Valenzia Candiano. Giuseppe Rovani

Valenzia Candiano - Giuseppe Rovani


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aveva stabilito uccidersi, gli conveniva dapprima prendere un partito risoluto e impedire, coll'ammazzare il Visconti, che la povera Valenzia avesse ad essere sua sposa. Così fermato, giacchè fra due settimane dovevano compiersi quegli sponsali in San Marco, stabilì mandare a compimento il suo disegno prima di quel termine, e fisso in questo passò la notte mezzo vegliando tra sogni sinistri. Ma un'altra notte lo attendeva assai più funesta di quella. Alcuni dì dopo, in sulle ventiquattro, uscito della sua casa, e recatosi in piazza San Giovanni e Paolo, incontrasi in un servo dell'ammiraglio Candiano: ambedue si fermano.

      «Dove vai così di fretta?» gli disse il Fossano.

      «Corro pel prete, messere: lasciatemi andare, che non è alcun tempo da perdere.»

      «Pel prete, hai tu detto?»

      «Dunque non sapete nulla, messere?»

      «Nulla io so.»

      «Alla signora Valenzia venne stanotte un malore di sì fiera natura che in questo breve spazio di tempo me l'ha ridotta in termine di morte.» E visto che il Fossano rimaneva impietrito a quelle parole, ma pensando più in là e stretto dal tempo, lo lasciò in mezzo della via e corse dritto in San Marco.

      Per molto tempo stette là il Fossano più stordito che altro a questo nuovo colpo. Ma poi, più non pensando alle parole di Candiano che gli avevano proibito di metter piede nel suo palazzo, senza saper bene quel che si volesse fare, volle recarsi colà. Vi giunse nel momento che il prete, accompagnato dal servo, saliva sulle scalee del palazzo.

      «Messere, siete arrivato troppo tardi,» dissero alcune voci a quel sacerdote. «Ella è passata in questo punto medesimo. Altro non vi rimane che pregare per quell'anima benedetta.»

      Il Fossano giunse in punto da potere udire con chiarezza queste parole, e il gondoliere che, scarico di pensieri, batteva il suo remo sulla placida laguna, sentì afferrarsi dalla mano tremante del Fossano che proferì, battendo i denti, queste precise parole: «Hai tu udito, ho io compreso bene?» E il suo volto si venne sfigurando di maniera che il gondoliere, maravigliato a quelle parole e a quell'atto, si ristette pensoso a riguardarlo per qualche tempo, e congetturò il vero: accompagnato di poi il giovane sino alla soglia della casa ove alloggiava, e visto che l'apparenza di lui continuava ad essere peggio sparuta che mai, lo accompagnò coll'occhio, mentre colui saliva la scala, e crollava il capo dicendo:—Dio gliela mandi buona, ma questo giovane è a malissimo partito. —E come uomo assai bonario e pietoso, visto uscire di quella casa un fante che sapeva essere al servigio del cavaliere lombardo, lo chiamò a sè raccomandandogli vegliasse bene attorno al suo padrone, il quale aveva bisogno di soccorso, e soprattutto si guardasse bene dall'abbandonarlo. E assai gli giovò quell'avviso, che il Fossano, pensando che per lui non era più a far nulla in questo mondo, aveva determinato mandare ad effetto in quella notte medesima ciò che non aveva voluto fare alcuni giorni prima. Nell'ora infatti che tutto è quieto in Venezia, uscito il Fossano della sua stanza, e visto che il servo dormiva, pensò ch'era venuto il momento opportuno, e pian piano ritornò nella sua camera. Al fante, che vegliava ad occhi chiusi, diede sospetto quella visita di Alberigo, e visto che non era tempo di starsene a giacere, pensò recarsi all'uscio della camera ove stava il padrone, e origliarvi attento. Dopo qualche momento gli parve udire a parlare. Accresce l'attenzione, ode una fervorosa preghiera, poi alcune parole senza costrutto, in fine un silenzio profondo quasi non vi fosse anima nata. Allora, come gli venne in fantasia, e fu gran ventura, bussa all'uscio, e l'uscio cede, chè, per caso, il Fossano non l'avea chiuso. Il lume era stato spento; chiama il Fossano.—Chi è qui?—Son io, non abbiate alcun timore,—gli risponde il fante.—Esci presto di qui, e va a dormire,—gli ingiunge il Fossano, ma con tanta insistenza che era facile comprendere che ci dovea esser sotto qualche cosa. E il fante uscì di fatti, ma ritornò col lume. Rientrato vide ciò che per quanti sospetti avesse, non si aspettava tuttavia di vedere. I lenzuoli del letto dove il Fossano s'era gettato a giacere, erano in una parte inzuppati di sangue.—Che cosa avete fatto!—gli grida il servo. Il Fossano si era proprio, come aveva meditato alcuni dì prima, con quell'acutissima sua daga, aperta una vena e lasciatone uscire il sangue liberamente. Vedendosi scoperto in quel modo il Fossano si rimase come avvilito, e alle domande del servo non volle rispondere mai nulla. Vergognava d'essersi lasciato cogliere; ma a toglierlo di quella vergogna fu soprappreso, pel molto sangue ch'era già uscito, da un deliquio che lo fece ricadere sul letto. Il servo non tardò a fasciargli strettamente la ferita, e sedutosi presso al capezzale e spruzzata la fronte con dell'acqua all'amato suo padrone, stette a spiarne continuamente i moti, e ad aspettare che si risentisse. Entrava già la prima luce del giorno per le finestre della stanza, quando il giovane aprì gli occhi scuotendosi dal lungo letargo; fu bisogno di molto tempo prima che potesse acquistare la chiara intelligenza delle cose. Ma finalmente con un sospiro amarissimo avvisò il servo ch'egli s'era risovvenito della lagrimevole sua situazione. Dopo una mezz'ora che il sole era sorto, trasportati dal vento sino a quel luogo, si cominciarono ad udire i lenti rintocchi della campana di San Marco. Era la campana de' morti.

      Dopo il lungo deliquio che Alberigo aveva sofferto, per la natura indebolita, le impressioni che riceveva non potevano essere di quell'impeto subitaneo che sospinge a partiti disperati, bensì di quella tristezza profonda e inesplicabile che solleva ed aiuta talvolta le angosce colle lagrime. E i rintocchi di quella campana inondandogli l'anima di una tristezza senza pari, gli fecero pensare che in quel giorno sarebbesi data la sepoltura alla povera sua Valenzia. Uno scoppio di pianto successe infatti a quel pensiero, e senza mai dire una parola, durò di questa maniera quasi tutta la giornata con gran maraviglia e compassione del servo che mai non volle abbandonarlo. Verso sera volle uscire e promesso al servo sul proprio onore, il quale rifiutavasi a lasciarlo andar fuori, che non avrebbe mai più attentato alla propria vita, e però vivesse sicuro, si recò al palazzo Grimani dove alloggiavano i legati del Conte di Virtù per avere da loro licenza di ritornarsene a Milano, ciò che facilmente potè ottenere. Appena messo il piede fuori di quel palazzo, nel punto che stava per saltare nella gondola, vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere. A un tiro di balestra del palazzo Grimani, era il palazzo dell'ammiraglio Candiano: dinanzi agli scaglioni di quello, si vedevano quattro gondole in fila, sulle quali risplendevano molti cerei che si riflettevano nell'onda. Nelle due prime erano i frati della regola che cantavano il Miserere; nelle altre uomini e donne che pregavano. Le gondole si avviarono un momento dopo giù per il canal verso San Marco. Ma ciò che fece maravigliare il Fossano, a mal grado della passione insopportabile che lo faceva tremar verga a verga e piangere, con grandissimo stupore degli astanti, fu il vedere la persona dell'ammiraglio ritta e immobile sulle scalee del suo palazzo a vedere la processione mortuaria. La folla delle gondole e delle persone che erano sul canale traendo dietro a quella, in breve tempo il canale fu deserto al tutto. Il Fossano, per ritornare al suo alloggio, doveva passare innanzi al palazzo Candiano, e confuso e addolorato com'era, lasciò che il gondoliere vogasse per là. Quando fu vicino al palazzo, l'ammiraglio che se ne stava ancora immobile sulle scalee, appena lo vide lo chiamò per nome, e accennò al gondoliere di fermarsi.

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