L'ora topica di Carlo Dossi. Gian Pietro Lucini
ora coll'aspetto del rimorso, ora di una disperata ricordanza; con quella della speranza non posso».
Brevemente lo soccorreva la poesia:
«Quell'acre voluttà della canzone
Che in mostra lieta sol pietà sospira,
O allegra poesia,
Di qual fonte tu sgorghi e quanto ria!»[23].
Alberto Pisani e Giulio Pinchetti brancolano nel buio demenziale; si fanno tetro il mondo, pessimi li uomini; si credono cattivi. Pensano di loro stessi[24]: «Vedo il lento suicidio di quest'anima mia, un tempo così profumata di poesia; vedo sfogliarsi ad una ad una le rose che mi facevano bella la giovanile speranza; mi accorgo del lento calare dell'anima e dello spirito nella maremma della materia e non mi commuovo più: per me tutto è un corollario della umanità. Non trovo in me più quasi la forza di lottare: mi lascio trascinare dalla corrente, che va via infaticata e mi guiderà inonorato alla fossa, vedovo di gioja e di rimpianto cittadino. Ho spoetizzato la mia vita e non trovo che un filtro di vapori; non ho più fede; per me, le emozioni sono un vero onanismo di fantasia; il cuore non caccia più il suo inno spontaneo, primaticcio, prepotente». — [25]«Ho bisogno di cuore, di cuore, di cuore! Pace! E sta tutto in questa parola che sospira dall'anima mia! Ed io potrei vivere sino a trentasette anni, a cinquanta... c'è da divenir pazzo!» — Si ch'egli eleva il dolore a divinità indiscussa[26]; «L'anima mia non ha che una sola potenza: il dolore — che una sola fede: il dolore; — che una sola speranza: la morte». La volle, l'ottenne; col suo gesto reale confermò l'Alberto Pisani; ed a mezzo il giugno 1870, faceva getto della propria vita e ne dava le ragioni: parole, d'oltre il silenzio, sacre: «L'opera che sto per compiere e che, quando leggerete questa mia, sarà già compita, è dolorosa, terribile, snaturata; ma è necessaria per me. — Non mi venite però, colla solita bestemmia dei linfatici a dirmi: «fosti vile, che non hai saputo lottare». Il mio dolore non fu chiassoso, non mandò gemiti. — Mi pare di andare a morte come andrei ad una festa». Amara festa della pace perpetua ed oscura: Alfredo de Musset, per quella cripta sollecitata e precoce aveva, da tempo, inscritto l'epigrafe: «Tout ce qui était, n'est plus; tout ce qui sera, ne pas encore. Ne cherchez pas ailleurs le sècret de nos maux». Sull'amico cadavere, Felice Cavallotti si chinava bisbigliandogli:
«Dormi, povero martire!
Dormi! questa è la calma
Che agognavi».
Stia, così, più eloquente che non ci fosse in vita, mitingaio: non tacerà mai con diverso dolore di letteratura, colli altri carnefici di loro stessi per incompatibilità di carattere col mondo che pure avevano amato e sposato. Ma, se tra i superstiti, che ressero allo scomparire delle illusioni disincantate, si affaccia Carlo Dossi; se il suo delirio erotico si amareggia e si avvelena di disgusto, erompe e si esaspera La Desinenza in A[27]; «Un'oncia di sangue di meno, un libro di più».
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