I suicidi di Parigi. Ferdinando Petruccelli della Gattina

I suicidi di Parigi - Ferdinando Petruccelli della Gattina


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del Faubourg Saint-Germain.

      Il medico è un elemento neutro nella società. Egli è al suo posto dovunque, nel soffitto come alla Corte; egli à il suo libero parlare, il suo libero procedere; egli è re—egli ordina; egli è padre—e' consiglia. Nipote del dottore di Nubo, Regina andava ove il dottore voleva condurla; nipote del conte di Nubo—uno dei nomi più aristocratici in Italia—ella era al suo posto dovunque.

      Non era la medesima cosa per la signora Sergio di Linsac—quantunque contessa.

      Regina trovavasi identificata alla condizione di suo marito. Il suo posto era disegnato conseguentemente in quel medio ove l'uomo di lettere può vivere—nella sua qualità di uomo; il suo posto era determinato dal partito politico cui egli apparteneva. Dappoichè—nella sua qualità di artista—sopra tutto quando il letterato è celibe, egli non trovasi intruso in alcun sito.

      Regina, che piacevasi a disegnare, spendeva i suoi dì nel suo piccolo atelier, sovente in compagnia di amici di suo marito. Perocchè il marito di bella donna non manca mai di amici, più o meno intimi, teneri, divoti, pieni di attenzione—disinteressati sopra tutto! Questi amici accorciavano un poco le lunghe serate di Regina e le rallegravano. Ma ciò non bastava. Ciò non soffocava, principalmente, il rimpianto del paradiso da cui era esiliata adesso. Ella sospirava i balli diplomatici e ministeriali, ed in cima a tutto quelli del Faubourg.

      Ella trovava milensamente ridicole le feste della Chaussée d'Antin, e quelle del mondo della finanza. Ella sbadigliava a morire allo spettacolo—ove Sergio la conduceva ogni qualvolta ella lo desiderava. Regina principiò a sentire una specie di nostalgia del mondo elegante ed aristocratico. Non pertanto, ella divertivasi moltissimo a quelle feste fantastiche che davano di tempo, in tempo gli artisti—ma desse erano rare, perchè troppo costose.

      Regina non fiatò motto a Sergio della rivoluzione che si operava nel suo spirito. Nè Sergio la scoprì. Il dottore, lui, era perfettamente al corrente di ciò che avveniva della sua pupilla.—Perchè Lisa lo raccontava a Trust, e Trust lo ripeteva al padrone. Solamente egli diceva:

      —Ah! signor Dio, monsieur, Lisa si annoia; Lisa vuole andare al ballo; Lisa è andata al teatro; Lisa à voglia di pizzi e di cachemire.

      Egli confondeva le persone; identificava la soubrette con la padrona.

      Un mattino—il mattino del capodanno—il dottore colazionava, quando sentì due piccole mani poggiare sulle sue spalle, ed udì una voce insinuante che gli mormorava all'orecchio:

       Indice

      Dove si vede… ciò che vedrete.

      —Voi tenete dunque ancora il broncio, cattivo zio?—disse quella voce.

      —Affatto—rispose costui tranquillamente. Io ti aspettava.

      —Davvero?—gridò Regina, sfolgorante di gioia.

      —Magari! Credi tu che io avrei vissuto sessant'anni per non imparar nulla? Ti aspettavo.

      —Perchè allora non mi avete chiamata prima?

      —Perchè io non aveva bisogno di te; e perchè io era sicuro che tu saresti venuta quando avresti avuto bisogno di me.

      —Sempre lo stesso!—sclamò Regina, sospirando. Il vostro cuore non spiana dunque giammai le sue rughe?

      Il dottore la fissò tra i due occhi e sorrise.

      —Voi credete dunque che sono venuta perchè ò bisogno di voi?—chiese

       Regina.

      —Non lo credo: ne sono certo—rispose il dottore. Ed ecco perchè soggiungo: sbrigati a dire che cosa ti occorre—perchè debbo uscire.

      —Ma, non mi occorre proprio nulla. Voleva solamente…

      —Grazie, e buon giorno. Prendi una tazza di thè?

      —Venivo a far colazione con voi. Ma ora nol voglio più. Sareste capace di dire che non venivo se non per questo…

      —E per altre cose.

      —Ah! E quali dunque, se vi piace, signore?

      —Mi riguarda ciò forse? Sarà di già bene abbastanza di udirlo. Non mi dò dunque la pena d'indovinarlo e di dirlo.

      —A maraviglia. Voi divenite di una brutalità a far scoppiar d'invidia… un editore—direbbe mio marito.

      —Gli è che gli editori ànno ragione quando ànno a fare con scribacchiucci del calibro di quello lì.

      —Voi siete ingiusto, dottore. Il signor Sergio di Linsac è un uomo compito, di grande ingegno, di gran cuore, che mi ama molto e mi rende felice.

      —Peste! lo tradiresti di già, per consacrargli un simile elogio da epitaffio al Père Lachaise?

      —Mi pento di esser venuta. Oh! sì: dovevo pur saperlo che gli uomini come voi non perdonano mai.

      —E perchè no… quando sprezzano l'offesa?

      —Io sovverrommi mai sempre di ciò che ero, e di ciò che avete fatto per me. La gitanella di Nicastro aveva la sua piccola volontà; ma ella aveva altresì del cuore.

      —Per chi, dunque?

      Regina guardò a sua volta fissamente il dottore e rispose:

      —Per quelli che l'ànno amata.

      —In questo caso, io conosco mica male di deseredati. Ma passiam oltre. Adesso la gitanella in questione si annoia.

      —Un pochino.

      —Ella trova il tempo lungo, l'esistenza vuota, le serate monotone e scure. Ella è sola nel mezzo della folla, vedova al focolaio domestico. Ella si trova fuori di classe, fuori dell'orbita sua naturale…

      —Voi credete?

      —La giovinetta cotanto festeggiata nel mondo, si tedia, giovane donna più che giammai. La giovinetta sì elegante, sì scintillante di gusto e di semplicità, si trova, giovane sposa senza diamanti, senza carrozza, senza una falange di lacchè… attrice riboccante di brio e di spirito, in tutta la potenza dei suoi mezzi, ma senza teatro, senza pubblico.

      —Voi esagerate, dottore.

      —La fanciulla aveva vaneggiato di un Dio che doveva trasfigurare la giovane sposa. Ella à visto quel Dio trasformarsi egli stesso in una creatura fastidiosa, silenziosa, distratta, che beve, mangia, dorme, e carezza sua moglie—quando la carezza—come l'ultimo dei facchini dell'Auvergne.

      —Eh, Dio mio! l'è la storia di chicchessia—sclamò Regina sospirando—l'è la storia della donna e del matrimonio. Perchè me ne lagnerei, io?

      —E chi dice che tu te ne lagni? Io constato la situazione del tuo spirito.

      —Ebbene. Quando ciò fosse? Io avrei torto: ecco tutto.

      —Ma, è fuori dubbio che tu ài torto. Il realizzamento di queste visioni non può esser permesso che alle donzelle dell'Opera… o alle mogli dei milionarii. La moglie di uno scrittore deve fare i conti con la sua cuoca—quando ne à una—andare al mercato, portare delle toilettes modeste, e mettere da banda un po' di gruzzolo per i giorni di non lavoro, par i figliuoli—che capitano checchè si faccia per evitarli. Che sono, al postutto, tutte codeste follie della vita elegante? Tu le conosci pure. Tu le ài gustate, tu le ài divise con le duchesse e con le ambasciatrici. Quantunque un ex-zingara, tu devi esserne sazia, stufa. N'è vero, figliuola mia?

      —Mica poi tanto!—sclamò Regina, sospirando.

      —E tu ài torto. Tuo marito vive nobilmente della sua penna—lo riconosco, avvegnachè non l'ami. Ma il tempo della penna è passato. La Francia muore d'un ingorgamento di lettere. Mr. Guizot vi metterà


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