I suicidi di Parigi. Ferdinando Petruccelli della Gattina
sua prima entrata sul teatro attivo della vita. Mentre la giovinetta aspettava, ella va adesso ad agire. Ella presentasi sotto un'altra maschera, sotto un altro nome, in un'altra parte: riescirà?
Ella va a piantar questo problema—ed il dubbio, l'ansietà, l'agitano.
Regina sentiva tutto codesto. Ella andava a dar battaglia.
Ad ogni azzardo, ella cominciò dall'armarsi a meraviglia.
Portava una veste di crespo cilestre con un grande volant di pizzo bianco, rilevato ai lati da quattro grappoli di brughiera rosa. Il suo seno nudo si apriva sopra un mazzetto di mughetti. Alcuni rami di brughiera bianca s'innestavano nelle dense trecce dei suoi serici e lunghi capelli. Due bottoni, di un sol diamante, pendevano dalle sue orecchie rosee e sottili. Le sue spalle nude rivaleggiavano col soffice bagliore delle file di perle che serpeggiavano intorno ad un collo maravigliosamente bello. E le sue braccia bianche e rotonde impedivano di rimarcare le due girate di grosse perle che le allacciavano i polsi.
Regina era alta, flessibile, svelta come una liana. La sua vita avrebbe destato invidia in una vespa. I suoi occhi, di un nero bleu, illuminavano la sua fisionomia del più puro tipo spagnuolo della scuola di Zurbaran. Aveva una pallidezza sana, fresca come una gionchiglia, appetita e mordente, che rivelava l'equilibrio della vita, animando in modo eguale una struttura di primo ordine. Sul suo sembiante volteggiava quella calma calda e stellata delle notti di està. Le sue labbra rosse, un tantin carnute, erano un focolaio di amore, una pila voltaica di voluttà. Il naso, insensibilmente curvo, le dava un'aria fiera e degna, che imponeva rispetto ed indicava ad un tempo che, se giammai una passione agitasse il suo cuore, quella passione potrebbe diventare un uragano. I suoi piedi piccini, inarcati, elastici davano i brividi.
Quando Regina entrò nel salone, tutti gli sguardi si volsero e fermarono su di lei. In mezzo ad una folla d'inglesi—pettinate con uccelli di paradiso, azzimate di rosso e schiacciate sotto una bardatura di diamanti; in mezzo a delle matrone germaniche—caricate d'abiti di velluto verde pomo; infra Americane adornate come tabernacoli di ogni sorta d'oreficeria; d'Italiane, balenanti come iride, e di Russe splendenti di gioielli… quella giovane sì bella, sì elegantemente semplice, messa con un gusto sì squisito, di un portamento sì sereno e sicuro di sè, doveva naturalmente far senso, per la stessa bizzarria del contrasto. Regina, del resto, era di quel piccolo numero di Parigine che—adorne con la medesima aristrocratica semplicità—formavano la via lattea del ballo dall'ambasciata.
Ella divenne quindi all'istante il centro della festa. Gli inviti alla danza s'incrociavano.
Alberto Dehal, che era pur quivi, non osò neppure salutarla. Restò a contemplarla in uno stato di stupefazione estatica.
Il dottore si tenne sotto l'arco di una porta e calcolava. Ma non passò guari, e vide entrare nel salone, in faccia a lui, un signore di alta statura, il petto screziato di decorazioni, vestito da generale, ed i suoi lineamenti, i suoi capelli biondo-rossi, il suo portamento, tradendo la sua origine settentrionale.
Il dottore traversò la sala dove trovavasi Regina, e cui lo straniero traversava anch'egli lentamente, salutando questi, dicendo un motto a quegli e sbirciando tutti e tutto.
Lo straniero vide venirgli incontro il dottore e fermossi.
—Dottore—disse egli, porgendogli la mano—sono fortunato potervi annunziare pel primo che la nostra Accademia delle Scienze si è largito l'onore di nominarvi suo membro straordinario.
—Mille grazie, principe—rispose il conte di Nubo salutando. Il vostro sovrano debbe essere ben fiero di aver all'estero un rappresentante, come l'Eccellenza vostra, che recluta anime… anche per l'accademie!
—A proposito, dottore, vorreste voi permettermi di presentarvi uno dei nostri scienziati, che m'è capitato con l'ultimo corriere, e di pregarvi di piloteggiarlo un po' pel mondo della scienza?
—Sarò felice di essere ai vostri ordini, principe.
Essi parlavano così, un po' a voce alta, perchè molta gente stava loro intorno. Ma, senza cessar di parlare, il dottore aveva rinculato passo a passo nel vano di un balcone.
Quando si videro soli:
—Ebbene?—domandò il principe.
—Ella è qui.
—Quale dunque?
—La più bella del ballo.
—Sarebbe dessa la giovane che porta delle brughiere bianche tra i suoi capelli neri?
—Per l'appunto.
—Un abito cilestre con pizzi bianchi ed un mazzolino di mughetti sul seno?
—Vostra Eccellenza la dipinge.
—Dal color pallido.
—Proprio così.
Il principe, senza soggiunger sillaba, volse le spalle al dottore di
Nubo e rientrò nel salone.
Regina era circondata da una palizzata di attachés d'ambasciate di tutte le nazioni.
La contradanza finiva allora. Ella favellava con ciascuno e con tutti nel tempo stesso, indirizzando la parola in inglese all'uno, rispondendo in russo all'altro, parlando in tedesco, per mettere sulla via un Prussiano che schermeggiava di un francese a mo' di singhiozzo. Il principe di Lavandall aleggiava intorno al circolo, e, pur chiacchierando con un maresciallo, non perdeva nè una sillaba, nè un movimento di Regina.
L'orchestra dette il segnale del walzer.
Il principe ed i passeggiatori sgombrarono il salone.
Il principe incontrò il dottore in un'altra camera dove giuocavasi al whist.
—Incantevole!—disse egli.
—Una moxa!—rispose il dottore, sorridendo. Dovunque la si vorrà applicare, porterà via un lembo.
—Bisogna che io le parli.
—L'è facile.
—Non qui però.
—Vi preparo allora un'incontro ad un ballo di madama Thibault. Là, voi sarete in casa vostra.
Il principe sorrise ed uscì, dicendogli:
—Il più presto possibile.
Alle due del mattino, il dottore rapiva sua nipote dalla festa. La quale dopo la partenza di lei, sembrò oscurarsi.
Regina era fulgurante di gioia e di bellezza. La vita del ballo aveva raddoppiato la sua vita.
Otto giorni dopo, il ballo da madama Thibault aveva luogo.
X.
Ciò che si cerca e ciò che si trova.
Sergio era partito da due giorni, per non so quale inauguramento di statua di grande uomo in una città di provincia.
Madama Thibault era uno di quei misteri delle grandi città, cui si sospettano, cui si indovinano anzi, ma cui non si riesce mica spesso a spiegare.
Il solo uomo che conoscesse il totale di questo logogrifo era il dottore di Nubo, perchè egli era stato in parecchie occasioni, come per tanti altri, il suo medico, il suo confessore, il suo complice, il suo coadiutore, il suo consigliere, e chi sa se non vi ebbero pure tra loro relazioni di altra natura.
Il dottore aveva conosciuto questa donna in una circostanza terribile. Egli aveva prestato i soccorsi del suo ministero al signor Thibault, che era stato portato in casa sur una barella, ferito a morte in duello. Poi, il dottore era restato medico della giovine bella vedovina.
Il signor Thibault aveva guadagnato una fortuna considerevole nel commercio dei grani. Quella fortuna era nel suo portafogli.