva maravigliosamente all'improvviso, e che aveva inoltre assai buon nome nell'arme. Erasi esso recato a Venezia nella sua qualità di cavaliere aureato, per accompagnare l'ambasceria del Conte di Virtù. Appena il giovane comparve nella sala, l'avvenenza della persona e il decoro de' suoi modi, come suole intervenire, cominciò a disporre così bene gli animi di tutti coloro che già avevano sentito a dire di lui tante meraviglie, che uno scoppio d'applausi, alzatisi spontaneamente da tutte le parti, fu il primo saluto che gli fu reso. Come adesso, anche allora era costume che gli uditori dessero i temi del canto, ed egli per guisa li venne svolgendo, accompagnandosi col liuto che toccava mirabilmente e spiegando una voce soave con tanta virtù e tant'arte, che l'aspettazione di tutti non solo fu appagata, ma superata di lunga mano. La maraviglia del dire all'improvviso, se tu l'accompagni coll'incanto delle noti vocali, ha tale un fascino che può facilmente mettere impressioni profonde in un cuore sensitivo. Una fanciulla che di poco aveva passato i diciassette anni, che fino a quel dì tra le cure tranquille dell'età sua s'era sempre mostrata d'una gaia e festosa natura, quando uscì di quel palazzo, e saltata nella gondola, venne ricondotta tra le donne e i servi nella sua casa, si sentì oppressa improvvisamente, e quasi che ella medesima non ne sapesse indovinare la causa, di un'arcana molestia che la faceva tutta pensosa, e non le lasciava più bene. La bella e florida giovinetta era la figlia dell'ammiraglio Candiano, che in quel tempo trovavasi colle galere sul Mediterraneo. Il volto del giovane cavaliere, il muovere degli occhi di lui, quella sua voce piena d'una mesta ed ineffabile dolcezza, per tal guisa le si erano fitte nell'animo, che per il resto della notte non potè mai liberarsi affatto affatto di quel pensiero, e provava un'agitazione, un'inquietezza, una specie di desolazione, ma di un genere particolare, e pur mista ad una fantastica ebbrezza che di quando in quando le faceva provare certi repentini soprassalti che mai non le permisero di chiuder occhio interamente. La mattina un forte pensiero, assalendola d'improvviso, le fece provare un così acuto dolore che quasi era prossimo a disperazione. Come mai la passione, in così breve giro di tempo, aveva potuto invadere il cuore di Valenzia, con tanta forza da farle venire in mente la legge inesorabile che vietava le nozze tra una figlia di San Marco ed uno che non fosse patrizio se veneto, o non fosse re o figlio di re, se straniero? Come mai codesta legge aveva potuto recarle già tanta molestia da farle maledire la sorte che l'avea fatta nascere in Venezia? Il fatto è così appunto, e all'ingenua fanciulla potè venire in mente un simile pensiero. Passarono così alcuni giorni, nè alla giovane intervenne mai cosa che potesse confortarla di qualche speranza, giacchè con accanto di continuo la severa sua governante, alla quale per nessun conto avrebbe voluto che fosse trapelato nulla di quel suo affetto, e chiusa per lo più nelle stanze del proprio appartamento, vedeva bene che era troppo difficile ch'ella venisse mai ad incontrarsi un'altra volta in quel giovane cavaliere. Per buona, o meglio per mala fortuna il caso volle secondarla troppo bene. Il suo padre Candiano, col grosso delle galere, era tornato nel porto di Venezia. L'arrivo di quell'uomo, che tanta parte aveva nelle publiche vicende, fece che per tutta Venezia si parlasse di lui, e, d'uno in altro discorso, anche dell'unica e bellissima sua figlia. In un crocchio di giovani dove soleva praticare Alberigo Fossano, che tale era il nome del cavaliere lombardo, si venne appunto a parlare della Valenzia, e tanto bene si disse rispetto alla maravigliosa avvenenza e virtù di lei, e aggiungi il prestigio dell'esser figlia a quel glorioso uomo, che ad Alberigo, così come suol prendere vaghezza ad un giovane, venne voglia di vederla. L'arrivo dell'ammiraglio Candiano a Venezia, illustre per una recente vittoria riportata contro la flottiglia pisana, fece che in que' dì ad altro non si pensasse che a feste e luminarie. Venne la volta sua anche al Candiano, che volle invitare tutta Venezia ed una gran festa nel proprio palazzo. Come è facile a credere, Alberigo vi fu invitato per dare una prova dell'arte sua, e di buon grado egli v'intervenne. Così l'avesse potuto impedire qualche caso impreveduto, che si sarebbe spezzato il filo di tante sventure che la sorte allora


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